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Egitto: diritti e sicurezza, ancora un giro di vite

Martedì, 24 settembre, 2019 - 17:45
Focus Mediterraneo allargato n.11

La vittoria nel referendum costituzionale dell’aprile 2019 ha offerto al presidente al-Sisi la possibilità di ampliare il ventaglio di poteri, eliminando al contempo qualsiasi forma di competizione interna anche allo stesso regime. Contestualmente tale consolidamento ha permesso allo Stato di aumentare sia il livello di securitarizzazione domestica volto a contenere le minacce principalmente provenienti dall’estremismo violento islamista, sia il livello di repressione nei confronti delle opposizioni. Sul piano regionale e internazionale, invece, non si segnalano particolari cambi di registro, se non una rinnovata iniziativa diplomatica nei confronti dei partner regionali (Iraq e Giordania), nonché un marcato interesse egiziano verso i nuovi teatri geopolitici del Mediterraneo orientale e del Mar Rosso.

 

Quadro interno

L’approvazione degli emendamenti costituzionali tramite referendum (tenuto ad aprile 2019), oltre ad aver assicurato al presidente Abdel Fattah al-Sisi la possibilità di rimanere in carica fino al 2030, allungandone il mandato da quattro a sei anni con possibilità di un ulteriore rinnovo, ha ratificato in maniera formale il controllo dell’esecutivo sugli organi giudiziari. L’esito del voto referendario – passato con non pochi dubbi riguardo alla regolarità nelle procedure di voto e di scrutinio – ha infatti permesso ad al-Sisi di rafforzare il proprio controllo su alcuni punti chiave del governo: oltre alla reintroduzione della carica di vicepresidente, che verrà scelto dallo stesso capo di Stato, è stata apportata una sostanziale modifica alla struttura del Parlamento con la creazione di un Senato quale seconda Camera (o Camera Alta), della quale un terzo dei membri sarà selezionato direttamente da al-Sisi, nonché dei meccanismi di nomina delle più alte cariche giurisdizionali dello Stato e militari in violazione dei principi fondamentali dello stato di diritto riguardanti la separazione dei poteri e l’indipendenza della magistratura. Una scelta non casuale volta soprattutto a depotenziare e controllare il ruolo dei magistrati – storicamente uno strumento di potere molto vicino a Mubarak e per certi versi una voce critica dell’operato del presidente in carica.

Tale accentramento dei poteri nelle mani del presidente al-Sisi, oltre a voler bloccare l’emergere di possibili leader alternativi alla coterie a lui più stretta, rientra all’interno del processo di securitizzazione dello Stato che trova la sua maggiore espressione nell’aver completamente affidato il settore della sicurezza nelle mani dei militari e nell’aumento della repressione preventiva contro ogni forma di dissenso. La nuova Costituzione così approvata promuove e conferma le forze armate quale unico garante dell’ordine costituito e protettore della democrazia e delle regole costituzionali ma, soprattutto, assegna loro una posizione dominante e istituzionalizzata attraverso l’ampliamento della giurisdizione e dei poteri delle corti militari nei confronti dei civili, normalizzando quello che prima del 2014 era una pratica emergenziale.

Nei prossimi mesi è plausibile immaginare che gli obiettivi di politica interna rimarranno immutati concentrandosi sullo sviluppo economico e sulla sicurezza. Il prestito triennale da 12 miliardi di dollari stipulato nel 2016 con il Fondo monetario internazionale (la tranche finale di 2 miliardi di dollari verrà erogata entro la fine del 2019), ha permesso all’Egitto di riprendersi da una difficile crisi economica iniziata nel paese già all’indomani dell’elezione del presidente al-Sisi, nel 2014.[1] L’aumento dei tassi di inflazione insieme a un forte deprezzamento valutario avevano, infatti, concorso a innescare un gravoso aumento del costo della vita. Seppur molto lentamente, il settore economico sembrerebbe oggi rivitalizzarsi, sulla scorta di un’inflazione in lieve ribasso e di un aumento del potere di acquisto della moneta, indicatori che potrebbero evitare al governo di al-Sisi di rinegoziare un ulteriore aiuto internazionale. Secondo le recenti stime ufficiali della Banca mondiale[2] l’economia egiziana segnerebbe una discreta crescita: il rallentamento tendenziale dell’aumento dei prezzi verificatosi negli ultimi mesi, la ripresa del potere d’acquisto della valuta e i prezzi del petrolio più bassi[3] hanno agevolato una consolidata crescita del Pil (5,5% nel periodo 2019-23) e una relativa diminuzione dell’inflazione rispetto al passato, oggi vicina all’11,3% annuo, ma che tuttavia si avvierebbe a perdere un ulteriore punto percentuale arrivando al 9,7% nel 2021 con un andamento costante ipotizzato fino al 2023 (7,5%).

Dopo anni di austerità e di tagli alla spesa pubblica il governo di al-Sisi è, dunque, impegnato a ripristinare e consolidare il sostegno a una fase espansiva dell’economia, introducendo forme di sussidio alle classi più povere e un aumento del salario minimo per il settore pubblico e per le pensioni, come annunciato in occasione di diversi incontri pubblici durante gli ultimi mesi. Per evitare il rischio di proteste sociali, il governo egiziano sta puntando sulla diminuzione della disoccupazione (9% nel 2019 secondo i dati ufficiali, con un andamento variabile fino a un 8,3% nel 2023) insieme a una serie di politiche volte a migliorare il settore delle infrastrutture, ad affrontare il sottosviluppo rurale, in particolare nella problematica regione del Sinai, ma soprattutto a riformare il settore della sanità e dell’istruzione, da sempre punti deboli del sistema sociale egiziano. Inoltre il programma di riforma economica concordato con il Fmi ha puntato a risollevare gli investimenti interni ed esteri nel paese semplificando notevolmente il processo di costituzione di società joint-venture e l’ottenimento di licenze: uno dei maggiori ostacoli che la strategia economica di al-Sisi dovrà affrontare riguarda infatti gli interessi economici dei potenti gruppi interni all’amministrazione, soprattutto quelli delle forze armate, ramificate in molti settori chiave tra cui quello delle costruzioni e delle infrastrutture. Carta bianca invece per ciò che riguarda il settore energetico, dove la piena messa in opera del mega-giacimento offshore di gas naturale Zohr, il più grande finora scoperto nel Mediterraneo e capace di soddisfare l’intero fabbisogno di gas del mercato interno del paese, candida l’Egitto al ruolo di principale hub energetico regionale per il Mediterraneo orientale. Anche per ciò che riguarda il settore delle grandi costruzioni infrastrutturali, che insieme a quello energetico rappresenta uno dei principali motori di crescita e gli obiettivi economici stabiliti a breve termine dal governo, in collaborazione con investitori privati sono stati realizzati diversi progetti per l’edilizia popolare, nonché per la nuova capitale amministrativa, situata a est del Cairo, i cui lavori verranno presumibilmente completati nel 2020. Se il governo sarà in grado di portare a termine questa seconda ondata di riforme, diminuendo nel contempo l’insostenibile debito pubblico (per il cui servizio è destinato il 38% del budget statale), incentivando gli investimenti stranieri e destinando la maggior parte delle risorse a settori chiave come quello della sanità, dell’istruzione e delle infrastrutture, è probabile che i risultati si riflettano positivamente sulla competitività del paese e, soprattutto, si traducano in una maggiore creazione di posti di lavoro e migliori condizioni di vita per la popolazione. Il problema più impellente è infatti costituito dall’esplosione, negli ultimi anni, del debito estero, quasi quintuplicato, che rende l’Egitto estremamente vulnerabile e condizionabile dagli andamenti dell’economia internazionale e dalle decisioni degli organismi economici mondiali, in primis il Fmi e la Banca mondiale.

Tuttavia, vi sono diverse critiche che mettono in dubbio la reale sostenibilità di questa crescita economica e la veridicità dei dati ufficiali forniti dal governo egiziano: come già avvenuto negli anni precedenti all’esplosione delle cosiddette Primavere arabe (2011), le statistiche internazionali che esaltavano la crescita economica di paesi quali la Tunisia e l’Egitto, non evidenziavano però la distribuzione ineguale della ricchezza nonché la disomogenea ricaduta sociale di tali miglioramenti economici. È importante comprendere come una crescita economica generale del paese non necessariamente si traduca in un miglioramento delle condizioni di vita della popolazione o dei ceti più svantaggiati, tanto più che i tassi di crescita della popolazione, che raggiungerà a breve i 100 milioni di abitanti, continuano a essere vertiginosi.

Nell’Egitto del presidente al-Sisi, dove secondo le stime della Central Agency for Public Mobilization and Statistics (Capmas) il 32,5% della popolazione vive al di sotto del livello di povertà,[4] le prospettive di ripresa economica sembrano ancora lontane dal ristabilire una reale perequazione sociale: sebbene i gruppi vulnerabili siano stati parzialmente protetti dall’impatto dell’inflazione attraverso misure mirate di protezione sociale, queste ultime rimangono molto limitate e insufficienti, lasciando la classe media in difficoltà nel far fronte all’erosione dei redditi reali. Di fatto, solo una ristretta élite ha finora realmente beneficiato del miglioramento dell’economia.

A tale situazione economica si aggiunge il permanere di gravi criticità nel settore della sicurezza, che espongono il governo a dure critiche internazionali: come già visto, al-Sisi sta infatti rafforzando il sistema di controllo capillare già in atto e radicato su tutti gli aspetti della vita sociale, economica e politica del paese, inasprendo la linea dura contro ogni tipo di dissenso e contro il terrorismo di matrice islamista. Secondo le stime di importanti organizzazioni non governative quali Human Rights Watch e Amnesty International,[5] 60.000 oppositori politici, attivisti sociali e membri dei Fratelli musulmani si trovano attualmente in prigione in attesa di giudizio, più di 2.440 persone sono state in questi anni condannate a morte, le opposizioni messe a tacere, e i media e internet rimangono costantemente sotto controllo, limitati inoltre dalla censura statale. Sebbene il 15 luglio 2019 il Parlamento abbia approvato la nuova legge sulle Ong finalizzata ad allentare le disposizioni restrittive presenti nella legislazione del 2017, diverse organizzazioni internazionali che da anni monitorano i diritti umani nella regione si sono espresse negativamente protestando contemporaneamente contro l’iniziativa lanciata dall’Onu, e già ritirata alla fine del mese di agosto proprio per le polemiche scatenatesi, di organizzare una conferenza internazionale sulla tortura al Cairo.

La questione più complessa da gestire nell’ambito della sicurezza rimane tuttavia la penisola del Sinai ove, in particolare nella parte settentrionale, continuano gli attacchi terroristici da parte dei gruppi islamisti affiliati all’IS contro le forze di sicurezza egiziane stanziate in difesa del territorio. Il governo egiziano nel 2018 ha pianificato un’imponente operazione di controterrorismo nel Sinai e a ovest di Suez finalizzata a eradicare la presenza delle cellule terroristiche di Wilayat Sinai, di gran lunga il gruppo militante più grande e più attivo della zona. Sebbene l’ampia offensiva abbia contribuito nel breve termine a ridurre gli attentati nel Sinai e a indebolire le formazioni jihadiste, la scelta del governo egiziano per una sicurezza e una strategia contro-insurrezionale basata quasi esclusivamente sulla hard security e sulla repressione, desta perplessità sulla reale sostenibilità nel medio e nel lungo periodo.

Permane infatti una situazione di instabilità e di grave emergenza umanitaria: secondo i dati forniti da alcune organizzazioni non governative,[6] e non ufficialmente riconosciuti dal governo di al-Sisi, gli scontri avrebbero causato quasi 100.000 sfollati tra 1,4 milioni di abitanti della penisola e danneggiato nella vita quotidiana più di 400.000 persone; in pratica la politica anti-terrorismo mostra di avere un impatto troppo forte sulla popolazione locale. I gruppi legati all’estremismo violento di tipo anarchico e all’Islam radicale, seppur duramente colpiti e in alcuni casi disorganizzati, continuano a mantenere una presenza nell’intero paese, dal Sinai alla Valle del Nilo. L’attentato dello scorso 4 agosto avvenuto al Cairo, che ha provocato 20 vittime e diversi feriti a seguito dell’esplosione che ha investito l’Istituto nazionale oncologico e la zona limitrofa della capitale, sottolinea la difficoltà da parte del governo di controllare anche la parte continentale del paese. Sebbene non vi siano state rivendicazioni ufficiali, sembra infatti che l’attacco sia stato realizzato dal gruppo terroristico Hasm, vicino alla Fratellanza musulmana messa al bando dal presidente nel 2014, che insieme all’organizzazione Liwa al-Thawra ha condotto negli ultimi anni diversi attentati contro forze di sicurezza e rappresentanti dello Stato.

Il governo si prepara ora ad approvare la legge che regolerà le elezioni amministrative per il rinnovo dei consigli municipali, sciolti in seguito alle dimissioni di Hosni Mubarak nel 2011 e amministrati finora da funzionari incaricati dal governo. Tale passaggio elettorale, più volte rimandato e che dovrebbe svolgersi entro la fine del 2019, potrebbe rappresentare una cartina di tornasole sull’effettivo appoggio popolare alle politiche di al-Sisi in una fase in cui il presidente egiziano sta anche predisponendo un cambiamento ai vertici del corpo diplomatico, che segue di qualche mese il rimpasto realizzato all’interno dello staff dell’esercito e dei servizi di intelligence. La nomina di rappresentanti facenti parte dell’inner circle sisiano sembrerebbe ancora una volta voler impedire il rischio di un ipotetico – per quanto remoto – regime change, ma nel lungo termine potrebbe alimentare una latente insofferenza già percepita da parte della popolazione verso le politiche autoritarie del presidente.

 

Relazioni esterne

Le priorità di politica estera egiziana rimangono sostanzialmente invariate e continueranno a essere incentrate sul mantenimento di legami cordiali con Stati Uniti e Unione Europea, sull’ampliamento delle connessioni internazionali con i più rilevanti attori globali (su tutti Russia, Cina, India e Giappone) e, infine, sull’approfondimento delle relazioni con i partner mediorientali. In particolare, l’Egitto continua a rinsaldare l’asse con Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, principali sponsor politico-economici del corso sisiano e attori con interessi comuni al paese nordafricano sia nelle sfide sul versante sicurezza rispetto alla diffusione di gruppi islamisti transnazionali sia nella definizione di una strategia congiunta nell’area del Mar Rosso, che diventa sempre più un nuovo palcoscenico strategico di crescente interesse regionale /internazionale.

È da sottolineare, inoltre, come l’asse egiziano-saudita-emiratino abbia avuto un’influenza non da poco negli sviluppi politico-militari della crisi libica. Proprio le evoluzioni avvenute da aprile-maggio 2019 nel quadrante libico hanno lasciato l’Egitto sostanzialmente in un ruolo di secondo piano rispetto agli altri due attori, ruolo nel quale al-Sisi ha cercato di far prevalere una linea marcatamente diplomatica e di sicurezza dei propri interessi strategici nell’area in questione. Uno sviluppo analogo è avvenuto anche nella Striscia di Gaza, dove l’Egitto, pur lasciando inalterate le tese relazioni con il Qatar, si è in un certo senso avvalso dei buoni rapporti di Doha con Hamas per stringere una sorta di coordinamento su Gaza, nell’intento di impedire nuove escalation di violenze e incoraggiare un ennesimo tentativo di riconciliazione tra gli attori intra-palestinesi: una condizione di parziale stabilità che gradualmente porti a una vera fase di ricostruzione post-guerra nella Striscia dopo l’ultimo conflitto del 2014.[7]

Sempre in ottica mediorientale, è da segnalare il tentativo egiziano di rinforzare la propria rete di contatti regionali puntando ad ampliare le collaborazioni con i principali paesi dell’area Mena (Middle East North Africa), tra cui Giordania e Iraq. Rientrano in questo contesto gli incontri tenutisi al Cairo (9 aprile 2019) e ad Amman (9 maggio 2019) tra i ministri degli Esteri dei paesi in questione. Nel corso dei vertici trilaterali si è discusso delle sfide che investono la regione nel suo complesso (ricostruzione post-IS in Siria e Iraq, tensioni nel Golfo e questione israelo-palestinese) e delle opportunità che potrebbero emergere da situazioni non ancora ben definite e nelle quali i paesi arabo-sunniti potrebbero provare a far valere – con un più alto grado di convinzione rispetto al passato – una maggiore capacità di coesione nella ricerca di interessi comuni. Una posizione ribadita anche nel vertice tenutosi il 3 agosto a Baghdad, nel corso del quale i rappresentanti di Egitto, Giordania e Iraq hanno rilanciato il massimo impegno per una cooperazione economica, politica e di sicurezza rafforzata. Nello stesso incontro il ministro degli Esteri egiziano, Sameh Shukri, ha ribadito l’importanza di dare priorità a piani comuni di cooperazione in vari settori (tra cui edilizia popolare, energia e commercio) al fine di immunizzare il Medio Oriente dai numerosi fattori – anche di criticità – esterni. Una posizione condivisa anche dal titolare degli Esteri giordano, Ayman Safadi, che ha spiegato come sia desiderio del suo paese quello di espandere la cooperazione economico-commerciale anche a Iraq e Egitto. In tutti questi incontri, le parti hanno cercato di dare forma a tali premesse puntando subito a migliorare gli scambi commerciali trilaterali e introducendo misure rivolte, dapprima in maniera graduale, verso l’eliminazione dei dazi doganali su una vasta gamma di prodotti nel commercio tra le tre realtà. Altresì i ministri degli Esteri dei tre paesi hanno avanzato l’ipotesi di estendere la traiettoria dell’oleodotto Bassora-Aqaba anche all’Egitto – probabilmente creando una connessione con l’Arab Gas Pipeline nel Sinai –, nonché di definire meccanismi per la creazione di reti economiche e zone industriali nazionali congiunte.[8]

Alla base di questo ennesimo tentativo di integrazione sub-regionale vi sono ragioni di natura politica, economica e di sicurezza che si legano inevitabilmente alle maggiori questioni di instabilità che coinvolgono l’intero quadrante mediorientale, con un occhio di particolare attenzione puntato sulle vicende del Golfo. Le crescenti tensioni nello Stretto di Hormuz e i rischi connessi a un possibile blocco della via marittima tra le più trafficate al mondo a livello commerciale (tra il 20-25% dei prodotti petroliferi globali viaggiano lungo questa arteria che connette la direttrice Asia-Europa e viceversa), rappresentano una buona opportunità in primis per l’Iraq di costruire rotte terrestri alternative per l’afflusso e il commercio di gas e petrolio su scala globale. In questo senso il porto di Aqaba in Giordania ed eventualmente il Sinai permetterebbero di aggirare un presunto blocco su Hormuz per deviare parte dei traffici verso il Mar Rosso. Una scelta, quest’ultima, che premierebbe, anche dal punto di vista logistico, la strategia egiziana di fare della sub-regione un polo strategico per l’import-export commerciale non solo da e verso i mercati asiatici, ma soprattutto un collegamento diretto e continuo dal punto di vista strategico con il Canale di Suez e il Mediterraneo orientale. È innegabile, infine, che la buona riuscita dello sforzo diplomatico in essere debba avvenire nel pieno rispetto di equilibri e alleanze tradizionali, a livello regionale e internazionale. Infatti, stabilire relazioni politiche più strette da parte di Egitto e Giordania nei confronti dell’Iraq non deve primariamente compromettere i loro legami con gli alleati del Golfo, né tantomeno favorire possibili attenuanti politiche all’Iran che possano essere interpretate come formule di distensione nei suoi confronti.[9]

Parimenti al Mar Rosso, anche il contesto del Levante arabo continua a rivestire una rilevanza crescente nella strategia di politica estera egiziana. Il Cairo da tempo ha rafforzato i rapporti con i paesi rivieraschi nel tentativo di consolidare la propria presenza nell’area, ma anche per rendere la regione immune dalle crescenti tensioni geopolitiche. Non a caso, l’Egitto sta lavorando in maniera molto affiatata con Israele e Cipro per costituire una sorta di “cartello” del gas sulle rive del Mediterraneo orientale. Anche in tale ottica, il Cairo si è attivato con i principali supplier europei e internazionali per acquistare hardware e sistemi sofisticati di protezione delle infrastrutture gasifere volti a scoraggiare possibili iniziative unilaterali della Turchia. Ankara non riconosce gli accordi di demarcazione delle frontiere marittime stipulati fin dagli inizi degli anni Duemila tra Egitto, Cipro e Israele.

La rinnovata attenzione egiziana verso il Mediterraneo orientale si spiega anche con la necessità di securitarizzare la rotta energetica tra Egitto e Israele, per effetto della decisione del governo di Tel Aviv di esportare gas nel paese nordafricano entro la fine del 2019, con un flusso stimato di circa 7 miliardi di metri cubi annui provenienti per lo più dal giacimento Leviathan.[10] La notizia, importante per diversi aspetti, è una naturale conseguenza dell’accordo del febbraio 2018 firmato tra la egiziana Dolphinus Holding e il consorzio israelo-americano guidato da Delek Drilling e Noble Energy, per lo sviluppo e la fornitura di gas all’Egitto dai campi offshore israeliani di Leviathan e Tamar. Tale accordo del valore commerciale di 15 miliardi di dollari prevede una fornitura all’Egitto da 64 miliardi di metri cubi di gas nel corso di un decennio. I ministri dell’Energia di Egitto e Israele starebbero inoltre lavorando alla possibilità di definire ulteriori collegamenti, via terra e in mare aperto, tra i due paesi in modo da strutturare al meglio le capacità di cooperazione tecnica tra le realtà in questione e favorire, quindi, quello sviluppo di infrastrutture e tecnologie ad hoc utili a circoscrivere una strategia comune nel campo dell’energia che garantisca un commercio ampio e diffuso di gas lungo l’asse euro-asiatico, in possibile diretta concorrenza con l’oro blu qatarino.[11]

 

Note

[1] A. Melcangi e G. Dentice, Challenges for Egypt’s Fragile Stability, Atlantic Council, 2 luglio 2019.

[2] World Bank Group, From Floating to Thriving: Taking Egypt’s Exports to New Levels, Egypt Economic Monitor, luglio 2019, p. 16.

[3] Ivi, pp. 11-13.

[4] Capmas, Income & Expenditure Search Bulletin Date, luglio 2019.

[5] Amnesty International, Egypt: Series of draconian laws ‘legalizes’ unprecedented repression six years since fall of Morsi, luglio 2019; Human Rights Watch, Egypt: Little Truth in Al-Sisi’s ‘60 Minutes’ Responses, 1 luglio 2019.

[6] Human Rights Watch, If You Are Afraid for Your Lives, Leave Sinai! Egyptian Security Forces and ISIS-Affiliate Abuses in North Sinai, maggio 2019.

[7] R.A. Jalal, “Egypt takes another stab at reconciling Hamas, Fatah”, Al-Monitor, 25 luglio 2019.

[8] “FMs of Egypt, Jordan, Iraq meet in Baghdad”, Egypt Today, 3 agosto 2019; Iraq Minister of Foreign Affairs, “Foreign Ministers of Iraq, Jordan and Egypt Hold Important Meeting in Baghdad”, 4 agosto 2019.

[9] Per maggiori approfondimenti sulle dinamiche del Mar Rosso e gli interessi egiziani, si veda: A.M. Said Aly, “The Return of Geopolitics”, The Cairo Review of Global Affairs, 2019, pp. 70-81.

[10] L. Masri, Israel to begin gas exports to Egypt within four months -minister, Reuters, 24 luglio 2019.

[11] Per maggiori approfondimenti sulle dinamiche geopolitiche e strategiche riguardanti il Mediterraneo orientale, si veda: G. Dentice, “Natural gas in the Eastern Mediterranean: a driver of development”, in V. Talbot (a cura di), Building Trust: the Challenge of Peace and Stability in the Mediterranean, MED Report, ISPI - Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, Milano, 2018, pp. 23- 26.

Autore: 

Giuseppe Dentice

Giuseppe Dentice
ISPI Associate Research Fellow

Alessia Melcangi

Alessia Melcangi
UNiversità di Roma "La Sapienza"

URL Sorgente (modified on 25/09/2019 - 17:23): https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/egitto-diritti-e-sicurezza-ancora-un-giro-di-vite-24005