La morte di Islam Karimov, primo e finora unico presidente dell’Uzbekistan (al potere da oltre ventisei anni), repubblica di trenta milioni di abitanti situata nel cuore dell’Asia Centrale post-sovietica, è stata annunciata decine di volte negli ultimi anni. Anche quando questa è effettivamente avvenuta la settimana scorsa, è stata avvolta da misteri in pieno stile sovietico che avrebbero fatto la gioia dei cremlinologi.
Dal gennaio del 2015, l’ISIS ha perso circa il 55% del territorio che controllava in Siria e Iraq e più dell’85% in Libia. Ciò potrebbe alimentare la percezione che i miliziani dello Stato Islamico siano prossimi alla sconfitta. I recenti attacchi in Europa sembrano invece suggerire una rinnovata capacità di ISIS di ispirare e talvolta guidare nuovi attentati. Sebbene il ridimensionamento territoriale sia un fatto innegabile, le attuali débâcle sul terreno mediorientale sembrano preannunciare l’avvio di una trasformazione di ISIS con l’abbandono dell’enfasi posta sul controllo territoriale e un rafforzamento della propria capacità di organizzare attacchi suicidi anche al di fuori del Medio Oriente. Non più dunque una realtà proto–statale ma un fenomeno ideologico, terroristico e puntiforme. Nonostante i risultati delle operazioni militari sul campo, la pericolosità di ISIS non sta quindi diminuendo, anzi paradossalmente potrebbe aumentare con la dispersione dei suoi miliziani.
Molto probabilmente, entro la fine dell’anno, Mosul sarà liberata. La presa della città sarà celebrata dal governo iracheno come la sconfitta del califfato che, con la perdita della seconda città del paese, sarà privato del suo centro di gravità in Iraq e si troverà a controllare poche aree marginali e spopolate.
Lo Stato islamico (IS) è ormai da diversi anni un attore importante e cruciale della regione del Mediterraneo e un protagonista dei sommovimenti geopolitici che la stanno coinvolgendo. Vero è che negli ultimi mesi l’IS ha conosciuto svariate sconfitte che ne hanno ridotto considerevolmente il territorio controllato: ha perso in Iraq le città di Ramadi e di Falluja (che controllava dal 2014) ed è in ritirata anche a nord verso Mosul; in Libia il controllo di Sirte; in Siria diverse aree e non è riuscito a mantenere l’offensiva.
Le recenti sconfitte subite dallo Stato islamico (IS) in Siria e Iraq – non ultima quella di Manbij che ha bloccato la linea di rifornimenti del gruppo lungo la linea nord-occidentale siriana – e i possibili preparativi russo-statunitensi da un lato e russo-iraniani dall’altro per nuove operazioni militari da lanciare su Aleppo a breve termine ed entro la fine dell’anno su Raqqa e Mosul, hanno convinto i principali attori impegnati nel teatro di guerra siro-iracheno ad un ripensamento delle proprie strategie in nome di un cambio di passo significat
Le recenti operazioni di polizia effettuate in Italia nel corso dell’ultimo anno e mezzo hanno fatto emergere importanti evidenze circa l’esistenza di una cosiddetta “pista balcanica” del terrorismo. Le indagini hanno rilevato l’esistenza di uno o più network collegati tra loro e attivi tra Macedonia, Bosnia e Kosovo.
Quando il 2 ottobre 2009 il Comitato olimpico internazionale (Cio), riunito a Copenaghen, decise di assegnare al Brasile e alla città di Rio de Janeiro l’organizzazione dei Giochi olimpici del 2016, non immaginava certo che si sarebbe dovuto pentire di quella scelta. Quando quella decisione fu presa il Brasile era sulla cresta dell’onda e aveva già ottenuto un anno prima dalla Fifa il compito di ospitare la Coppa del mondo di calcio nel 2014.
Mentre gli occhi dell’Europa sono puntati su quanto accaduto nella serata di venerdì a Monaco, mentre cittadini sempre più smarriti, confusi, intimoriti seguono dirette televisive in cui la mancanza di informazioni costringe alla mera speculazione – è stato l’Isis, no sono stati i nazisti –, mentre si cerca di ricostruire il legame tra l’ennesimo lupo solitario e la rete del terrore mondiale, per poi accorgersi che non di questo si è trattato bensì dell’ennesimo caso di delirio individuale, contro il quale ben poco c’è da fare se non lasciare all’umana pietà la decisione di
Charlie Hebdo, Hyper Cacher, Montrouge, Saint-Quentin-Fallavier, treno Thalys, Bataclan e Stade de France, commissariato del 18° arrondissement, Magnanville e Nizza: mentre l’impressionante elenco degli attacchi rivendicati dallo Stato islamico (Isis) sul suolo francese si allunga in maniera drammatica, l’unità nazionale si decompone progressivamente. Dopo gli attentati di gennaio e novembre 2015 i parlamentari avevano simbolicamente intonato la Marsigliese, cantata all’unisono dall’intero emiciclo.
Un altro fine settimana è stato macchiato da un atto terroristico in una grande città europea. Il teatro questa volta è stato Monaco di Baviera, in Germania, dove una persona armata ha sparato sulle persone, uccidendone almeno nove, prima di suicidarsi egli stesso. Le modalità dell’attentato sembrano essere quelle tipiche dei cosiddetti “lupi solitari” e, fin dai primi momenti, in molti hanno identificato nel radicalismo islamico (direttamente o indirettamente collegato allo Stato Islamico, IS) la matrice.
«Strappa il tuo biglietto aereo per la Turchia: il paradiso è lì attorno a te». Sono le parole pronunciate da un jihadista francese direttamente dai territori controllati dall’auto-proclamato Stato islamico in Siria e in Iraq. Si è rivolto con un video, qualche settimana fa, ai suoi amici e aspiranti compagni d’arme che si trovavano ancora nell’Esagono.