Nessuno s’illude di poter vivere la propria vita di citoyen in un mondo perfetto. Magari per breve tempo, per assaggiare eccitato una parvenza di esemplarità: come nei mesi successivi la sconfitta del nazismo; o quando finì la Guerra fredda e alla fine degli anni ’80 credemmo che la democrazia si sarebbe diffusa in Unione Sovietica e da lì, nel resto del mondo non democratico. Fu un trompe-l’oeil.
Romano Prodi sostiene che Helmut Kohl era un negoziatore tenace. Ma se riusciva a raggiungere i suoi obiettivi era perché capiva le difficoltà dell’avversario col quale cercava sempre di raggiungere un compromesso. Quanto stona la gravitas del cancelliere scomparso con i grotteschi comportamenti di Donald Trump: "io so’ io e voi non siete che disaster", per parafrasare il Marchese del Grillo.
Per conto dell’Istituto di studi di politica internazionale, l’ISPI di Milano, ho partecipato a Delhi al secondo “India Think Tank Forum”, una specie di congresso internazionale dei centri studio che si occupano dell’India e del mondo. Il tema era “Potenziale e potere della partnership nazionale, regionale e globale”. Si è parlato di tante cose ma soprattutto dello stato della globalizzazione.
Nel 1914, dopo l’omicidio dell’arciduca Ferdinando, l’ultimatum che l’Austria inviò alla Serbia fu scrupolosamente redatto per essere respinto. Così i 13 punti “non negoziabili” e da sottoscrivere entro il 3 di luglio, che l’Arabia Saudita e i suoi sodali hanno presentato al Qatar.
Qualche giorno fa, dopo l’incontro tra il presidente russo e quello americano al G20 di Amburgo, il sito del magazine The Atlantic titolava: “Trump and Putin’s Rashomon Summit”. Dopo il loro faccia a faccia, il primo aveva raccontato di aver ammonito il russo per le sue interferenze nelle elezioni americane; secondo Putin, invece, Trump aveva riconosciuto l’innocenza russa.
Se nonostante Brexit, l’elezione di Donald Trump, Putin, i missili nordcoreani, il terrorismo, il massacro siriano, l’ondata dei migranti e altro ancora, vi dicessi che il 2016 è stato uno degli anni migliori per l’umanità, mi prendereste per matto. Avreste ragione ma fino a un certo punto.
Tutti sdegnati davanti alla tenace follia di Kim Jong Un che, bomba dopo missile, sta facendo gloriosamente marciare il suo popolo affamato verso il club esclusivo delle potenze nucleari. Sembra che per Cina e Russia, formalmente preoccupati, sia un prezzo accettabile se il risultato è vedere gli Stati Uniti in mezzo a un guado paludoso: se nella penisola coreana scoppia un’altra guerra, sarà colpa di Trump; se invece ci sarà un compromesso, sarà comunque una sconfitta politica di Trump.
Recent political events – from Trump’s election to the outcome of the Brexit Referendum - have somehow caught the world by surprise, and are contributing to a growing sense of concern or even alarm about the future of the Western world and, particularly, Western democracies as we know them.
As the Group of 20 (G20) leaders assemble in Hamburg for their 12th summit on July 7-8, 2017, many wonder whether G20 summitry is worth the time and trouble, especially amidst the high profile divisions between German chancellor Angela Merkel’s open, cooperative Europe and President Donald Trump’s protectionist United States. Even if at Hamburg G20 leaders manage to make clear commitments, many doubt that they will actually deliver them once they leave their sunny global summit peak and return to the dark, distracting valleys of domestic politics back home.
Ciò che si poteva soltanto immaginare qualche mese fa è avvenuto questa notte con l’elezione di Donald Trump a 45° presidente degli Stati Uniti. Una vittoria per certi versi sorprendente a conclusione di una campagna elettorale caratterizzata da veleni e tensioni che hanno finito per avvantaggiare il candidato repubblicano, nonostante il netto sostegno politico e mediatico dell’establishment nei confronti di Hillary Clinton.
L’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca può rappresentare un forte momento di rottura con le politiche economiche precedentemente condotte dalle amministrazioni degli ultimi vent’anni, nonché un potenziale elemento di instabilità per i mercati internazionali. Abbiamo raggiunto Francesco Daveri, professore ordinario di Politica economica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore (sede di Piacenza), per un suo commento sugli avvenimenti in corso.
A poche ore dall’elezione del prossimo presidente degli Stati Uniti, ISPI e RaiNews hanno commissionato a IPSOS un sondaggio per rilevare l’opinione degli italiani sui candidati e sull’operato dell’amministrazione Obama. I risultati (cui il Corriere della Sera dedica ampio spazio) suggeriscono che una netta maggioranza di italiani preferirebbe una presidenza Clinton a una Trump.