
“It’s the economy, stupid!”. Slogan di clintoniana memoria (Bill, non Hillary), che così bene in questi anni ha catturato tendenze e umori prevalenti in una società come quella americana, è stato utilizzato raramente nella politica mediorientale. A quelle latitudini l’economia come elemento fondamentale per capire opinioni e cambiamenti sociali è sempre apparso deboluccio. “It’s imperialism, stupid!”, oppure “It’s religion, unbeliever!” suonano molto più familiari all’orecchio di un osservatore della regione come spiegazioni un po’ per qualunque cosa.
Nel caso dell’Iran, poi, la cosa diventa lampante. Quando si sente parlare della pluridecennale competizione con le monarchie sunnite del Golfo come non estrarre lesti dalla fondina mediorientalista tutte le argomentazioni tipiche del caso: la “guerra fredda del Medio Oriente” o “la Mezzaluna sciita" (argutamente ribattezzata recentemente “croissant sciita”) o l’evergreen di sempre, “il conflitto sciita-sunnita”. Ebbene, inflazionati o meno e ironie a parte, questi concetti hanno certamente il loro valore e la loro fondatezza. Questo non significa però che ignorare in modo sistematico il fattore economico sia sempre una mossa saggia.
La chiusura dell’accordo sul nucleare iraniano porta infatti con sé risvolti notevoli da questo punto di vista. Certo, per il mercato del petrolio è certamente un ulteriore fattore di compressione dei prezzi, anche se prima che Teheran sia in grado di tornare anche solo ai livelli pre-sanzioni passeranno probabilmente alcuni anni. E, certo, molte aziende occidentali, europee e nostrane potranno approfittare della riapertura del ghiotto mercato iraniano per progetti petroliferi, infrastrutturali e per le esportazioni.
Se questi aspetti sono comparsi qua e là sulle testate internazionali, un aspetto che rimane un po’ più in ombra è invece l’impatto sulla regione o, per meglio dire, sul vicinato. Che si tratti di un vicinato complicato – per usare un eufemismo – si sa, ma questo non significa che i litigiosi condomini del Golfo persico siano troppo orgogliosi per ignorare il ritorno a pieno titolo nel sistema regionale di un’economia da 400 miliardi di dollari e un mercato da 80 milioni di persone. Cifre modeste se guardate in prospettiva globale, ma enormi se guardate in prospettiva regionale. E le tasche tendono molto più all’ateismo rispetto alle dichiarazioni ufficiali.
Se da una parte abbiamo quindi un fronte apparentemente compatto composto dalle monarchie del Golfo – il cosiddetto Gulf Cooperation Council (GCC) – dove persino il disobbediente Qatar appare essersi rassegnato a più miti consigli grazie alle pressioni del vicino saudita, dall’altra notiamo come curiosamente i titoli di due compagnie di logistica, la emiratina (Dubai) DP World e la kuwaitiana Agility, abbiano all’improvviso subito rialzi notevoli nel giorno dell’accordo. Dubai e Kuwait si preparano infatti a diventare – o meglio tornare a essere – gli hub del commercio diretto al mercato iraniano. Soprattutto Dubai, che ospita una consistente minoranza iraniana, si candida a diventare sede di filiali, uffici e centri di produzione e smistamento di merci e servizi di qualunque tipo per l’economia iraniana; un business inquantificabile al momento ma certamente notevole per l’economia del piccolo paese.
A pochi chilometri da Dubai anche qualcun altro probabilmente la sera dell’accordo si fregava le mani. Sono infatti alcuni anni che il sultano omanita cerca ripetutamente di trovare il modo di realizzare una grande pipeline da un miliardo di dollari in grado convogliare nel suo paese da sempre affamato di energia il prezioso gas iraniano. Un progetto che la fine delle sanzioni hanno finalmente reso possibile. Senza ovviamente dimenticare la collaborazione “di fatto” che ha sempre contraddistinto Iran e Qatar per la gestione del giacimento di gas South Pars, il più grande del mondo. Una collaborazione che ora potrebbe diventare ancora più intensa e far superare la rivalità che ha contraddistinto in questi anni i due paesi per lo sfruttamento del giacimento comune.
Insomma, l’Arabia Saudita ha ben poche gioie da aspettarsi dalle “monarchie sorelle” negli anni a venire. È infatti Riyadh l’unico membro del GCC (insieme forse al piccolo Bahrein) a non avere nulla da guadagnare dalla riemersione dell’Iran nell’economia regionale. Anzi. Il ritorno in scena dell’avversario potrebbe rimettere in discussione le quote di mercato che la monarchia si è conquistata con l’abbattimento spregiudicato dei prezzi petroliferi e l’aumento delle sue quote di produzioni in questi mesi. E mentre si parla di un budget militare iraniano in aumento di un terzo già quest’anno, l’esercito saudita continua a cercare un’introvabile via d’uscita nella crisi yemenita. Nei palazzi reali di Riyadh rimane poco da festeggiare per questo Eid di fine Ramadan.
Eugenio Dacrema