Cina nel Mediterraneo: scambi, infrastrutture e hi-tech

Cresce la presenza della Cina in Medio Oriente e Nord Africa, con interessi che vanno ben oltre gli idrocarburi. Se infatti l’area MENA nel suo complesso costituisce la principale fonte di approvvigionamento energetico del gigante asiatico – è da qui che proviene il 52% delle importazioni cinesi di petrolio, mentre il solo Qatar fornisce un terzo del fabbisogno di gas –, negli ultimi anni le relazioni economiche di Pechino con i paesi della regione si sono intensificate, estendendosi ad altri ambiti. La Cina è diventata uno dei principali fornitori di beni dell’area MENA. Nel 2016 l’interscambio dei paesi della regione con la Cina è stato pari a 186 miliardi di dollari, superando di misura gli Stati Uniti (148 miliardi di dollari), e distanziando i principali partner europei: Germania (90 miliardi di dollari), Italia (75 miliardi di dollari), Francia (66 miliardi di dollari) e Gran Bretagna (52 miliardi di dollari)[1]. Viste le potenzialità delle relazioni economiche, l’obiettivo cinese sarebbe quello di raggiungere quota 600 miliardi di dollari di interscambio nel 2025.
Anche tra gli investitori Pechino detiene il primato dell’area MENA con 29,5 miliardi di dollari, rappresentando il 31,9% del totale (nel 2016), seguita dagli Emirati Arabi Uniti (EAU) con 15,2 miliardi di dollari (pari al 16,45% del totale), e dagli Stati Uniti con 7 miliardi di dollari (7%)[2]. Se si considerano solo i paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo, la Cina è il quarto investitore dopo USA, EAU e Gran Bretagna.
Con il lancio della Belt and Road Initiative (BRI), la strategica nuova Via della Seta promossa da Pechino per connettere in maniera più efficiente Asia ed Europa ma anche per estendere la proiezione economica cinese sul continente asiatico e oltre, il settore delle infrastrutture è quello che presenta maggiori opportunità per gli investimenti cinesi. NeIl’ambito della BRI il Mediterraneo orientale riveste infatti una posizione strategica in quanto punto di incontro delle due rotte, terrestre e marittima, della Via della Seta. Ferrovie, autostrade, porti e infrastrutture energetiche sono i settori che stanno maggiormente attirando i capitali cinesi e che presentano un più elevato potenziale di crescita. L’acquisizione più rilevante riguarda il 67% dell’Autorità del porto greco del Pireo nel 2016, segnale di un forte interesse nel Mediterraneo come hub strategico per la BRI. In quest’ottica si inserisce anche il potenziamento dei porti nella parte orientale del bacino mediterraneo, in cui Turchia e Israele rappresentano degli snodi chiave.
In Israele già nel 2014 la Pan-Mediterranean Engineering Ltd, una sussidiaria della China Harbour Engineering Company, si era aggiudicata un appalto del valore di 950 milioni di dollari per la costruzione di un porto a sud di Ashdob. Un anno dopo, Shanghai International Port Group (SIPG), con un’offerta di 2 miliardi di dollari, ha ottenuto la gestione del porto di Haifa per un periodo di 25 anni a partire dal 2021. L’importanza strategica di questo investimento per la BRI è stata sottolineata dal chairman della SIPG, Chen Xuyuan, secondo cui “investire a Haifa sarà utile per rafforzare la relazioni tra il porto di Shanghai e gli altri porti lungo la rotta marittima della Via della Seta, e per formare una più stretta rete commerciale tra il porto di Shanghai e i porti europei”.
L’attrazione della Cina nei confronti di Israele è duplice. Se da un lato cresce il coinvolgimento cinese nei progetti infrastrutturali – porti, strade e ferrovie – considerati cruciali nell’ambito della BRI, dall’altro vi è un forte interesse per l’eccellenza israeliana in materia di innovazione tecnologica e per l’acquisizione di know-how in quest’ambito. Con quest’obiettivo aziende cinesi leader nel settore tecnologico hanno creato in Israele centri di ricerca e sviluppo e start-up focalizzate su big data, intelligenza artificiale e Internet of things (IoT). Secondo Bloomberg, il totale degli investimenti cinesi in campo tecnologico sarebbe raddoppiato nel 2016, registrando quota 37,8 miliardi di dollari.
Inoltre, lo scorso aprile si è costituita la prima associazione delle imprese cinesi – circa 30 – presenti in Israele con l’obiettivo di creare una piattaforma di sviluppo nel paese e favorire le relazioni bilaterali. Relazioni che nell’ultimo anno, dalla creazione della partnership globale innovativa nel marzo del 2017, si sono considerevolmente intensificate. Con un interscambio commerciale che nel 2017 ha superato 13 miliardi di dollari, registrando un più 15,6% rispetto all’anno precedente, la Cina è diventato il primo partner di Israele in Asia e il terzo a livello mondiale. Inoltre gli investimenti cinesi hanno raggiunto quota 6,5 miliardi di dollari, cifra che sembra destinata ad aumentare nel breve e medio termine alla luce degli interessi di Pechino nell’approfondire la cooperazione con Tel Aviv nei settori delle infrastrutture, investimenti, high-tech e green agriculture. A riprova della dinamicità e delle potenzialità delle relazioni tra i due paesi, il gruppo bancario HSBC ha annunciato la creazione di un desk Cina in Israele per favorire i flussi commerciali e gli investimenti[3]. Non da ultimo, oltre agli investimenti, è cresciuto il flusso di turisti cinesi verso Israele, ben 117.000 nel 2017, cifra che ha superato la quota 100.000 auspicata dalle autorità israeliane un paio di anni prima.
Se le relazioni con Israele rappresentano uno degli esempi più dinamici, gli interessi della Cina nella regione sono destinati ad aumentare e a estendersi ad ambiti non strettamente economici. La stabilità dei paesi dell’area rappresenta infatti una prerogativa per la tutela degli interessi e degli investimenti cinesi.
1. Dati UNCTAD ed Eurostat.
2. Investment Climate in Arab Countries, Dhaman Investment Attractiveness Index, www.dhaman.org
3. Avviati nel 2012, i Desk Cina di HSBC sono oggi dislocati in 40 paesi tra Asia-Pacifico, Medio Oriente, Africa Europa e Americhe, fornendo supporto a clienti cinesi che intendono operare nei mercati esteri.