
Il destino della pace in Siria in questi anni ha intrapreso numerose strade, tutte rivelatesi senza uscita. Da città come Mosca, Washington, Ginevra, Teheran, Riyadh, Cairo sono partite a fasi alterne iniziative volte a raggiungere un compromesso tra le parti in conflitto e il tanto agognato cessate il fuoco. Ogni iniziativa si è però finora arenata di fronte agli ostacoli insormontabili posti dagli enormi interessi regionali e internazionali che si contrastano all’interno del teatro siriano.
Non è quindi un caso che oggi si tentino strade che passano da luoghi e nazioni “meno ovvie” perché meno direttamente coinvolte in quella che è stata definita una piccola “guerra mondiale”. Un nuovo filone di negoziati e comunicazioni più o meno segrete sembra infatti emergere in queste settimane da Muscat, capitale del Sultanato dell’Oman. Il ministro degli esteri siriano Walid Muallem si è infatti recato in visita ufficiale nel Sultanato il 6 agosto, dove avrebbe incontrato la sua controparte locale Yusuf bin Alawi. Secondo un articolo pubblicato sulla rivista internazionale Al-Monitor, che riprende le dichiarazioni delle agenzie di stampa omanite e siriane, l’incontro – il primo di un membro del governo siriano in un paese del Gulf Cooperation Council (GCC) dall’inizio del 2011 – sarebbe stato animato dalla volontà di parlare approfonditamente delle possibili soluzioni alla crisi siriana. L’Oman approfitterebbe della sua posizione privilegiata di intermediario tra monarchie del GCC e Iran per tentare una complessa mediazione, cercando di ripetere il successo ottenuto nel proprio ruolo di broker nell’accordo sul nucleare iraniano. L’Oman ha sempre mantenuto una posizione assai ambigua all’interno della regione. Pur essendo parte dell’alleanza del GCC, il Sultanato ha infatti sempre continuato ad avere fitte relazioni diplomatiche con Teheran dichiarando da sempre di preferire un approccio “dialogante” verso il potente vicino iraniano, rispetto a quello apertamente conflittuale delle altre monarchie del Golfo. In ciò è stato aiutato anche dalla particolare composizione religiosa della sua popolazione, ne sunnita ne sciita ma appartenente alla piccola setta degli ibaditi.
Si tratta quindi di una iniziativa tutta omanita volta a consolidare il ruolo di broker internazionale del piccolo sultanato dopo il successo dell’accordo di Ginevra? Forse. Ma le cose potrebbero essere molto più complesse di quello che appaiono.
Secondo un lungo articolo pubblicato su Foreign Policy il 17 agosto, gli eventi di Muscat sarebbero infatti solo la punta dell’iceberg di movimenti che si dipanerebbero da alcuni mesi da Damasco verso molti membri del GCC, a cominciare dall’arcinemico saudita. Molto meno pubblicizzate della visita di Muallem a Muscat sarebbero infatti le ripetute visite di Ali Mamlouk, il consigliere per la sicurezza del regime di Assad, a Jedda, nel regno saudita.
Tema delle conversazioni segrete sarebbe ancora una volta la ricerca di un compromesso per risolvere la crisi. Secondo le indiscrezioni emerse, Damasco chiederebbe a Riyadh di ritirare il proprio appoggio alle fazioni ribelli mentre Riyadh chiederebbe il ritiro di Hezbollah e di tutte le milizie straniere sotto il comando dell’Iran e provenienti da tutti gli angoli del mondo sciita. In cambio della fine delle ostilità Damasco offrirebbe inoltre un vago processo di transizione e dialogo con le opposizioni. Ancora una volta mancherebbe però una soluzione al grande nodo che finora ha tenuto in scacco ogni iniziativa volta a risolvere il conflitto siriano: il destino di Bashar al-Assad. Mamlouk si sarebbe però sbilanciato maggiormente sul tema del ritiro delle forze a guida iraniana. Come riportato in precedenza anche sulle pagine di questo blog, Mamlouk e molti altri all’interno del regime infatti sarebbero da tempo preoccupati dal ruolo sempre più preponderante di Teheran negli affari interni del regime siriano, ruolo che sta trasformando progressivamente il regime e il suo esercito in un’altra tra le molte milizie “clienti” di Teheran. Il consigliere per la sicurezza di Assad si sarebbe recato per lo stesso motivo anche negli Emirati, dove avrebbe tenuto colloqui con rappresentanti emiratini e con leader di tribù sunnite locali legate alle tribù sunnite siriane sempre più preoccupate dalla crescente presenza e importanza dell’Iran e delle forze sciite nei loro territori.
Nel frattempo Teheran non commenta questi movimenti, ma è facile immaginare che li stia monitorando costantemente. Qualcosa però è trapelato il 18 agosto. Il quotidiano panarabo Al-Quds Al-Arabiy ha infatti pubblicato un articolo che cita agenzie iraniane secondo le quali a Muscat non avrebbe avuto luogo solo l’incontro tra Muallem e Bin Alawi, ma sarebbero anche in corso vere e proprie consultazioni segrete fra rappresentanti statunitensi e rappresentanti del governo di Damasco, all’oscuro della stessa Arabia Saudita. Nessuna di queste indiscrezioni è ovviamente confermata e, per quanto sembri più una manovra per dare una narrativa diametralmente opposta a quella che vede l’alleato siriano impegnato in colloqui segreti con l’arcinemico saudita, potrebbe nascondere una traccia di verità. Gli americani usano infatti da tempo l’Oman come sede di incontri segreti con attori dell’area e da tempo è evidente la crescente divisioni tra l’atteggiamento intransigente di Riyadh verso il regime siriano e quello più ambiguo degli Stati Uniti che subordinano il cambio di regime a Damasco alla lotta contro l’ISIS, vera priorità della politica americana attuale nella regione mediorientale.
Niente è quindi mai semplice quando si parla del conflitto siriano. Interessi manifesti o velati si contrastano e si incrociano costantemente rendendo sostanzialmente impossibile azzardare una qualunque previsione. Sugli avvenimenti di queste ultime settimane si può infatti dire con sicurezza solo una cosa: qualcosa si muove. Ma che sia qualcosa di buono per il popolo siriano è ancora decisamente presto per dirlo.
Eugenio Dacrema (Ibn_Trovarelli)