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Da al-Qaida in Iraq (Aqi) al Califfato: una storia di sangue

Mercoledì, 10 settembre, 2014 - 00:00

Il 29 giugno 2014  – giorno dell’annuncio del Califfato da parte di Isis, rinominato da quel momento “Stato Islamico” sotto la guida del califfo Abu Bakr al-Baghdadi – segna simbolicamente la parziale conclusione e il contemporaneo rilancio di un lungo percorso iniziato diversi decenni fa, al di là di operazioni militari più o meno spettacolari degli ultimi anni.

In tal senso, la proclamazione del califfato rappresenta una storia nella storia. È la più evidente manifestazione di un lungo e non sempre lineare dibattito interno all’universo del movimento jihadista, che fin dagli anni Novanta si è interrogato e scontrato sulla priorità degli obiettivi  e sulle necessarie strategie e tattiche per il loro perseguimento. Al tempo stesso, è sia lo “spettacolare” coronamento dell’ideale militante del radicalismo islamista di al-Zarkawi che il tragico punto di ricaduta di un sistema regionale mediorientale mai davvero consolidatosi a cui l’intervento occidentale ha più nuociuto che giovato.   

Le origini dello Stato Islamico possono essere rintracciate alla fine degli anni Novanta quando, Abu Musab al-Zarkawi fondò la Jamat al-Tawhid wa-l-Jihad, dopo essersi formato insieme a bin Laden in Afghanistan durante gli anni Ottanta. Fu l’avvio dell’operazione Iraqi Freedom che offrì lo scenario tristemente “ideale” per testare e provare l’efficacia della sua strategia. Inizialmente l’organizzazione si limitò ad operare nel nord-ovest dell’Iraq. In larga parte sconosciuta e principalmente composta da poche dozzine di militanti non-iracheni, l’organizzazione di al-Zarkawi riuscì ben presto ad imporsi all’attenzione dei media e delle agenzie di sicurezza occidentali per la sua aggressività e capacità operative sul campo. Nel 2004 si consumò un primo importante passaggio(1). Limitato nelle risorse e nel numero dei suoi combattenti, al-Zarkawi comprese la necessità di uscire dai limiti della sua organizzazione. Al-Qaida, da parte sua, era alla ricerca di un leader carismatico sul campo capace di guidare le operazioni militari, riscattando il movimento dalle sconfitte subite in Afghanistan. Il sodalizio si consumò e nacque al-Qaida nella Terra dei Due Fiumi (conosciuta anche come al-Qaida in Iraq – Aqi). Già nel 2005, però, tale relazione iniziò a scricchiolare. La sconfitta nella battaglia di Baghdad rappresentò il grande catalizzatore del più ampio dissenso strategico e dottrinale tra i sostenitori di bin Laden e al-Zawahiri e quelli di al-Zarkawi. Quest’ultimo fu attaccato dai vertici di al-Qaida per l’eccessivo uso della violenza verso la popolazione irachena piuttosto che contro le truppe della Coalizione, e per la propensione eccessivamente radicale nell’imposizione dall’alto della shari‘a. Un’impasse interna che non poté far altro che aggravarsi e ampliarsi nel 2006 con la morte di Abu Musab al-Zarkawi(2).  

Da questi sviluppi nacquero prima l’organizzazione Majlis Shura al-Mujahedin e poi lo Stato Islamico in Iraq. Quest’ultimo rappresenta idealmente il diretto predecessore dell’attuale califfato; un emirato che avrebbe dovuto estendersi sulla maggior parte dell’Iraq centro-occidentale. In realtà il progetto politico-militare degli eredi di al-Zarqawi non si sviluppò secondo le speranze dei suoi militanti, incontrando le resistenze e l’opposizione dei leader delle tribù locali e della popolazione nelle regioni irachene a maggioranza sunnita. 

La radicalità delle strategie e della dottrina dei “figli” di al-Zarkawi limitò il movimento alienandosi il supporto di importanti attori locali. Si aprì un periodo di crisi per l’organizzazione che culminò con l’uccisione di Abu Ayyub al-Masri e Abu Omar al-Baghdadi (alti gradi di Isi/Aqi). Ma fu proprio durante questa forzata successione e radicale crisi che il movimento conobbe il suo attuale leader, Abu Bakr al-Baghdadi, vivendo una nuova fase di riorganizzazione che lo rese più forte e coeso al suo interno. ISIS fu in grado di capitalizzare la progressiva frantumazione e polarizzazione del campo iracheno, trovando nell’acuirsi della rivoluzione siriana la via per valicare i limiti dell’Iraq. La filiazione locale di al-Qaida, Jabhat al-Nusra, rappresentò un naturale alleato. Così come al tempo al-Zarqawi, al di fuori delle vicissitudini militari, la relazione tra i due soggetti non fu semplice e in breve si polarizzò giungendo all’aperto scontro tra al-Zawahiri e al-Baghdadi. Questa volta l’oltranzismo di Isis non minò la sua crescita, ma anzi il rifiuto del compromesso sia in campo militare che nei confronti di altri soggetti coinvolti nella stessa lotta gli procurò nuove leve, soprattutto dall’esterno. La capacità di unire i due “palcoscenici” siriano e iracheno consentì di fatto ad al-Baghdadi di rilanciare l’organizzazione dal punto di vista militare e politico, proseguendo inesorabilmente per la proclamazione del califfato, ormai realtà a partire dal 29 giugno.

È in questa storia non sempre lineare che si trovano le ragioni del successo di Isis e del coronamento di un percorso che ha voluto e infine sancito la nascita di un nuovo soggetto politico che spezza nei fatti i confini e le divisioni imposte alla fine della Grande Guerra. Nella biografia di Isis si condensano interrogativi che per la prima volta impongono all’universo jihadista una seria riflessione su quale forma debba avere lo Stato Islamico e gli strumenti legittimi per la sua realizzazione. Un dibattito che è sia a livello generazionale, tra vecchie e nuove leve, sia tra diversi diversi ideologi e guide spirituali, come mostrano gli scambi tra al-Zawahiri e al-Baghdadi o le differenti posizioni di Abu al-Mundhir e Abu Humman al-Athari (Isis) e quelle, invece, di al-Tartusi o al-Maqdisi. L’esito di questa riflessione è evidentemente ancora incerto, così come i destini reali del califfato. 

Questo sembra disegnare un orizzonte molto simile all’esperienza vissuta dai movimenti moderati islamisti durante gli anni Novanta, nonostante i due universi siano profondamente diversi per mezzi e strategia. È di fatto su questo versante che si coglie appieno la drammatica serietà di Isis e la sua profonda e terribile modernità. Forza e violenza sono oggi, così come nel suo passato, strumenti non solo assoggettati alla sua specifica interpretazione radicale, oltranzista e militante della religione islamica, ma sono soprattutto i mezzi necessari per abbattere un ordine sociale e politico considerato in toto “apostata”, per ricostruirne un altro purificato ed emendato da ogni altra forma di “alterità”. 

È in questa estrema realizzazione del takfir contro il musulmano e del jihad contro l’ “altro” non-musulmano che Isis ha progressivamente costruito, prima, il suo prestigio militare e poi quello politico. Takfir e jihad descrivono così un arco potenziale di violenza senza limiti e confini. Sono strumenti di omogeneizzazione dello spazio politico, socio-culturale e religioso. L’altro è espulso, se non sterminato, e idealmente sostituito attraverso il richiamo all’hijra nei confronti di tutti i musulmani. In ciò si realizza non solo una drammatica tappa nella storia del jihadismo, ma anche un’ulteriore tensione all’interno della galassia jihadista tra chi sostiene che la governance debba essere locale a beneficio del singolo contesto d’azione e chi ritiene invece che sia necessaria aprirla a qualsiasi soggetto esterno, ponendo radicalmente in discussione non solo la natura delle istituzioni ma la composizione della popolazione dello stato. Necessario completamento di questo discorso è la costante attenzione per il territorio, la progressiva istituzionalizzazione dell’insurrezione che si fa essenziale premessa per la fondazione di forme proto-statuali se non già statuali. Grazie a questa strategia, Isis ha conquistato il testimone all’interno della galassia jihadista, non soltanto come uno tra i tanti soggetti che parla della necessità di istaurare lo stato islamico, ma soprattutto in quanto primo attore che operativamente ci sta provando sul campo. 

1. Per approfondimenti si veda A. Plebani (ed.), New and old patterns of jihadism: al-Qaida, the Islami State and beyond, ISPI ebook, settembre 2014.
2. A.Y. Zelin “The War Between ISIS and al-Qaeda for Supremacy of the Global Jihadist Movement”, The Washington Institute, Research Notes 20, giugno 2014.
Paolo Maggiolini, ISPI Research Assistant
 
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Autore: 

Paolo Maggiolini

Paolo Maggiolini
Associate Research Fellow

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