In Bolivia c’è un golpe?

Dopo tre settimane di proteste e un invito dei militari “a farsi da parte”, Evo Morales rassegna le dimissioni e si rifugia in Messico. Per i sostenitori di Morales, come il presidente argentino Alberto Fernandez, nel paese andino è in atto “un colpo di Stato”. Per altri, come il presidente americano Donald Trump, è “un momento significativo per la democrazia”.
Evo Morales rinuncia alla presidenza e chiede asilo politico in Messico, ma denuncia “un golpe civile, politico e della polizia” in corso in Bolivia. Si conclude – almeno per il momento – dopo tre settimane di proteste di piazza e su pressione delle forze armate, la parabola politica del primo presidente indigeno della storia della Bolivia. La crisi nel paese andino si era aperta dopo la diffusione dei risultati delle elezioni del 20 ottobre scorso. La vittoria risicata al primo turno di ‘El Indio’ sullo sfidante Carlos Mesa, contestata dalle opposizioni, era stata messa in dubbio anche dagli osservatori dell’Osa (Organizzazione degli Stati americani), secondo cui c’erano state “gravi irregolarità” nello spoglio. Quando, dopo giorni di scontri e violenze, Morales ha annunciato nuove elezioni, l’opposizione è passata a chiedere le dimissioni irrevocabili. Decisivo è stato il voltafaccia dell’esercito che tramite il comandante generale delle forze armate Williams Kaliman ha “suggerito” a Morales di dimettersi, “consentendo la pacificazione e il mantenimento della stabilità”. Nei giorni scorsi, in solidarietà con Morales, avevano rassegnato le dimissioni anche il vicepresidente e i presidenti dei due rami del parlamento: le cariche istituzionali più importanti del paese.
Come è cambiato il paese in 14 anni?
Salito al potere il 22 gennaio 2006, Morales ha cambiato fortemente il volto del paese, sottoponendo l’economia boliviana a un programma di riforme e nazionalizzazioni che hanno diminuito la percentuale di abitanti in povertà assoluta dal 35% al 15%, aumentandone al contempo l’alfabetizzazione. Quello che molti hanno definito il "miracolo economico boliviano" è frutto di una ricetta fatta di sussidi, servizi essenziali come la creazione di reti idriche, elettriche, e di telecomunicazioni e l’adozione di un programma di assicurazione sanitaria universale. Il paradosso della crisi boliviana è tutto qui: dal 1990 al 2017, l’aspettativa di vita dei boliviani è passata da 56 a 71 anni. Nel 2019 secondo le previsioni del Fondo Monetario Internazionale, la disoccupazione si attesterà al 4%. Il risultato migliore nell’intero continente americano dopo Stati Uniti e Messico. Mentre il tasso di crescita del prodotto interno lordo toccherà il 4,1%. Il più alto dell’America Latina.
Una rielezione controversa?
La crisi politica ha radici profonde: nel 2016 un referendum ha bocciato – con il 51% dei voti contrari – una modifica della Costituzione voluta da Morales per stralciale dalla carta fondamentale il limite di due mandati alla presidenza. Successivamente, un ricorso del partito di Morales ha ottenuto dalla Corte Costituzionale una sentenza che dichiarava i limiti di mandato una violazione del diritto di un cittadino a candidarsi. “Il rifiuto di Morales di accettare il risultato del referendum nel 2016 ha rafforzato l'opposizione – osserva Antonella Mori, docente e analista ISPI – e portato alla formazione di piattaforme di cittadini che hanno lanciato proteste contro la sua candidatura nel 2019, definendola illegale.”
Rischio guerra civile?
“Mi dimetto perché i miei fratelli e sorelle, dirigenti del movimento socialista non siano perseguitati e minacciati. Ma denuncio che quello in atto è un golpe civile”: con queste parole, pronunciate in un discorso in diretta televisiva lunedì sera, Evo Morales ha rassegnato le dimissioni, promettendo al contempo ai propri sostenitori che tornerà nel paese “presto, con più forza ed energia”. Nei giorni precedenti si erano già registrati vari ammutinamenti della polizia, attacchi ai media e atti di violenza, come quello contro la sindaca di Vinto, Patricia Arce, del Movimiento al Socialismo (MaS), il partito di Morales, a cui i manifestanti hanno tagliato a forza i capelli e versato addosso della vernice rossa.
Insieme al presidente si sono dimessi il suo vice Alvaro García Linera e i presidenti dei due rami del parlamento boliviano. Quindi non è affatto chiaro chi assumerà la presidenza e convocherà le prossime elezioni. A rivendicare l’incarico è Jeanine Anez Chavez, vice-presidente del Senato ed esponente del partito di opposizione Unione Democratica. Toccherà a lei guidare il paese attraverso una delicata fase di transizione? Se la Costituzione non è chiara al riguardo, di sicuro il passaggio dei poteri dovrà essere approvato dal parlamento, che però è controllato dal MaS.
Non è ben chiaro quale sarà il destino del presidente uscente, ma in un tweet (successivamente smentito dalla polizia) il leader dei comitati civici Luis Fernando Camacho ha annunciato l’emissione di un mandato d’arresto a suo nome. Intanto nel paese il rischio di scontri violenti tra opposizione e sostenitori del MaS è concreto: centinaia di campesinos che sostengono Morales si sono messi in marcia lunedì pomeriggio verso il centro della capitale La Paz dalle montagne che circondano la città. Il loro slogan è "eccoci qui, guerra civile". Nelle ultime 24 ore la capitale e la vicina città di El Alto, sono state teatro di vandalismi e violenze da parte di militanti di entrambi gli schieramenti, che hanno incendiato edifici e veicoli privati e pubblici, saccheggiando negozi e supermercati. La polizia è intervenuta soltanto quando il suo comandante in capo, il generale Yuri Calderon, vicino al governo uscente, ha rinunciato al suo incarico.
Apparso accanto a Morales in diretta televisiva, anche il vicepresidente García ha rivolto parole accorate ai boliviani. Nel suo discorso, ha citato una frase attribuita all'eroe indigeno Túpac Katari, giustiziato dalle autorità spagnole nel 1781:"Torneremo – ha detto – e saremo milioni".
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A cura della redazione di ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca, ISPI Advisor for Online Publications)