L'unica repubblica democratica del Nord Africa, presa alla gola da terrorismo e crisi economica, è a rischio destabilizzazione, ma la comunità internazionale non percepisce la gravità di quanto sta accadendo.
Lo scorso anno le fake news hanno provocato un'ondata di linciaggi e scontri etnico-religiosi in Sri Lanka e adesso, dopo l'atroce serie di attentati contro hotel e chiese che ha provocato la morte di oltre 200 persone e quasi 500 feriti nel giorno di Pasqua, le stesse fake news potrebbero condurre a un'ulteriore escalation di violenza.
In vista delle elezioni europee, ISPI ha lanciato “Le parole dell’Europa”: dieci puntate in cui vengono analizzati temi chiave per il presente e il futuro dell’Unione europea. Questo numero esce a pochi giorni dalle celebrazioni per i 70 anni dalla creazione della NATO ed è dedicato al tema della sicurezza.
I gravi attacchi realizzati in Nuova Zelanda sono diventati subito una notizia di rilevanza planetaria, per quanto molti dettagli della vicenda non siano ancora chiari.
È stata pubblicata ieri la Relazione sulla Politica dell’Informazione per la Sicurezza 2018, stilata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri riguardo l’azione dell’intelligence nazionale. Come ogni anno, il documento è un’importante fonte per capire i fattori di instabilità e minaccia che interessano l’Italia, nonché gli sviluppi e le azioni intraprese dal nostro paese nei diversi scenari in cui opera.
"Siamo stati noi". L’attacco all’hotel Dusit a Nairobi, capitale del Kenya, era ancora in corso e Abdiasis Abu Musab, uno dei portavoce di al-Shabaab, già rivendicava la paternità dell’attentato. Al-Shabaab tornano dunque a colpire duramente "l’odiato Kenya". Un altro atto dimostrativo che intende punire Nairobi che, da anni, mantiene in Somalia una propria forza militare in seno ad Amisom, la missione dell’Unione Africana, a sostegno del legittimo governo di Mogadiscio.
La scena jihadista italiana presenta, almeno per ora, numeri più confortanti rispetto ad altri Paesi occidentali toccati dal fenomeno.
Il monitoraggio dei canali jihadisti sulla nota piattaforma di messaggistica Telegram è uno degli strumenti che può aiutarci a capire come proceda la radicalizzazione online nel nostro paese.
Come ormai ampiamente dimostrato dalle indagini sul tema, uno dei principali luoghi in cui la radicalizzazione jihadista trova terreno fertile è il carcere.1 D’altra parte, le cause della diffusione di tale fenomeno negli istituti di pena sono immediatamente comprensibili: in una condizione di tale difficoltà quale quella detentiva, la scoperta o la riscoperta della religione possono, infatti, giocare un ruolo fondamentale, capace di ridare ordine e persino un senso alla stessa vita.
L’attacco terroristico dell’11 dicembre a Strasburgo ha riportato l’attenzione sull’estremismo jihadista, dopo un periodo di relativa quiete. Nonostante la riduzione nel numero di attacchi portati a termine in Occidente e la ritirata dello Stato Islamico in Siria e in Iraq, la minaccia jihadista è ancora seria. In Europa rimangono migliaia di simpatizzanti, attivi on-line, all’interno di gruppi e network e anche in carcere.
L’attacco ai mercatini di Natale di Strasburgo, nel cuore dell’Europa e a due passi dalle sue istituzioni, segna evidentemente il ritorno del terrorismo sul continente. La minaccia jihadista è parsa affievolirsi negli ultimi mesi. In Siria e Iraq lo Stato Islamico ha perso oltre il 95 per cento del proprio territorio. In Europa, secondo dati originali dell’Ispi, il numero degli attacchi eseguiti con successo si è ridotto considerevolmente: dai 20 attacchi realizzati nel 2017 ai 7 del 2018 (includendo quello di Strasburgo).
Difficile accertare le responsabilità dell’attentato terroristico che sabato mattina ha colpito la parata militare nella città iraniana di Ahvaz, capoluogo della provincia del Khuzestan, uccidendo 25 persone e ferendone almeno 60.
Negli ultimi anni migliaia di foreign fighters sono partiti da più di 100 paesi per unirsi a gruppi armati, specialmente di matrice jihadista, in Siria e Iraq e in altri teatri di guerra. Il fenomeno ha interessato anche l’Italia, anche se in misura assai più ridotta rispetto ad altri paesi europei: i foreign fighters d’Italia sono, infatti, circa 130. Quali sono le caratteristiche socio-demografiche di questi individui? Dove risiedevano? Facevano parte di network estremistici in Italia e in Europa? Quale ruolo hanno assunto nell’area del conflitto?