Al-Shabaab in Kenya: un problema tutto interno
Il sanguinoso massacro compiuto da al-Shabaab (As) il 2 aprile 2014 all’Università di Garissa ha posto una pietra tombale su ogni speculazione. L’attivismo di As in Kenya non è una minaccia esogena e né quell’attacco fu una semplice ritorsione per la partecipazione delle Kenya Defence Forces (Kdf) alla missione dell’Unione africana in Somalia (Amisom). Lo sterminio degli studenti cristiani di Garissa è stato imputato ad un’unità di al-Shabaab nota come Jeysh Ayman, un contingente guidato e principalmente composto da keniani(1). È innegabile che gli attacchi di As oltre i confini somali siano aumentati esponenzialmente dopo il 2011(2), tuttavia le origini del radicalismo islamico in Kenya hanno radici ben più antiche che, trovando linfa vitale nelle irrisolte contraddizioni domestiche, hanno potuto propagarsi superando la faglia etnica tra keniani-somali e keniani-swahili.
Il proselitismo wahabita in Kenya ebbe inizio negli anni Settanta per poi assumere una deriva militarista propria del jihad negli anni Novanta, quando al-Ittihhad al-Islamiyya (Aiai) riuscì a stabilire un capillare network clandestino in grado di reclutare, raccogliere fondi e infiltrare il clero wahabita nei distretti frontalieri di Wajir, Mandera e Garissa, e a Eastleigh – un sobborgo somalo di Nairobi. L’agenda di Aiai era incentrata sul pansomalismo, pertanto le sue attività in Kenya si circoscrivevano attorno al ceppo etnico somalo(3). As è penetrato in Kenya almeno a partire dal 2009 tramite il Muslim Youth Center da cui è poi nato il più militarizzato al-Hijra, noto come spin-off keniano di As (4). Il formidabile opportunismo politico-strategico di As ha fatto sì che il movimento somalo ricalibrasse la propria agenda keniota su tutta la popolazione musulmana, storicamente affetta da marginalizzazione socio-economica e politica (5).
Religione, cultura, etnia, ma ancora di più i sentimenti di esclusione sociale e politici hanno tracciato profonde divisioni nella società keniana che As ha saputo interpretare e sfruttare a suo vantaggio. Inoltre, le risposte che il Kenya ha fornito nell’articolazione domestica della Global War on Terror hanno permesso ad al-Shabaab di incentrare la propria comunicazione strategica sulla narrativa della vittimizzazione dei musulmani. La Anti Terrorism Police Unit (Atpu) – istituita nel 2003 – è stata ripetutamente accusata di essere responsabile della sparizione e della morte di numerosi Sheikh e civili (6). Nella primavera del 2014, il governo ha approvato Usalama Watch, un’operazione mirata al contrasto dell’immigrazione illegale (somala), criticata per i suoi metodi operativi: sia per la corruzione che per il mancato rispetto dei diritti umani (7). I musulmani si sono sentiti sempre più marginalizzati e oggetto di continui soprusi da parte di una macchina statale che As definiva una dittatura cristiana. Non sorprende se recenti ricerche hanno dimostrato che molti giovani, soprattutto nella zona costiera, abbiano aderito ad As non tanto per il salario (tra i 50 e i 200 Usd mensili), ma soprattutto per la forte percezione di insicurezza generata dalla “condotta delle forze dell’ordine” (8).
ll cinismo di al-Shabaab si è articolato in una strategia politico mediatica di inasprimento dei conflitti locali. L’attacco a Mpeketoni ne ha rappresentato un chiaro esempio. Il 15 giugno del 2014 un commando ha selezionato le proprie vittime secondo un criterio di appartenenza etnica, in quel caso i Kikuyu. Mpeketoni è un prospero villaggio costiero, dove negli anni Settanta il governo ha rilocalizzato keniani di etnia Kikuyu –l’etnia dominante del Kenya. Un mese dopo la strage di Mpeketoni, un gruppo di Kikuyu ha ucciso quattro Luo – un gruppo entico costiero e prevalentemente musulmano – rivendicando l’accaduto come una rappresaglia (9). In Kenya, come in Somalia, l’esasperazione delle faglie etniche è alla base della strategia di reclutamento e radicalizzazione locale di As.
Il gruppo terrorista somalo ha inoltre sfruttato il Kenya come una base per il reclutamento di foreign fighters. Dal Kenya, tramite la sua rivista Gaidi Mtaani (terroristi in strada), As ha lanciato una campagna di propaganda che mira sia alla comunità swahilofona, sia alla vasta musulmana anglofona. Gaidi Mtaani ha una veste grafica sofisticata, ricca di immagini ed estremamente accattivante, gli articoli, in swahili e inglese, sono ben scritti e spaziano da temi in cui si denigrano le strutture statuali keniane a pezzi sul jihad globale (10). La ricerca di attacchi “spettacolari” come quello di Westgate rientrano in una logica di competizione globale tra movimenti jihadisti costantemente alla ricerca di attenzione mediatica e attrattività per foreign fighters. La propaganda mediatica in swahili si è rivelata particolarmente efficace in Tanzania, negli attacchi in Kenya si è registrata una crescente partecipazioni di combattenti tanzaniani.
La frontiera che separa il Kenya dalla Somalia e i traffici che l’attraversano hanno avuto un’importanza vitale per As. Infatti, il gruppo è riuscito a mettere le mani sul traffico di zucchero, una delle attività che ha potuto prosperare grazie alla porosità dei 680 chilometri di frontiera che divide i due paesi. L’export di carbone dalla Somalia è stato (ed è) uno dei core business di As nel paese; per incrementarne gli introiti i contrabbandieri hanno messo in piedi un flusso di traffico bidirezionale. Il sistema è semplice: le navi che hanno scaricato il carbone nei porti del Golfo, fanno ritorno a Chisimaio cariche di zucchero. Lì i sacchi vengono caricati su camion che sfrecciano quotidianamente verso il Kenya, dove attraversano una serie di posti di blocco, di cui solo alcuni sono gestiti da As (11). Gli investigatori del Monitoring Group delle Nazioni Unite hanno espresso sospetti circa l’esistenza di un accordo di spartizione sui proventi del business carbonifero tra As, Kdf e amministrazione del Jubaland – lo stato regionale somalo che governa su Gedo, Basso e Medio Giubba (12). Mentre secondo recenti indagini giornalistiche questo accordo si estenderebbe anche al traffico di zucchero illegale (13).
Ad oggi, le risposte di controterrorismo del Kenya non hanno sortito l’effetto atteso, anzi in molte occasioni As ha saputo sfruttarne le criticità intrinseche. Però appare doveroso segnalare i nuovi sforzi messi in atto nella provincia nord orientale (Mandera, Wajir, Garissa). In una delle zone del paese dove la presenza di al-Shabaab sembrava aver attecchito endemicamente facendo leva sulla marginalizzazione dei somali-keniani, il governo ha lanciato un nuovo piano per la sicurezza basato su un collegamento più organico e fluido tra apparati di sicurezza del governo centrale e personale del luogo, capace di attivare sistemi di conciliazione locale e di beneficiare di reti d’intelligence informale (14). Sebbene sia ancora presto per trarre un bilancio, è giusto riconoscere che, come in Somalia, i meccanismi più efficaci nel contenere la minaccia di As sono quelli che attribuiscono alle comunità locali un ruolo di primo piano nella prevenzione e nella de-radicalizzazione (15).
Attualmente As è tutt’altro che indebolito. Il movimento muta costantemente strategie e tattiche, approfittando della scarsa reattività dei suoi avversari per riorganizzarsi e colpirli duramente. Attualmente in Somalia è in una fase di espansione militare, riscuote tributi in ogni città e in ogni settore, mantiene efficienti strutture per la risoluzione di controversie e continua ad offrire un’alternativa appetibile grazie al suo modello di “welfare” e alle sue leve finanziare. In Kenya, invece, il gruppo continua a mantenere una presenza sull’arco nord orientale e costiero, che alimenta i sospetti circa la commistione d’interessi economici tra As e i vertici dell’esercito keniota, gettando così un’ulteriore luce di discredito sulla bontà dell’intera strategia di contrasto ad al-Shabaab.
[1] D.M Anderson e J. Mc Knight, “Understanding al-Shabaab: clan, Islam and Insurgency in Kenya”, Journal of East African Studies, Vol 9 No 3, 2015, p:549
[2] Nell’ottobre del 2011 il Kenya ha invaso unilateralmente la Somalia. L’operazione Linda Nchi (proteggere la nazione) mirava a contenere la presenza di AS all’interno delle frontiere somale. Un mese dopo l’inizio delle operazioni, i contingenti KDF sono stati assorbiti da AMISOM.
[3] International Crisis Group, Kenyan Somali Islamist Radicalisation, ICG Africa Report 85, 2012, Bruxelles-Nairobi, p:6
[4] D.M Anderson e J. Mc Knight, op. cit.
[5] Matt Bryden, The Decline and Fall of al Shabaab? Think Again, Sahan Report, Nairobi, aprile 2015, p: 9, disponibile online: https://somalianews.files.wordpress.com/2015/05/bryden-decline-and-fall-of-al-shabaab-22v2015.pdf
[6] Human Rights Watch, Kenya: Killings, Disappearances by Anti-Terror Police, 18 agosto 2014, disponibile online: https://www.hrw.org/news/2014/08/18/kenya-killings-disappearances-anti-terror-police
[7] Amnesty International, Kenya: Somalis scapegoated in counter-terror crackdown, disponibile online: https://www.amnesty.org/en/latest/news/2014/05/kenya-somalis-scapegoated-counter-terror-crackdown/
[8] Anneli Botha, “Radicalisation in Kenya; Recruitment to Al-Shabaab and the Mombasa Republican Council”, Institute for Security Studies, Paper no. 265, settembre 2014, p.20 disponibile online: https://www.issafrica.org/uploads/Paper265.pdf
[9] International Crisis Group, Kenya: Al-Shabaab – Closer to Home, Africa Brifing N 105, 25 settembre 2014, p:15, disponibile online: http://www.crisisgroup.org/~/media/Files/africa/horn-of-africa/kenya/b102-kenya-al-shabaab-closer-to-home.pdf
[10] Il settimo numero di Gaid Mtaani è disponibile online: https://azelin.files.wordpress.com/2015/02/gaidi-mtaani-issue-7.pdf
[11] Journalist for Justice, Black and White: Kenya’s Criminal Racket in Somalia, Novembre 2015, pp-15-27, disponibile online: http://www.jfjustice.net/userfiles/file/Research/Black%20and%20White%20Kenya's%20Criminal%20Racket%20in%20Somalia.pdf
[12] United Nations, Report of the Somalia and Eritrea Monitoring Group, 13 October 2014, p. 340 disponibile online: http://www.un.org/ga/search/view_doc.asp?symbol=S/2014/726
[13] Journalist for Justice, Black and White, op. cit.
[14] International Crisis Group, Kenya’s Somali North East: Devolution and Security, Africa Briefing N 114, Bruxelles-Nairobi, 17 novembre 2015, disponibile online: http://www.crisisgroup.org/en/regions/africa/horn-of-africa/kenya/b114-kenya-s-somali-north-east-devolution-and-security.aspx
[15] Matt Bryden, Race Against Time in Somalia, conferenza al Center for Strategic & International Studies, Washington DC, 24 marzo 2016, disponibile online: https://www.youtube.com/watch?v=lZmWu2Yf57I
Alessandro Bisogni, Independent Consultant, ha lavorato come analista in Somalia sia per UNSOM che per AMISOM