Ad Ali Ferzat tre anni fa hanno spaccato le mani nel pieno centro di Damasco. L’accaduto fece il giro del mondo e diede fama internazionale al vignettista siriano che fino ad allora era stato molto amato e letto solo nel mondo arabo. Era l’inizio della rivolta siriana, e Ali da alcuni mesi aveva smesso di pubblicare vignette popolate da personaggi “spersonalizzati” (anche se il più delle volte totalmente intuibili) e aveva iniziato a disegnare esplicitamente i volti e le fattezze dei presidenti arabi che uno dopo l’altro in quelle settimane si stavano confrontando con decenni di rabbia repressa nei loro popoli. In particolare, Ali aveva iniziato a disegnare il volto e il corpo del suo presidente, Bashar al-Assad, con cui molti anni prima – ancora prima che Bashar diventasse presidente della Siria – si narrava avesse intrattenuto perfino una cordiale amicizia.
Oggi Ali Ferzat è totalmente guarito, e non ha smesso di disegnare e pubblicare i suoi lavori. La giovane giornalista e critica d’arte Ashitha Nagesh lo ha incontrato a Londra dove ha partecipato alla mostra #withoutwords dedicata agli artisti della rivolta siriana. Nella sua intervista per ReOrient, che si può leggere qui, Ali parla soprattutto del ruolo dei graffiti e delle caricature nell’insurrezione popolare. Più di twitter, un graffito fornisce alle persone, proprio tutte, la possibilità di partecipare e sostenere la rivolta indirettamente, e di esprimere con pochi tratti almeno uno schizzo della propria opinione. Le caricature, in particolare, sono il veicolo principale da cui passa la critica. Come il dolore, la risata rimane impressa nella memoria facilmente, e la caricatura possiede lo straordinario attributo della semplicità. “Anche le persone che non capiscono la scultura o la pittura sanno comprendere una caricatura”, afferma Ali esaltando le qualità democratiche della sua arte e della sua gente. Oggi che di Siria si parla sempre meno dopo il grottesco “lieto fine” dell’accordo sullo smantellamento delle armi chimiche, “senza parole” è il titolo giusto per raccontare il silenzio in cui versa la tragedia di un popolo che cerca di farsi sentire con ogni altro mezzo.