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Crisis to watch: Afghanistan

Mercoledì, 22 Dicembre, 2021 - 13:00
Il mondo che verrà 2022

In Afghanistan l’anno nuovo non si porterà via i problemi seguiti alla fuga degli USA. Il paese è al collasso umanitario.

 

La mancanza sul campo di una presenza internazionale fa sì che media italiani ed europei prestino ora relativamente poca attenzione all’Afghanistan. Questo non significa, tuttavia, che l’Afghanistan non rimanga importante anche per l’Europa, e non solo a causa della crisi umanitaria che sta colà emergendo. 

La crisi umanitaria tanto per cominciare rappresenta anche una mina politica vagante, perché sarà percepita in gran parte come una responsabilità dei paesi donatori, che hanno bloccato i fondi. La percezione, soprattutto riguardo al comportamento degli americani, è che si stia cercando di costringere l’Emirato a fare concessioni attraverso lo strumento economico e finanziario, oppure persino di farlo collassare sotto il peso di un’economia ingestibile. Le responsabilità dei Taliban, che non vogliono rischiare la propria unità interna alla ricerca di compromessi a lungo termine con americani ed europei, avranno poco impatto perché i Taliban dell’opinione pubblica internazionale non si curano. Il rischio pertanto è di una crisi umanitaria artificiale, legata a motivi politici, che potrebbe assimilare i paesi occidentali a Stalin, a quel regime sovietico che provocò la famosa carestia in Ucraina negli anni Trenta.

Per l’Europa c’è anche la questione dei profughi. Alcuni studiosi stimano che potrebbero esserci già mezzo milione di afghani in marcia, per lo più attraverso l’Iran. Molti si affacceranno in Europa prima o poi. Si tratta di una cifra doppia rispetto a quella dell’ondata del 2015, un grosso shock per l’Europa. Con l’economia al collasso, è assai probabile che molti altri si mettano in viaggio. 

In Europa, ma soprattutto in America, si parla poi molto del rischio che l’Afghanistan torni a essere una base per il jihadismo globale. Questa è probabilmente la ragione meno valida per continuare a seguire gli eventi in Afghanistan. Il jihadismo globale ha oggi (in confronto al 2001) numerose altre “basi” da cui operare, molte delle quali sono molto più convenienti che non l’Afghanistan. Almeno finché i Taliban negozieranno con americani ed europei, non avranno alcun motivo di permettere ai Qaidisti di “usare” l’Afghanistan per organizzare attacchi. Da parte loro nemmeno i Qaidisti vorranno irritare i Taliban finché i rapporti con questi ultimi non saranno completamente compromessi. Lo Stato Islamico in Khorasan, d’altra parte, è in impegnato in una lotta per la sopravvivenza con i Taliban e probabilmente non ha capacità residue per occuparsi di attacchi a lunga distanza. Inoltre, anche se potesse, potrebbe non volersi esporre e attrarre nuovamente l’attenzione degli americani, che sembrano aver ormai abbandonato i piani per coordinare con in Taliban operazioni anti-Stato Islamico.

L’evoluzione dell’Emirato dei Taliban nel 2022 dipenderà da vari fattori. Prima di tutto, i Taliban devono in qualche modo assicurarsi i fondi per tenere insieme il loro Emirato. Non hanno bisogno degli 8 miliardi di dollari che l’ormai defunta Repubblica Islamica bruciava ogni anno, senza una radicale ristrutturazione (nel senso di una cura dimagrante) dello stato afghano ci vorranno 3-3.5 miliardi di dollari. Attualmente i Taliban sostengono di raccogliere tasse e dazi al ritmo annuale di circa 1.1 miliardi di dollari. Nell’attuale contesto di crisi economica, potranno migliorare questo dato, ma non di molto, completando la riattivazione della burocrazia finanziaria, Se la promessa delle agenzie delle Nazioni Unite di pagare insegnanti e personale sanitario si concretizzerà, il fabbisogno dell’Emirato si ridurrà di un buon mezzo miliardo di dollari. I Taliban sembrano sperare, se anche non riusciranno a sbloccare gli aiuti internazionali, di riuscire a ottenere fondi dalla Cina, in cambio di concessioni minerarie a condizioni molto vantaggiose, e per di più pare che siano anche persuasi del fatto che i paesi confinanti, specie la Cina, non vorranno comunque vedere l’Afghanistan sprofondare nel caos più completo dal momento che sarebbero alla fine costretti a dover soccorrere gli stessi Taliban.

Per i Taliban, stabilire relazioni adeguate con i paesi della NATO, specie gli americani, appare sempre più difficile e costoso, in termini di capitale politico da investire. Gli americani promettono una normalizzazione nel corso di qualche anno in cambio di azioni decisive dei Taliban sul fronte della presenza qaidista nel paese e della presenza di personaggi indesiderabili nel gabinetto dell’Emirato, in particolar modo di Serajuddin Haqqani. I Taliban dal canto loro sembrano invece sempre più pensare che il gioco non valga la candela. 

Al contrario, si rivelano essere abbastanza convincenti le prospettive di relazioni decenti e anche di un riconoscimento da parte dei paesi della regione. Forse solo il Pakistan considera l’Emirato un esito soddisfacente, ma in varia misura Cina, Russia, Uzbekistan, Turkmenistan, Iran, Qatar e Turchia vedono l’Emirato come l’unica alternativa al caos e intendono “fare affari” con i Taliban. Al tempo stesso però, la tendenza a livello regionale è quella di considerare i Taliban come principianti in termini di gestione degli affari dell’Emirato. Si sente la necessità di correzioni di rotta, al fine di renderli più presentabili come partner del consesso regionale. I cinesi sembrano soprattutto preoccupati dal carattere rappezzato dell’Emirato, i cui vari ingranaggi sono lungi dall’essere ben integrati. Sono i Taliban in grado di gestire la situazione? Gli iraniani sono invece preoccupati dalla riluttanza dell’Emirato a premiare quei Taliban più vicini a Teheran con nomine in posizioni di prestigio e a coinvolgere elementi della minoranza sciita nella gestione del governo. I qatarini, dal canto loro, vorrebbero che i Taliban migliorassero la loro immagine e stabilissero buone relazioni con i paesi occidentali, completando il successo diplomatico del Qatar nell’ospitare i negoziati con gli americani nel 2018-20. Tutti, a parte l’Iran, vorrebbero che i Taliban si muovessero con più decisione nel neutralizzare i gruppi jihadisti presenti in Afghanistan.

Con fondi sufficienti a mantenere lo stato più o meno compatto e a finanziare operazioni militari di un certo respiro, è probabile che i leader dei Taliban riescano a tenere insieme il movimento e lo stato e a mettere in un angolo l’opposizione armata, a cominciare dallo Stato Islamico in Khorasan, le cui basi nell’est dell’Afghanistan diventerebbero così estremamente vulnerabili. In parte questo dipenderà anche dalla capacità dell’opposizione armata di mobilitare a sua volta risorse. Non solo lo Stato Islamico, ma anche vari gruppi di ex sostenitori della Repubblica Islamica, quali Panjshiri, alcuni capi Hazara e alcuni leader locali Uzbeki stanno cercando di mobilitare capitali per avviare una resistenza armata su scala significativa. Senza una base da cui operare all’estero, tuttavia, è probabile che la resistenza armata rimanga principalmente un affare per i veterani dello Stato Islamico.

 

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Autore: 

Antonio Giustozzi

Antonio Giustozzi
ISPI and King’s College London

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