Crisi in Sri Lanka: l'effetto domino

Lo Sri Lanka in preda a una spaventosa crisi economica causata da pandemia, inflazione e costo dei carburanti. Ma a strangolare il paese è il debito, e potrebbe essere il primo di una lunga serie.
Lo Sri Lanka sta per fermarsi, letteralmente. Il paese non ha più carburante e neanche i soldi per comprarne di nuovo. Lo ha dichiarato in un drammatico primo discorso alla nazione il neo-primo ministro Ranil Wickremesinghe, dicendo che per far fronte alla crisi economica e politica del paese in bancarotta, la Banca Centrale sarà costretta a stampare denaro e che il governo intende privatizzare la compagnia aerea di stato, la Sri Lanka Airlines. “Al momento, abbiamo scorte di benzina solo per un giorno. I prossimi due mesi saranno i più difficili della nostra vita”, ha detto il premier rivolgendosi ad un paese in preda ad una crisi economica devastante, la peggiore dall’indipendenza dal Regno Unito nel 1948. Profondamente danneggiata dai lockdown causati dalla pandemia, l’economia del paese – essenzialmente basata sul turismo – non ha retto ai colpi dell’inflazione galoppante e dell’aumento dei prezzi dei carburanti sostenuti dai venti di guerra in Ucraina. La rupia, valuta locale, si è deprezzata del 60% nell’ultimo anno e mezzo mentre il governo ricorreva a prestiti di India, Cina e Bangladesh per riuscire a rispettare le scadenze di pagamento. Una corsa verso il baratro imputabile alla famiglia dell’attuale presidente Rajapaksa, ai vertici di un sistema corrotto, inefficiente e basato sul nepotismo, al governo dello Sri Lanka negli ultimi 20 anni. Incapace di rimborsare gli otto miliardi di dollari di interessi sul debito che maturano quest’anno, (alla fine di marzo aveva solo 1,6 miliardi di dollari di riserve) al governo di Colombo non è rimasto che dichiarare il default e negoziare un salvataggio con il Fondo monetario internazionale (Fmi).
Un paese allo sbando?
Il paese, abitato da 22 milioni di persone, è allo sbando: la corrente elettrica viene interrotta per diverse ore al giorno, i prezzi dei generi alimentati sono aumentati del 30% nel solo mese di marzo, mentre mancano medicinali e beni di prima necessità. La situazione per i cittadini è diventata intollerabile al punto che, ad aprile, in migliaia si sono riversati per le strade e hanno preteso (e ottenuto) le dimissioni del governo di Mahinda Rajapaksa, divenuto il simbolo di una dinastia politica corrotta, a cui i cittadini imputano buona parte del fallimento dello stato. Le forze dell’ordine sono dovute intervenire a più riprese nei giorni più accesi delle contestazioni, e hanno evacuato i membri della famiglia Rajapaksa dalla loro residenza, presa d’assalto dai contestatori. Negli scontri, nove persone sono morte e circa 300 sono rimaste ferite. Aggrappato alla poltrona della più alta carica dello stato resiste ancora il fratello del premier, l’attuale presidente Gotabaya Rajapaksa. È stato lui a nominare Wickremesinghe a capo del governo, carica ricoperta già cinque volte. Una decisione che ha scontentato molti anche se l’attuale premier ha detto di sostenere il movimento di protesta. Ieri il principale partito di opposizione del paese ha dichiarato che sosterrà il nuovo governo nel tentativo di traghettare il paese fuori dalla crisi ma che rifiuta di accettare qualsiasi seggio nel gabinetto fino a quando Gotabaya Rajapaksa non rassegnerà le dimissioni.
Trappola cinese?
La catastrofe economica in cui versa lo Sri Lanka ha attirato l’attenzione e alimentato il dibattito tra gli esperti sulle cause e i passi che, uno dopo l’altro, hanno portato alla bancarotta. In molti sottolineano che, quando la pandemia ha colpito la redditizia industria del turismo e le rimesse dei lavoratori stranieri hanno cominciato a scarseggiare, le agenzie di rating hanno declassato il paese facendo crollare gli investimenti e ostacolandone l’accesso ai mercati internazionali. A sua volta, il programma di gestione del debito dello Sri Lanka, che dipende dall'accesso a quei mercati, è deragliato e le riserve valutarie si sono erose di quasi il 70% in due anni. La decisione del governo Rajapaksa di vietare tutti i fertilizzanti chimici nel 2021, un provvedimento successivamente annullato, ha colpito anche il settore agricolo e determinato un crollo della produzione di riso. Ma gli osservatori concordano anche sul fatto che un ruolo determinante nel default lo abbia giocato la Cina. Nell’ultimo decennio Pechino ha concesso allo Sri Lanka – nell’ambito della Belt and Road Initiative – prestiti agevolati per oltre cinque miliardi di dollari, con lo scopo di finanziare la costruzione di autostrade, porti e altre infrastrutture. I progetti tuttavia si sono rivelati a basso rendimento, alimentando l’ipotesi di una “trappola del debito”, che ovviamente Pechino nega di aver teso. Sta di fatto che, impossibilitato a rimborsare il debito, lo Sri Lanka abbia dovuto cedere il controllo di un porto in acque profonde a un’azienda statale cinese per 99 anni, danneggiando anche la vicina India. E che la crisi abbia risvolti significativi in un contesto di tensioni e rivalità geopolitiche come l’Oceano Indiano, e le sue rotte strategiche.
Solo la prima tessera del domino?
Ma a preoccupare gli esperti è che lo Sri Lanka si riveli solo la prima tessera di un domino globale in cui i paesi a basso e medio reddito stanno affrontando una triplice crisi: la pandemia, l’aumento del costo del loro debito e la crescita dei prezzi di cibo e carburante causato dall'invasione russa dell’ Ucraina. Lo ha spiegato chiaramente David Malpass, il presidente della Banca Mondiale: “Sono profondamente preoccupato per i paesi in via di sviluppo”, ha detto Malpass. “Stanno subendo aumenti improvvisi dei prezzi di energia, fertilizzanti e cibo e la probabilità di aumenti dei tassi di interesse. Ognuno di questi aspetti li colpisce duramente”. La pandemia e la guerra hanno infatti portato ad un massiccio aumento delle richieste di prestito da parte di paesi più vulnerabili e secondo le stime del Fondo monetario internazionale più del 60% dei paesi a basso reddito si trova oggi in una condizione di forte vulnerabilità se non di vera e propria crisi del debito. E se le crisi dei mercati emergenti non sono una novità, la comunità internazionale non è preparata ad affrontare un incombente problema del debito. “Il sistema può affrontare questi problemi solo un paese alla volta”, spiega Richard Kozul-Wright di Unctad: “Ma questi sono problemi sistemici e attualmente non c'è modo di affrontarli in modo sistemico”. Considerazioni che giustificano la preoccupazione degli esperti, per cui se lo Sri Lanka è il primo paese a cedere sotto il peso delle pressioni economiche innescate dalla guerra in Ucraina, è improbabile che sia anche l’ultimo.
Speciale Ucraina
Il punto di Paolo Magri, Vice Presidente esecutivo di ISPI
- È cominciata l'evacuazione dei militari dall'acciaieria Azovstal di Mariupol. Oltre 260 combattenti, di cui 53 feriti, hanno lasciato le acciaierie.
- La Corte Penale Internazionale invia 42 investigatori ed esperti per indagare sui crimini di guerra in Ucraina. Si tratta della più grande missione in termini numerici mai dispiegata sul campo.
- La città di Leopoli nell’Ucraina occidentale, a circa 70 km dal confine con la Polonia, ha subito nella notte un massiccio attacco missilistico.
- L’Eni ha annunciato di aver avviato, in accordo con le autorità italiane, le procedure per aprire i conti (in euro e in rubli) con Gazprombanksecondo una “pretesa unilaterale di modifica dei contratti in essere”.
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A cura della redazione di ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca, ISPI Advisor for Online