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terrorismo

Jihad e Terrorismo. Da Al-Qa‘ida all'Isis: storia di un nemico che cambia

 

L'11 settembre 2001 ha segnato l'avvio di un nuovo capitolo della storia mondiale. Da quel momento il terrorismo di «matrice islamica» è diventato uno dei fenomeni che più hanno segnato lo scenario internazionale, lasciando lungo il suo corso una scia di sangue pare esulare da ogni logica e ragione.

Ma quali sono le radici storiche che hanno alimentato la nascita delle diverse formazioni jihadiste e quali percorsi ne hanno segnato l'evoluzione in questi anni? Cosi si intende per jihadismo e quali rapporti esso intrattiene con il concetto di jihad? Cosa distingue al-Qa‘ida dal sedicente «Stato Islamico» e come ha fatto quest'ultimo a divenire un attore di primo piano all'interno del contesto mediorientale e globale? Chi sono i foreign fighters partiti per andare a combattere in Siria e Iraq? Quali sono le sfide portate dai gruppi jihadisti a Tunisia, Libia ed Egitto? Come viene letta dalle nostre agenzie di sicurezza la minaccia posta dai mujaheddin e come possono affrontarla in teatri distanti e complessi?

Sono queste alcune delle domande a cui il volume intende dare risposta, avvalendosi del sostegno di un gruppo di sette ricercatori riuniti dall'ISPI, uno dei più antichi e importanti istituti di ricerca con sede a Milano.

Usa-Arabia Saudita, scomodamente alleati

Nel corso della sua visita a Riyadh, il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha invitato l’Arabia Saudita alla “pace fredda” con l’Iran, mettendo in guardia sugli effetti del settarismo. Fredda, in realtà, è stata l’accoglienza che il regno degli al-Saud ha riservato a colui che, ancora per alcuni mesi, risiederà alla Casa Bianca. Con il gergo felpato ma allusivo della diplomazia, è stato lo stesso staff del presidente Obama a definire “franca” la discussione avuta con re Salman.

Jihad globale, il nuovo cantiere africano

Negli ultimi mesi il fronte del jihad è sembrato ridefinirsi attraverso nuove direttrici: dall’Iraq alla Siria verso l’Egitto e la Libia, attraversando il deserto dell’Algeria e del Mali sino all’Africa occidentale, confermando la tendenza all’irradiamento delle formazioni radicali islamiche in Africa e ribadendo la trasformazione della fascia sahelo–sudanese immediatamente a sud del Sahara in una regione di instabilità e insicurezza. Alla luce di questo, il Sahara ha acquisito una nuova centralità geopolitica: se già dal 2013 l’attenzione si era focalizzata sul Mali e sull’intervento internazionale contro le formazioni radicali islamiche e secessioniste che ne avevano occupato il nord, l’attentato di Grand–Bassam (Costa d’Avorio) del 13 marzo scorso sembra rivelare un ulteriore passo avanti nella strategia dei gruppi terroristici. La concomitante rivendicazione di Aqim e al–Mourabitoun pare offrire una duplice chiave di lettura: da una parte, una nuova frontiera geopolitica della minaccia, con organizzazioni capaci di operare in luoghi sensibili ma storicamente distanti dalle tradizionali aree d'azione; dall’altra, la possibilità di una convergenza tra i numerosi gruppi (compreso Boko Haram), ora pronti a collaborare in una nuova e fluida convergenza tattica.

Boko Haram tra incertezze e minacce sottovalutate

Ci sono luoghi periferici e sconosciuti in cui all’improvviso, in determinati momenti storici, si concentrano tensioni e forze tali da trasformarli in centri d’interesse internazionale. Diffa, capoluogo a qualche chilometro dalla frontiera della Nigeria della regione più povera del paese più povero al mondo, il Niger, è uno di questi ombelichi geopolitici. Qui come nell’intera area attorno al Lago Ciad da oltre un anno è attivo Boko Haram,

Terrorismo in Africa: le complicità dei regimi autoritari

Se si osserva la sequenza di attentati avvenuti a sud del Sahara tra fine 2015 e inizio 2016, i più esposti sembrano essere i paesi a guida democratica. Nonostante i messaggi di resa diffusi via web dal leader Abubakar Shekau, la Nigeria nordorientale è bersagliata quotidianamente da attacchi di Boko Haram. Il Mali ha subito a novembre un attentato in un albergo nel cuore della capitale Bamako.

Missione in Libia, analisi della capacità operativa dei gruppi armati: armi ed equipaggiamenti

All’indomani del tentativo di insediamento a Tripoli del governo di unità nazionale guidato dal premier incaricato Fayez al-Sarraj, sembra concretizzarsi l’ipotesi di un intervento militare che veda l’Italia tra gli attori principali, se non addirittura alla guida formale della coalizione internazionale composta, tra gli altri, da Stati Uniti, Francia e Regno Unito.

Al-Shabaab in Kenya: un problema tutto interno

Il sanguinoso massacro compiuto da al-Shabaab (As) il 2 aprile 2014 all’Università di Garissa ha posto una pietra tombale su ogni speculazione. L’attivismo di As in Kenya non è una minaccia esogena e né quell’attacco fu una semplice ritorsione per la partecipazione delle Kenya Defence Forces (Kdf) alla missione dell’Unione africana in Somalia (Amisom).

La debolezza degli stati saheliani di fronte alla sfida del jihadismo

La genesi degli stati africani, soprattutto per quanto riguarda la loro conformazione geopolitica, è stata segnata, più di quanto non avvenga un po’ ovunque quando ci siano scambi trasversali di carattere umano o economico, da influenze esterne. Il colonialismo europeo, nella sua funzione di state-maker, ha rappresentato il fattore che ha influito di più non solo sul tracciato dei confini ma sulle istituzioni e in ultima analisi sui meccanismi del potere, a cominciare dal grado effettivo d’indipendenza conseguita o consentita. 

Attacco a Bruxelles: fin dove si spinge l’IS?

I tragici eventi di Bruxelles hanno dimostrato ancora una volta come il conflitto promosso dal sedicente Stato Islamico (IS) non sia confinato al solo Medio Oriente, ma sia in grado di colpire il cuore pulsante dell’Europa e i principali simboli del processo di integrazione. Mentre i leader dei Ventotto si dovrebbero riunire domani nella capitale belga in un nuovo vertice sulla sicurezza europea, opinione pubblica e istituzioni nazionali si interrogano su quale sia la risposta più appropriata ed efficace da adottare, evitando semplificazioni e reazioni emotive che rischiano di essere fuorvianti e/o inconcludenti nel contrastare un fenomeno di portata sempre più ampia.

“Dalle parole ai fatti: quando una collaborazione di intelligence europea?”

I tragici fatti di Bruxelles hanno sollevato perplessità sulla mancanza di collaborazione tra le intelligence e le forze di polizia europee nella lotta al terrorismo. Una efficace strategia di contrasto ha necessariamente bisogno di politiche di prevenzione, indagini precise e attenzione costante che, di fronte a un nemico che gode di una rete transnazionale, possono realizzarsi solo con una stretta cooperazione tra le diverse forze di sicurezza nazionali.

L'Europa ancora nel mirino di IS

Sebbene sia ancora troppo presto per ricavare alcuna seria indicazione operativa, gli attacchi che nelle ultime ore hanno colpito Bruxelles hanno evidenziato in maniera incontrovertibile un elemento su tutti: la vulnerabilità di una “fortezza Europa” che è sempre stata tale solo nei sogni dei suoi sostenitori. E che, a dispetto delle misure di contenimento adottate negli ultimi mesi, continua a essere esposta a un’ondata di instabilità che ignora barriere e confini.

Terrorismo e migrazioni: massima allerta ma basso rischio

Gestione dei flussi migratori e contrasto al terrorismo, specialmente di matrice jihadista, sono evidentemente due tra le sfide più rilevanti e impegnative che l’Europa debba affrontare nella nostra epoca. Si tratta di due fenomeni transnazionali ben distinti, guidati da logiche differenti, che tuttavia possono trovare occasionalmente punti di intersezione.

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