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Elezioni UE: i malesseri francesi per il trionfo di Marine Le Pen

Venerdì, 23 maggio, 2014 - 00:00

Si fa presto a dire populismo e a confondere il termine con la variegata offerta elettorale di movimenti e partiti che hanno fatto dell'antieuropeismo una bandiera. C'è di tutto, e a volte il contrario di tutto, in una galassia che mescola ed esprime xenofobia e nazionalismo, insicurezza e razzismo, ansie economiche e rivolte fiscali, localismo e antipolitica. Ma ci sono anche una voglia e un bisogno di un'Europa diversa, sia pure manifestati in modo confuso e a volte persino inconsapevole.

Tutto questo vale in sintesi anche per spiegare il fenomeno Marine Le Pen e l'assai probabile successo del Fronte Nazionale alle prossime elezioni europee, se possiamo avere fiducia nei sondaggi che lo indicano addirittura come il primo partito, sia pure come dato percentuale e non assoluto, poiché anche la combattiva Marine dovrá fare i conti con l'astensionismo.

Ma tutto questo non é sufficiente a comprendere appieno le origini di un successo che, secondo molti indicatori, potrebbe avere un effetto contagio in molti paesi dell'Unione. Il partito "populista" francese ha anche qualche carta da giocare in piú rispetto ad altri movimenti e partiti di altri paesi.

Il Fronte infatti gode di una piú radicata e vecchia tradizione nel panorama politico francese e al tempo stesso ha saputo modernizzarsi sia nel linguaggio, sia nei quadri dirigenti. L'effetto donna ha certamente la sua importanza, tanto piú che Marine Le Pen succede al vecchio e imprensentabile genitore, il fondatore del Fronte, Jean Marie. 

A questo si aggiunga un effetto sorpresa che, da anni, paradossalmente si ripresenta sempre uguale a se stesso. Sembra un ossimoro, ma non lo è. E si spiega con il fatto che il sistema elettorale francese tende a privilegiare in modo fin troppo esasperato il bipartismo e le coalizioni, finendo per escludere la rappresentanza di un partito che pure raccoglie milioni di voti. A parte qualche realtà locale, il Fronte non viene mai messo alla prova e può perennemente capitalizzare promesse o godere di un atteggiamento diffuso nell'elettorato francese : il voto contro, il voto punitivo, variante dell'astensione, nella consapevolezza o nella presunzione che tanto non conti nulla. 

In ultima analisi, il partito di Marine Le Pen approfitta anche della crisi della destra tradizionale neo gollista, che ha sempre tenuto al proprio interno anche correnti nazionaliste ed euroscettiche, e del crollo della sinistra nelle aree operaie e popolari. Inoltre, l'UMP, in nome dei valori repubblicani, rifiuta qualsiasi accordo elettorale con il Fronte, finendo in questo modo per avvantaggiare il partito socialista. Un meccanismo perverso che si ripete dai tempi di Mitterrand e che esplose una sola volta, in occasione delle presidenziali del 2002, quando Chirac godette dell'appoggio della sinistra per battere Le Pen, sorprendentemente ammesso al secondo turno delle presidenziali al posto del socialista Jospin.

L'ultima tappa significativa compiuta da Marine Le Pen è quella di accreditarsi come il punto di riferimento e di "gemellaggio" di altri partiti e movimenti antieuropei. Si veda, ad esempio, l'atteggiamento della Lega. Un percorso esattamente opposto a quello in atto al tempo di Alleanza Nazionale e di Gianfranco Fini che, appunto per "sdoganarsi" rifiutava l'accostamento al Fronte.

È, anche questo, un segnale di maturazione, nel senso che il Fronte sembra avere messo in soffitta certe durezze di linguaggio e un armanetario ideologico e culturale di cui qualche dirigente ormai si vergogna (Marine Le Pen non ha esitato a espellere fascisti dichiarati e negazionisti da varia estrazione) per portare l'attacco sul terreno piú attuale e oggi piú facile da attraversare: quello della crisi economica, dell'impoverimento dei ceti popolari, del decadimento delle classi medie e, in definitiva, delle responsabilità della moneta unica. 

Purtroppo per l'Europa, Marine Le Pen (come del resto il nostro Grillo) dice in pubblico cose che molti pensano e che persino molti dirigenti e leader europeisti riconoscono in privato. Ad esempio, che la crisi fosse prevedibile e che finora sono state salvate le banche e i banchieri. Che l'austerità di bilancio e il taglio della spesa pubblica non portano occupazione e crescita, ma impoverimento e nuove tasse. Che la governance dell'Europa deve essere affidata ai rappresentanti del popolo e non a una classe di tecnocrati e "mandarini" non eletti, nonché prigionieri dei veti incrociati dei governi. Che, infine, la Germania non può continuare a incassare i dividenti sia nei tempi di vacche grasse, sia nei tempi di vacche magre. Al punto che, ancora piú in segreto, non vede il successo dei populisti come una sciagura, ma come una scossa salutare per ridiscutere le basi stesse dell'Unione e rilanciarla secondo gli ideali con cui era stata concepita.

Massimo Nava, Corriere della Sera
 
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