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È la stampa, bellezza! Il ritorno dei quotidiani privati in Myanmar

Lunedì, 11 marzo, 2013 - 00:00

Dopo quasi cinquant’anni, ovvero da quando nel 1964 il generale Ne Win nazionalizzò le varie testate private che fino ad allora avevano regolarmente pubblicato oltre che nella lingua nazionale anche in inglese, cinese e indiano, i lettori birmani potranno presto acquistare ogni mattina un quotidiano non controllato dallo stato. A fine dicembre il ministero dell’Informazione ha annunciato, come previsto, che dal 1° aprile sarebbe stato possibile pubblicare quotidiani da diffondere nel paese in ogni lingua, con il solo requisito della nazionalità birmana dell’editore. 

Se si considera la totale assenza di libertà che ha connotato il paese fino a due anni fa e se a ciò si aggiunge l’abolizione dell’ufficio addetto alla censura preventiva che fino allo scorso agosto passava al vaglio ogni singola riga prima della pubblicazione, la dimensione del cambiamento appare in tutta la sua portata storica. Il panorama editoriale birmano aveva già vissuto una prima apertura nel 2011 con la rimozione della censura per articoli relativi a “non-sensitive issues” come sport, salute e tempo libero. 

Altro passo di notevole rilevanza riguarda la liberalizzazione dei visti giornalistici in favore dei corrispondenti esteri che ora possono ottenere un visto trimestrale e, soprattutto, possono muoversi all’interno del paese senza alcuna restrizione geografica. Decisione, questa, che va letta tanto più positivamente quanto più si considerano le criticità delle regioni periferiche all’interno del processo di stabilizzazione e democratizzazione. Gli osservatori più scettici si sono dovuti ricredere, e hanno preso atto del fatto che nel settore, cruciale, dell’informazione il presidente Thein Sein sta continuando ad aggiungere tasselli fondamentali alla costruzione dell’edificio chiamato democrazia il cui completamento è previsto per il 2015. Dalla mattina di domenica 14 aprile in Myanmar saranno, quindi, disponibili otto quotidiani privati che andranno ad affiancarsi alle attuali cinque testate di proprietà dello stato, e altri ne seguiranno. Tuttavia, mentre il percorso sembra ormai tracciato, rimangono altamente incerti gli effetti che il pluralismo mediatico e la trasparenza avranno sugli equilibri interni al Myanmar, in particolare con riferimento alla questione etnica che interessa le regioni periferiche. 

Ulteriori fattori che contribuiscono a rendere incerto lo scenario, soprattutto in una prospettiva di breve termine, hanno invece a che fare con le condizioni socio-politiche ed economiche del paese. Innanzitutto va considerato che solo il 3% dei circa sessanta milioni di birmani ha un abbonamento di telefonia mobile e solo l’1% utilizza internet. Di conseguenza nei prossimi anni i quotidiani potranno essere per molti l’unica fonte d’informazione e avere un impatto notevole soprattutto in presenza di notizie sensibili. Dal punto di vista economico, invece, sussistono preoccupazioni circa la futura competitività dei nuovi quotidiani dal momento che dovranno confrontarsi con quelli governativi già ben radicati e con un mercato pubblicitario a oggi poco sviluppato. 

Il clima, infine, è spesso agitato dalle preoccupazioni di una popolazione e di una classe media che stenta ancora a credere nella sincerità e nei buoni propositi della giunta. Qualche mese di ritardo nella liberalizzazione dei quotidiani aveva già fatto crescere la paura che si trattasse di un bluff. Voci allarmate si sono levate anche in occasione del pericolo di attacchi informatici da parte del governo nei confronti degli account Google notificato recentemente a numerosi giornalisti birmani. Tuttavia sembra che tali attacchi fossero volti a ottenere contatti e documenti specifici dopo la pubblicazione di articoli che riferivano degli attacchi aerei contro i ribelli Kachin, fino ad allora negati dal governo. Pur riconoscendo la delicatezza della posta in gioco, appaiono infondate le preoccupazioni che tali attacchi possano minare il percorso intrapreso. 

Il prossimo e cruciale passaggio da monitorare è la legge sulla stampa, attualmente in fase di definizione. La prima bozza resa pubblica ha scatenato una moltitudine di proteste. In primis per il vago divieto di criticare la costituzione redatta nel 2008 dalla giunta, poi per le restrizioni circa i resoconti dei conflitti etnici e infine per una pena fino a sei mesi di carcere prevista per chi opera senza un valido accredito. In conclusione, però, pur permanendo alcune ombre e restando altamente incerti gli scenari futuri, gli sviluppi dell’ultimo anno sembrano lasciare pochi dubbi circa la volontà della giunta di allentare progressivamente la presa sui mezzi d’informazione e anche una legge sulla stampa non del tutto soddisfacente non potrà rappresentare un punto di non ritorno, bensì un altro banco di prova per l’attuale governo o per il primo parlamento democraticamente eletto in Myanmar.

* Gabriele Giovannini, PhD candidate in Geopolitica e Geopolitica Economica all’Università Marconi, collabora con Linkiesta.

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