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Consiglio Ue: in gioco il futuro dell’Europa

Giovedì, 23 giugno, 2022 - 16:45
Daily focus

I 27 scelgono il ‘sì’ alla candidatura dell’Ucraina nell’Ue. Per dare un messaggio a Putin, ma la posta in gioco è il futuro dell’Unione.

 

È un tavolo carico di dossier quello attorno al quale i capi di stato e di governo si riuniscono oggi e domani a Bruxelles. C’è la domanda per lo status di candidato da parte di Ucraina, Georgia e Moldavia, gli aiuti economici a Kiev, le sanzioni contro la Russia, i tagli alle forniture di energia, il blocco del grano ma anche l'adozione dell'euro da parte della Croazia, e a margine del Consiglio si è tenuto anche il vertice tra l'Unione europea e i paesi dei Balcani occidentali. I leader di Serbia, Albania e Macedonia del Nord hanno deciso di partecipare dopo aver inizialmente minacciato un boicottaggio per il veto della Bulgaria al percorso di adesione della Macedonia del Nord all'Ue. E mentre nell’est dell’Ucraina si intensificano i combattimenti, persistono le tensioni sul blocco delle merci a Kaliningrad: la Lituania dice che Mosca mente perché riguarda solo l'1% dei beni. Tanti interrogativi da sciogliere, poche certezze. Tra queste che il futuro dell’Unione Europea dipenderà dalle decisioni che prenderà in questi giorni e in queste settimane: “È un momento decisivo – ha detto il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, in apertura dei lavori – ci sono scelte geopolitiche che verranno fatte oggi”. 

 

 

Ucraina nell’Ue?

La decisione sullo status di candidato dell'Ucraina, che sarà presa dai 27 capi di stato e di governo dell'Ue in un vertice di due giorni a Bruxelles, darà un enorme impulso morale al paese dilaniato dalla guerra”, ha sottolineato la presidente della Commissione Ursula von der Leyen in un discorso al Parlamento europeo. Innegabile, certo, ma al di là del via libera verso l’adesione sembra che i paesi europei abbiano poco altro da offrire all'Ucraina nell’immediato nella sua lotta per la sopravvivenza. Dopo la faticosa approvazione del sesto pacchetto di sanzioni contro Mosca, compreso l’embargo a gran parte delle importazioni di petrolio russo entro la fine dell’anno, la discussione di un settimo non è in agenda: le misure punitive finora non sembrano aver avuto effetti deterrenti sul presidente russo Vladimir Putin, nonostante i pesanti costi per le economie europee. Nell’attuale bozza di conclusioni, i 27 affermano vagamente che “continueranno a lavorare sulle sanzioni, anche per rafforzarne l’attuazione e prevenire l'elusione”. Allo stesso modo nessun annuncio significativo sembra essere neanche per le armi: uno scollamento tra l'incoraggiamento alla futura adesione dell'Ucraina all'Ue e la vaga retorica quando si tratta delle attuali esigenze del paese che “ha lasciato funzionari e diplomatici ucraini a camminare sul filo del rasoio politico – osserva Politico – esprimendo profonda e genuina gratitudine e sottolineando al tempo stesso che è necessario molto di più per garantire la vittoria militare, comunque la si voglia definire”.

 

Doccia fredda sui Balcani?

Il tema dell’allargamento torna al centro del dibattito europeo, e non solo per l’Ucraina. La notizia del probabile riconoscimento a Kiev dello status di candidato all’adesione può essere letta come una doccia fredda per i paesi dei Balcani Occidentali, alcuni dei quali sono in attesa da anni di veder riconosciute le proprie aspirazioni europeiste. Tra questi Serbia e Montenegro, già a metà del guado negoziale, e Albania e Macedonia del Nord, bloccate dal ‘no’ della Bulgaria per una rivendicazione identitaria con Skopje. Proprio sullo sblocco del veto all'adesione della Macedonia del Nord, ieri il governo di Sofia è stato sfiduciato in parlamento con una mozione dell'opposizione e oggi Sofia ha nuovamente bloccato la procedura scatenando la dura reazione dei paesi interessati. “Lasciatemi esprimere il mio profondo lutto per l'Unione europea. Mi dispiace per loro”, ha detto il premier albanese Edi Rama, che ha parlato di “impotenza” dell’Ue davanti al veto bulgaro. “Oggi non è un buon giorno per l'Europa”, ha ammesso sfiduciato l’Alto rappresentante Josep Borrell, aggiungendo che “l'unanimità è un grande problema” nel prendere decisioni.

 

Il momento dell’Europa?

Le incongruenze europee sull’allargamento si ricompongono in parte alla luce di un aspetto essenziale: quella dei 27 è una decisione politica, che pertanto non risponde alle regole canoniche imposte dai trattati. Si tratta di un gesto motivato dall’esigenza di far capire alla Russia che l’Europa non intende accettare nessuno status quo determinato da un’aggressione militare. Una scelta che comporta delle conseguenze e delle responsabilità, come quella di governare un processo di allargamento che può rivelarsi difficile, anche ripensando l’organizzazione del continente e le sue procedure decisionali. È per rispondere a questa complessità, che il presidente francese Emmanuel Macron ha lanciato l’idea di una comunità politica europea: una “piattaforma di collaborazione” che permetterebbe di associare paesi che non possono o non vogliono ancora aderire all’Ue. Se si dividerà, l'Europa dimostrerà di non essere all’altezza delle sfide che determineranno il suo futuro, prestando il fianco alla narrazione russa di un’Europa ‘finita’ e in crisi di identità. “Con il ritorno della guerra, è difficile essere ottimisti sulle prospettive politiche ed economiche – osservano due volti della ‘Nuova Europa’, Roberta Metsola presidente del Parlamento europeo e Kaja Kallas prima ministra dell'Estonia – Ma non è il momento di essere pessimisti sul futuro dell’Unione”. Questo è il nostro momento ‘Whatever it takes’”.

 

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A cura della redazione di  ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca,  ISPI Advisor for Online Publications.


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