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Cina e Stati Uniti: in rotta sul Pacifico

Venerdì, 27 maggio, 2022 - 18:00
Grandi potenze

Il ministro degli Esteri cinese Wang Yi in missione nel Pacifico meridionale, dove Pechino contende agli Stati Uniti il ruolo di ‘garante’ della stabilità.

 

Ufficialmente si chiama ‘Common Development Vision’. Nei fatti è la risposta cinese all’Ipef (Indo-Pacific Economic Framework), la strategia di ‘contenimento’ messa in piedi da Washington per contrastare l’ascesa di Pechino nell’Indo-Pacifico. A presentarla è il ministro degli Esteri cinese Wang Yi in un lungo tour (dal 26 maggio al 4 giugno) tra le isole Figi, Kiribati, Papua Nuova Guinea, Samoa, Timor Est, Tonga e Vanuatu. Alle Isole Cook, Niue e agli Stati federati della Micronesia, invece, il piano sarà illustrato in videoconferenza. Otto paesi in 10 giorni per portare a casa un vasto accordo di sicurezza economica che – sottolinea la CNN – ha come obiettivo sancire il primato dell’influenza di Pechino nella regione. Secondo la bozza di accordo – i cui dettagli non sono stati resi noti e di cui la stampa non ha ricevuto copia, alimentando retroscena e interrogativi – il piano d'azione, in cinque anni, permetterebbe al governo cinese di fornire addestramento alle polizie locali mentre prevedrebbe cooperazione in materie diverse, dal supporto informatico allo sviluppo di infrastrutture. Tanto quanto basta per allarmare Stati Uniti e alleati, Australia in primis, fino a pochi anni fa unici ‘garanti’ della sicurezza degli stati insulari del Pacifico, ma che Pechino ha abilmente ‘doppiato’ proprio grazie a una massiccia politica di investimenti nella regione. Massiccia al punto da aver portato appena un mese alla firma del primo accordo di sicurezza bilaterale mai siglato tra la Cina e uno stato insulare del Pacifico, con le Isole Salomone. Il timore di Stati Uniti, Australia e Nuova Zelanda è che tale accordo in realtà costituisca il primo passo per assicurarsi una base militare nell’arcipelago, a soli 2mila chilometri dalla costa orientale dell’Australia. E che sia solo il primo di una lunga serie. 

 

 

 

Diplomazia in fermento

È comprensibile come quindi il tour di Wang e la bozza di un nuovo accordo di partenariato regionale abbiano fatto suonare nuovi campanelli d'allarme a Washington, Canberra e Wellington. La ministra degli Esteri del neoeletto governo laburista australiano Penny Wong ha indicato il Pacifico come “massima priorità del suo mandato”, dopo aver definito il patto Cina-Salomone come “il più grande errore strategico dell'Australia dalla Seconda guerra mondiale”, annunciando che si impegnerà a contrastarlo. Appena rientrata dal vertice del Quad a Tokyo con i leader di Usa, Giappone e India, Wong è volata alle Isole Figi per incontrare il primo ministro Frank Bainimarama, prima di partire anche lei per un tour nella regione, in vista del South Pacific Forum, cui aderiscono 16 stati insulari oltre ad Australia e Nuova Zelanda. Le visite parallele dei due ministri degli Esteri, osservano i quotidiani australiani, rendono bene la crescente competizione in materia di politica estera e commerciale nei rapporti con i vicini più prossimi. Dopo il ‘mea culpa’ per il “decennio perso” dall’Australia come partner di riferimento nel Pacifico durante il governo conservatore di Scott Morrison, Wong non ha risparmiato frecciate nei confronti di Pechino, sottolineando come l’Australia sia un “partner che non impone oneri finanziari insostenibili”, che “non erode le priorità o le istituzioni del Pacifico” e “crede nella trasparenza”.

 

Iniziativa a tutto campo?

L’iniziativa cinese - che impegnerebbe la Cina a raddoppiare entro il 2025 il volume del commercio bilaterale, avanzando persino la possibilità di creare di una 'Free Trade Area' – è a tutto campo. Riguarda infatti – secondo quanto riferisce il Guardian - commercio, infrastrutture, energia, agricoltura, investimenti, turismo, salute pubblica, sostegno nella lotta al Covid-19 e scambi culturali. Obiettivo ambizioso che si iscrive in quella che Pechino sta promuovendo come la sua Global Security Initiative (GSI), una proposta per un ordine di sicurezza alternativo, per riscrivere le regole dell’ordine mondiale. Presentata dal presidente Xi Jinping ad aprile, l'iniziativa è un insieme di principi politici come “la non interferenza” e una revisione dell’ordine internazionale attuale, considerato troppo “sbilanciato” a favore dell’Occidente. In un video discorso ai ministri degli Esteri del Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa) lo scorso 19 maggio, il presidente cinese XI Jinping ha esortato gli alleati a “opporsi all'egemonismo e alla politica di potere, rifiutare la mentalità della guerra fredda, bloccare il confronto e lavorare insieme per costruire una comunità globale di sicurezza per tutti”.

 

Riconquistare i cuori?

Come dimostrato dalle Figi, il fronte degli insulari non è compatto sulla firma dell’accordo, e il presidente degli Stati federati di Micronesia, David Panuelo, ha inviato una missiva ai 21 leader degli Stati insulari del Pacifico meridionale invitandoli a respingere un accordo che rischia di trasformare l’intera regione in terreno di scontro per “una nuova guerra fredda” tra Stati Uniti e Cina. Le attenzioni di Pechino, tuttavia, trovano terreno fertile in paesi che hanno a lungo accusato l'Australia e i suoi alleati in Occidente di non prendere sul serio le loro preoccupazioni sul clima, che per molti di loro è già una minaccia esistenziale. Nel 2015, l'allora primo ministro Tony Abbott e il suo ministro dell'immigrazione, Peter Dutton, furono persino sorpresi a scherzare e deridere il Pacifico per le sue preoccupazioni sull'innalzamento del livello dei mari. Mentre gli Stati Uniti sono accusati di un generale disinteresse e di voler minare l’influenza della Cina piuttosto che rispondere alle istanze dei leader del Pacifico. Commentando la situazione al Guardian, un diplomatico occidentale ha riconosciuto che “esiste un vuoto lasciato nella regione dai partner tradizionali”, e che “si dovrà lavorare sodo per riconquistare i cuori delle popolazioni del Pacifico”.

 

Speciale Ucraina

Il commento di Paolo Magri, Vice Presidente Esecutivo di ISPI


Gli ultimi sviluppi 

  • Il primo ministro italiano Mario Draghi chiama il presidente russo Vladimir Putin, nel tentativo di sbloccare il grano fermo nei depositi ucraini ed evitare una crisi alimentare globale. Ma “sulla pace non vedo spiragli”, ha detto il premier. 
  • L’esercito russo sta avendo il sopravvento su quello ucraino nell’est del paese dove il conflitto ha raggiunto la “massima intensità”, secondo le autorità di Kiev.
  • L'amministrazione Biden si starebbe preparando a inviare all'Ucraina i missili a lungo raggio che Kiev chiede da tempo e che considera essenziali per “la svolta nella guerra contro la Russia”.
  • Secondo un bilancio dell’Onu sarebbero più di 4mila le vittime civili dall’inizio del conflitto. Tra questi ci sono almeno 261 bambini.

 

 

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A cura della redazione di  ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca,  ISPI Advisor for Online Publications.


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