Pubblicato su ISPI (https://www.ispionline.it)

Home > Brexit: ultimo round

Brexit: ultimo round

Venerdì, 11 settembre, 2020 - 09:30
Il piano di Johnson

Si è aperto questa settimana l’ottavo round di negoziazioni tra il capo negoziatore Ue, Michel Barnier e quello britannico, David Frost. L’obiettivo è quello di arrivare a un accordo di libero scambio tra il Regno Unito e l’Ue da avviare a gennaio prossimo. I punti su cui ormai da mesi non si riesce a trovare la quadra sono principalmente due: la pesca e le regole del gioco sulla concorrenza, e in particolare sugli aiuti di stato (ne abbiamo trattato recentemente in questo articolo di Global Watch). Ma mentre il futuro dei rapporti tra Londra e Bruxelles rimane ancora legato all’esito delle negoziazioni, il premier Johnson ha sorpreso tutti mettendo in discussione anche quanto già deciso in passato – e sottoscritto da Johnson stesso – sull’accordo di recesso, ovvero i termini del ‘divorzio’ dall’Ue. Una presa di posizione che ha suscitato aspre critiche sia all’interno del Regno Unito che nell’Ue. In pericolo non c’è solo il futuro accordo di libero scambio, ma l’insieme delle relazioni tra Ue e UK. Quali punti dell’accordo di recesso sta mettendo in discussione Johnson? E cosa spera di ottenere?

 

Irlanda del Nord: se decide solo Londra

Nell’infinito dramma in cui negli anni si è trasformata la questione Brexit, con colpi di scena e cambi di regia inaspettati, ci mancava ancora di assistere allo spettacolo di un ministro del governo britannico – nello specifico il segretario per l’Irlanda del Nord Brandon Lewis – costretto ad affermare davanti al Parlamento britannico che la recente legislazione proposta dal governo sul mercato interno britannico rappresenta una violazione di un trattato internazionale, quale appunto è l’accordo di recesso. Senza girarci troppo intorno un paese come il Regno Unito che da sempre gode di una altissima credibilità nel mondo e che fa del rispetto della ‘rule of law’ un caposaldo del proprio ordinamento, è pronto a venir meno a un proprio impegno sottoscritto appena pochi mesi fa con altri 27 paesi (quelli dell’Ue).

Il tema su cui il governo Johnson si appresta a una decisione ‘storica’ per il proprio paese è quello più spinoso, sin dall’inizio, dell’epopea Brexit: l’Irlanda del Nord. Per comprenderlo bisogna fare un passo indietro. Dopo l’esito del referendum su Brexit, sia l’Ue che UK concordavano quanto meno su un punto: il rispetto degli ‘accordi del Venerdì santo’ che escludono la presenza di una barriera/dogana tra l’Irlanda del Nord (territorio britannico) e la Repubblica d’Irlanda. Nasceva però il problema di capire che ne sarebbe stato di quelle merci provenienti dalla Gran Bretagna e in transito dall’Irlanda del Nord verso l’Irlanda. Non essendoci una dogana queste merci sarebbero potute entrare in Irlanda – e quindi nel mercato unico europeo – senza pagare alcun eventuale dazio (nel caso di un mancato accordo di libero scambio tra UK e Ue) e senza alcun controllo di tipo regolamentare.

Nell’accordo di recesso la questione viene affrontata in uno specifico protocollo sull’Irlanda del Nord che prevede che le merci inglesi in entrata nell’Irlanda del Nord saranno soggette a controlli e adempimenti doganali. Se la stessa merce proseguirà il proprio cammino verso l’Irlanda dovrà essere pagato un dazio (nel caso in cui Ue e UK non sottoscrivessero entro fine anno un accordo di libero scambio). In pratica è come se nel Mare d’Irlanda (che separa appunto l’Irlanda del Nord dalla Gran Bretagna) ci fosse una dogana. Un compromesso che Johnson aveva dovuto accettare pur di ritirarsi dall’unione doganale con l’Ue e tenersi le mani libere nel siglare accordi commerciali con il resto del mondo.

Quindi l’Irlanda del Nord rimane in buona parte dentro il mercato unico europeo – facendone rispettare eventuali dazi e relative regolamentazioni – diversamente da quanto accade per il resto del Regno Unito (inevitabili quindi le proteste degli unionisti nordirlandesi). Questo è proprio quello che ora mette in discussione Johnson presentando una proposta di legge su come si organizzerà il mercato interno britannico (Internal Market Bill) dal prossimo anno (anche nella prospettiva in cui non ci fosse alcun accordo con l’Ue). Nello specifico la nuova proposta di legge concederebbe al governo britannico la facoltà di ignorare o disattendere in parte le regole doganali europee nell’Irlanda del Nord (ad esempio non compilando la documentazione relativa); in un momento successivo il governo britannico potrebbe addirittura spingersi al punto di non condividere con l’Ue (come invece dovrebbe fare attraverso un ‘joint committee’) l’identificazione di quei prodotti ritenuti a rischio di esportazione nell’Ue nel caso di un mancato accordo di libero scambio. Inoltre la proposta di legge concederebbe al governo britannico la libertà di interpretare in modo estensivo le regole europee sugli aiuti di stato (soprattutto in merito all’Irlanda del Nord), anche non seguendo le direttive/interpretazioni della Corte di Giustizia europea. A scanso di equivoci, sempre nel testo, si precisa che alcune disposizioni avranno effetto “malgrado la loro incongruenza o incompatibilità con il diritto internazionale o altra disposizione di legge britannica” (Internal Market Bill).

Insomma il governo Johnson sarebbe pronto a infrangere un Trattato internazionale, che esso stesso ha peraltro firmato pochi mesi fa. Inevitabile la reazione europea con la presidente della Commissione europea che si è definita “molto preoccupata” e ricorda che “Pacta sunt servanda”. L’Unione europea ha inoltre intimato al governo britannico di ritirare la proposta di legge entro fine settembre. Se non lo farà, partirà un’azione legale che potrebbe portare a multe per Londra.

 

La scommessa di Johnson

Nel giro di una settimana Boris Johnson ha presentato una proposta di legge in contrasto con l’accordo di recesso e annunciato che il Regno Unito è pronto ad andare avanti sulla strada del ‘no deal’ se entro il 15 ottobre non verrà trovato un accordo con l’Ue sui futuri rapporti bilaterali. Potrebbe trattarsi di una strategia negoziale ‘al rialzo’ per ottenere le massime concessioni possibili da Bruxelles. O Johnson potrebbe parlare in realtà al proprio partito e ai propri elettori nel momento in cui il suo governo viene aspramente criticato per la gestione dell’emergenza Covid-19. Brexit e la difesa della sovranità nazionale rappresentano un utile espediente per coagulare consensi. O più probabilmente si tratta di un mix delle due cose.

In ogni caso è una scommessa e, come per ogni scommessa, Johnson rischia di perderla pagandone il prezzo: il mancato accordo. Tanto più perché le chances di successo sembrano assottigliarsi. La possibilità che il governo britannico possa addirittura disattendere un trattato internazionale già in vigore rischia infatti di rendere più intransigenti gli europei in merito agli accordi futuri, come quelli legati alla condivisione di informazioni (ad esempio sugli aiuti di Stato) o agli standard (ambientali, lavorativi, fitosanitari ecc.) che Londra si impegnerebbe a mantenere a un livello sostanzialmente simile a quello comunitario. Non sarebbe, infatti, il caso di prevedere meccanismi di sorveglianza e sanzionatori più stringenti di quelli in corso di negoziazione? Insomma a incrinarsi sarebbe proprio il rapporto di fiducia, con conseguenze che andrebbero ben oltre la sfera prettamente economico-commerciale.

Johnson dovrebbe peraltro dubitare molto del ragionamento per cui alla fine l’industria europea, che avrebbe certamente da perdere da un’uscita senza accordo, riuscirà a spingere i politici europei verso posizioni più accomodanti. Nel contesto economico post-Covid l’economia europea (e non solo) va verso la sovrapproduzione in molti settori nei quali è già previsto un ridimensionamento delle attività con la chiusura di stabilimenti all’estero (inclusi quelli britannici). Tanto più che questo avviene in un contesto di sospensione delle tradizionalmente stringenti regole europee sugli aiuti di Stato alle imprese; aiuti che non cesseranno nel futuro più prossimo e che danno maggior respiro alle imprese europee. Ciò non vuol dire che l’impatto sull’economia europea di una Brexit senza accordo sarebbe irrilevante, ma che la voglia da parte Ue di un compromesso a tutti i costi potrebbe essere meno forte di quanto ci si sarebbe aspettati prima del coronavirus. Boris Johnson sta quindi facendo una scommessa in un momento in cui i rischi per un risultato avverso (il mancato accordo) stanno aumentando. O detto in altri termini, Johnson rischia il ‘knock out’ all’ultimo round se pensa che l’Ue sia disposta a sacrificare il proprio mercato unico sull’altare di Brexit.

Autore: 

Antonio Villafranca

Antonio Villafranca
ISPI Director of Studies

URL Sorgente (modified on 16/09/2020 - 10:00): https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/brexit-ultimo-round-27364?gclid=EAIaIQobChMI7abkweLt6wIVBc13Ch2ZMwH-EAAYASAAEgI1hvD_BwE