Grazie alla prossimità geografica, lo Shandong è la provincia cinese maggiormente legata alla Corea del Sud, sia sul fronte commerciale che produttivo. La città di Weihai, infatti, dista appena 350km in linea d’aria dall’importante città coreana di Incheon – sede del principale aeroporto che serve la capitale Seoul e parte della Seoul Capital Area (che con i suoi 25 milioni di abitanti rappresenta il 50% della popolazione nazionale) - e ciclicamente affiorano persino progetti di costruzione di tunnel sottomarini fra i due paesi.
Lo Shandong è fin dagli anni ‘80 la provincia che attrae la maggior parte degli investimenti diretti all’estero che arrivano in Cina dalla Corea del Sud, il quinto maggior investitore estero nel paese. Incoraggiati dal miglioramento dei rapporti diplomatici e da un accordo di libero scambio finalizzato durante il vertice Apec di Pechino del dicembre 2014 e approvato il 26 maggio dal Presidente sudcoreano (gli ultimi passaggi formali sono previsti per giugno), le imprese della Corea del Sud hanno ulteriormente accelerato gli investimenti in Cina, aumentati del 33% soltanto nei primi 9 mesi del 2014, per un totale di 323 miliardi di dollari. La maggior parte (il 90% secondo Reuters) è rappresentato dagli imponenti investimenti produttivi di colossi come Samsung Electronics e Kia, entrambi nello Shandong. Tale espansione in Cina delle aziende sudcoreane è in netto contrasto con il ridimensionamento delle imprese giapponesi, i cui investimenti diretti in Cina nel 2014 invece si sono ridotti del 43% rispetto all’anno precedente (e oggi ammontano a 339 miliardi di dollari).
Le relazioni economiche sino-coreane sono in costante aumento anche sul fronte commerciale, tanto che Seoul ha sorpassato Tokyo come prima fonte delle importazioni cinesi. La Corea del Sud è uno dei pochi paesi OCSE che registra un avanzo commerciale con la Cina, il suo principale partner commerciale: il 26% dell’export sudcoreano va in Cina, pari a circa la somma di tutto l’export verso Stati Uniti, UE e Giappione messi insieme, e dalla Cina arriva bel il 16% dell’import totale sudcoreano, superiore a quello di Giappone e UE messi insieme.
Sebbene in crescita per quanto riguarda il valore totale degli investimenti, si registra un costante calo del numero di aziende coreane - ma anche giapponesi - in Cina e nello Shandong. Nel giro di pochi anni, infatti, le aziende coreane nello Shandong sono passate da oltre 10.000 a circa 4.800 (dato del 2014) con una riduzione al ritmo di 500 imprese in meno all’anno. Parallelamente, è crollato anche il numero di nuove imprese coreane nello Shandong, da 2.294 nel 2006 ad appena 368 nella prima metà del 2014. La ragione di tale riorganizzazione coreane in Cina e, soprattutto, nello Shandong è dovuta principalmente alla crescita del costo del lavoro. Nel 2014, infatti, i salari in CIna sono saliti mediamente del 16,9% e sono in vigore piani per un aumento futuro del 13% annuo. Per questa ragione, dunque, molte aziende coreane interessate principalmente ad approfittare del basso costo del lavoro hanno spostato la propria produzione in paesi come Vietnam e Myanmar. Tale scenario caratterizzato dall’aumento degli investimenti totali e la diminuzione delle singole imprese porta ad immaginare una trasformazione del tessuto produttivo coreano in Cina verso la creazione di prodotti a maggior valore aggiunto e con un ruolo più rilevante per il capitale.
Il caso delle aziende coreane nello Shandong è di estrema importanza per rilevare come in Cina sia in atto un cambiamento del settore industriale che premia sempre di meno investimenti volti ad approfittare soltanto delle opportunità legate ai bassi salari. Un ammonimento del genere potrebbe essere di notevole importanza per le aziende italiane che preparano investimenti in Cina e che ancora guardano alla Repubblica Popolare come una destinazione per delocalizzare a basso costo, quando ormai è più funzionale entrare nel mercato cinese per diventare competitivi per il consumo locale. È questa l’opinione anche dell’Ing. Alessio Ruilini, General Manager di Maschio-Gaspardo Agriculture Machinery Co., LTD, secondo il quale la natura degli investimenti italiani in Cina risponde sempre di più a motivazioni di tipo market-seeking rispetto agli obiettivi di contenimento dei costi.
Alessia Amighini, ISPI Senior Associate Research Fellow e Università del Piemonte Orientale
Filippo Fasulo, ISPI Research Assistant