
Era la fine di agosto e i riflettori si sono improvvisamente volti verso il Libano e le grandi manifestazioni di piazza targate YouStink (Tol3et Re7tkom in arabo libanese). La Beirut dalla vivace vita notturna e dalla violenza che cova sotto tante profonde fratture sociali offriva una nuova immagine di sé: decine di migliaia di persone a protestare contro le modalità di gestione dei rifiuti, a rivendicare migliori servizi, a pretendere una classe politica che si occupi effettivamente della cosa pubblica e non la cannibalizzi a vantaggio di interessi particolari.
Il cambiamento sembrava a portata di mano, sulla scorta dell’entusiasmo per la larga e variegata partecipazione alle proteste. I meno ottimisti agitavano invece lo spauracchio di un altro conflitto in questo Paese troppo spesso raccontato come “sull’orlo del collasso”, espressione purtroppo frequente nel racconto del Libano e del Medio Oriente. Poi, con settembre, ricala il silenzio su una città né collassata né redenta, ma sempre in bilico tra la sua inesauribile energia e la sua spietata iniquità.
Il movimento YouStink è riuscito a far annullare il bando per l’assegnazione delle licenze di gestione dei rifiuti in Libano, viste le tariffe assai elevate presentante dai candidati; il Ministro dell’Ambiente Mohammed Machnouk non ha invece rassegnato le sue dimissioni, come era invece richiesto dai manifestanti. Due discariche dovrebbero infine essere costruite per sostituire quella di Na’ame, la cui chiusura senza un piano alternativo – avvenuta dopo quasi vent’anni di lotte da parte della popolazione locale – ha causato l’accumulo di rifiuti a Beirut che ha riportato in strada l’indignazione libanese. Si tratta di un risultato apprezzabile ma certo non pienamente soddisfacente, mentre lo slancio iniziale alimentato dalla massiccia mobilitazione alle proteste di agosto si è notevolmente affievolito.
I promotori delle proteste continuano ancora a organizzare iniziative, benché di minore risonanza e portata, spendendosi anche per la liberazione di tutti gli attivisti arrestati nel mese passato. Le diverse piattaforme della protesta – non solo You Stink, ma anche altri gruppi con profili e richieste molto simili, come 22 August Youth (Shabeb 22 Ab) o We Want Accountability (Bedna N7asseb), che giovedì 22 ottobre ha organizzato una piccola manifestazione contro l’inefficienza della fornitura elettrica - tuttavia, non chiedevano solo una migliore gestione dei rifiuti: la puzza contro cui i libanesi sono insorti proviene da un sistema politico estremamente corrotto, gestito attraverso alleanze tra famiglie e gruppi di potere che dietro la maschera del confessionalismo hanno fatto di ogni servizio al cittadino un’opportunità per lucrare a proprio vantaggio.
Quando poco più di un mese fa i libanesi invocavano la caduta del nizam, si riferivano a un sistema predatorio, a una dittatura a più facce in cui ogni gruppo di potere è centro e tentacolo allo stesso tempo. Servizi pubblici dalla qualità pietosa così che ci si debba rivolgere a fornitori privati; aree pubbliche privatizzate per farne spazi di intrattenimento per ricchi, come nel caso di Zaytouna Bay o come potrebbe essere per la zona in prossimità di Raouché, dove si trovano gli Scogli dei Piccioni, uno dei simboli della città; bellissime abitazioni della prima metà del Novecento abbattute per l’ennesimo anonimo palazzo moderno figlio di una speculazione edilizia feroce. A ciò si aggiunge un sistema politico retto da un governo transitorio di coalizione e avvitato in un circolo vizioso di un parlamento che opera oltre la scadenza del mandato, incapace di trovare un accordo sulla legge elettorale e sull’elezione di un nuovo presidente.
Sbloccare questa impasse e scardinare la rete di potere del confessionalismo è dunque l’obiettivo ultimo dei diversi gruppi che hanno animato le proteste di agosto, espressione di una generazione di libanesi maturata politicamente intorno al 2005, con l’omicidio del Primo Ministro Rafik Hariri, leader sunnita del partito Mustaqbal (Futuro), le proteste contro la presenza siriana in Libano (il regime siriano, con il partito sciita Hezbollah, è ritenuto responsabile dell’attentato) e la ricomposizione della geometria politica libanese nei blocchi 8 Marzo e 14 Marzo, in buona sostanza guidati rispettivamente da Hezbollah e Mustaqbal. Di fronte a questa esasperazione del discorso confessionale a fini di potere, il secolarismo diventa la piattaforma comune per sfidare il nizam, superando la logica delle appartenenze per riconoscere i problemi trasversali a tutti i libanesi non privilegiati.
Queste proteste nascono dunque da un lavoro di anni che diverse espressioni della società civile libanese hanno fatto su loro stesse, ponendosi in continuità con tante proteste di minore richiamo che si sono susseguite negli anni, contro il confessionalismo, le privatizzazioni degli spazi pubblici e la speculazione edilizia, lo sfruttamento delle lavoratrici domestiche straniere, la violenza domestica. Il denominatore comune di queste manifestazioni fino a YouStink è sempre stato la partecipazione eterogenea, non incasellabile nelle griglie confessionali, perché l’indignazione di fronte a problemi comuni è trasversale alla società libanese. Sgonfiatosi il clamore mediatico, fino al prossimo grande evento, lo spirito di YouStink prosegue il suo lavoro a piccoli passi, in un Paese che ignora, alimenta, rifugge, aggredisce allo stesso tempo le sue contraddizioni.
Clara Capelli (@Clariscap)