
Una semplice lettera che può fare la differenza tra la vita e la morte, tra la persecuzione e una (relativa) libertà. Succede nella regione di Mosul, in Iraq, da settimane sotto il controllo del gruppo estremista ISIS (Islamic State in Iraq and Syria), ora autorinominatisi semplicemente IS (Islamic State). Le autorità che fanno capo all’autoproclamatosi califfo Abu Bakr Al-Baghdadi hanno infatti ordinato la persecuzione dei cristiani, costretti ad affrontare la scelta tra l’immediata conversione o la morte. Le loro proprietà e le loro abitazioni sono state perciò contrassegnate da una singola lettera dell’alfabeto arabo, la “Nun”, il corrispettivo della nostra “N”, la lettera iniziale della versione coranica della parola “cristiano”, Nasrani (Nazareno).
Molti tra i cristiani di Mosul, una comunità che anticamente contava decine di migliaia di membri e che è tra le più antiche della cristianità, sono fuggiti in queste settimane lasciando la città praticamente priva della sua comunità cristiana dopo quasi duemila anni. L’ignominioso marchio “N” è diventato però il simbolo della loro lotta di questa comunità per ottenere attenzione mediatica in giorni in cui le televisioni di tutto il mondo si dividono tra Gaza e l’Ucraina. Su twitter sono nati alcuni hashtag come #WeAreN, #IamNasrani o #ن . Intanto a Baghdad la scorsa domenica circa 200 musulmani hanno partecipato alla messa nelle chiese nell’est della capitale marchiandosi con la scritta “Io sono cristiano” e pregando in solidarietà con i loro connazionali cristiani perseguitati.
Momenti di grande umanità, ma che sembrano gocce nell’oceano nella più grave crisi che il paese ha vissuto nella sua storia recente.