Generazioni jihad in Italia: quando padre e figlio sono foreign fighters

Con un’operazione di polizia, denominata significativamente “Talis Pater”, il 26 gennaio 2018 le Digos di Milano e di Como hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per due cittadini stranieri, un egiziano di 51 anni, Sayed Fayek Shebl Ahmed, e il figlio di 23 anni, Saged Sayed Fayek Shebl Ahmed, per associazione con finalità di terrorismo.
I due erano residenti in Provincia di Como. Secondo le informazioni disponibili, il padre Sayed, nato al Cairo il 7 ottobre del 1966, saldatore, era arrivato in Italia negli anni Novanta, stabilendosi a Milano e poi appunto in provincia di Como. Come altri militanti jihadisti della sua generazione, si era recato in Bosnia per combattere con al-Qaida ai tempi delle guerre balcaniche.
Sarebbe stato proprio il padre Sayed ad avvicinare il figlio Saged alla causa jihadista e a spingerlo persino a partire per la Siria come foreign fighter, approfittando dei contatti con un ex commilitone della guerra in Bosnia. Entrato dapprima in un gruppo legato al Fronte al Nusra (l’organizzazione originariamente affiliata con al-Qaida e conosciuta dal gennaio 2017 con il nome di Hay'at Tahrir al-Sham, HTS), Saged avrebbe poi mostrato simpatie per i rivali jihadisti dello Stato Islamico. Secondo le ricostruzioni emerse dopo l’operazione di polizia, il figlio era stato allontanato dal Fronte al Nusra e sarebbe stato reinserito proprio grazie all’intervento del padre.
Dall’Italia i genitori ogni mese inviavano al giovane 200 Euro. Il padre ha cercato di nascondere le proprie responsabilità e persino di sviare le indagini, ma il suo ruolo nella vicenda è stato confermato dalle intercettazioni telefoniche.
L’inchiesta ha coinvolto anche la moglie di Sayed, una cittadina marocchina di 45 anni. La donna riteneva che il figlio dovesse rimanere in Siria a combattere, nonostante tutti i rischi. È stata rimpatriata per motivi di sicurezza pubblica.
Al contrario, il fratello minore e la sorella di Saged non condividevano l’ideologia jihadista. Il fratello per questo viene chiamato con disprezzo “cane” dal padre.
Secondo le autorità italiane, “ci sono ragionevoli motivi perché possa tornare in Italia o in Europa”.
Grazie a dati originali in possesso dell’Osservatorio sulla Radicalizzazione e il Terrorismo Internazionale di ISPI,1 è possibile tratteggiare un profilo più preciso del giovane foreign fighter.
Saged Sayed Fayek Shebl Ahmed è nato a Zenica, quarta città della Bosnia-Erzegovina, il 24 novembre 1994, al tempo in cui il padre combatteva con le milizie jihadiste. Si segnala peraltro che Sayed risultava legato ad elementi di vertice dell’Istituto Culturale Islamico di viale Jenner a Milano.
Saged ha cittadinanza bosniaca. È quindi un “immigrato di seconda generazione” in Italia, per quanto anomalo a causa della triangolazione del padre tra Egitto, Italia e Bosnia. Molti studi, d’altra parte, hanno confermato che le seconde generazioni sono particolarmente vulnerabili ai processi di radicalizzazione jihadista.
Saged è entrato in Italia nel gennaio del 2008 e, come detto, risiedeva in provincia di Como. Appartiene alla categoria degli jihadisti con basso livello socio-economico, con condizioni precarie, legate a lavori saltuari, e basso grado di istruzione.
Le autorità italiane hanno definito il suo livello di devozione religiosa come “elevato”. Di sicuro in Italia frequentava due centri islamici, rispettivamente in provincia di Varese e in provincia di Como, ma non vi sono elementi per sostenere che tali frequentazioni abbiano avuto un’influenza rilevante sul suo percorso di radicalizzazione.
Era inoltre attivo su internet, in particolare su Facebook e su Skype.
Sayed non aveva precedenti penali e non è mai stato in carcere, ma risultava essere un consumatore di sostanze stupefacenti. Non presentava disturbi psicologici.
Secondo le informazioni raccolte, in Italia, fuori dal nucleo familiare, non aveva legami con altri militanti jihadisti: non faceva parte di network a livello locale, non aveva connessioni con altri foreign fighters provenienti dall’Italia e non era in contatto con gruppi o network estremisti in altri Paesi europei.
Il 30 giugno del 2014 (il giorno successivo alla proclamazione ufficiale dello Stato Islamico) Sayed lascia l’Italia. Parte in aereo da Milano e, come molti altri foreign fighters occidentali, transita dalla Turchia prima di arrivare in Siria. Qui diventa quindi un combattente jihadista, inizialmente nelle fila del Fronte al-Nusra. Almeno fino al novembre del 2016 si trovava nel governatorato di Idlib, inquadrato in una coalizione composta da gruppi jihadisti guidati dal Fronte al Nusra. In Siria si è sposato con una giovane del luogo, dalla quale ha avuto un figlio.
Non vi sono indicazioni in merito all’eventuale volontà di pianificare attacchi in Italia o in Europa.
Saged, figlio d’arte, è uno dei 129 foreign fighters legati all’Italia che sono partiti negli ultimi quattro anni per la Siria e l’Iraq. Si tratta, com’è noto, di un numero relativamente ridotto, quantomeno rispetto a quello di altri Paesi europei, come la Francia, la Germania, la Gran Bretagna e il Belgio.2
Per quanto non esista un profilo comune dei foreign fighters, Saged condivide alcune caratteristiche generali ricorrenti nel contingente italiano, come la giovane età, l’appartenenza alle seconde generazioni, la residenza in contesti non metropolitani (a differenza della maggior parte dei foreign fighters europei), l’assenza di connessioni con organizzazioni estremiste attive sul territorio nazionale.
Chiaramente l’aspetto più interessante della vicenda è quello che lega il padre Sayed al figlio Saged, in una sorta di staffetta generazione di matrice jihadista. Su questo fatto vale la pena di presentare almeno due considerazioni.
Da un lato, questa storia ci ricorda che la presente ondata di combattenti stranieri jihadisti, diretta verso la Siria e l’Iraq, non è la prima della storia contemporanea, sebbene sopravanzi tutte le altre per dimensioni e per ritmi. La presenza di due generazioni di foreign fighters residenti in Occidente all’interno della medesima famiglia non è frequente; basti pensare che alcuni studiosi autorevoli, come Olivier Roy,3 hanno interpretato l’attuale mobilitazione jihadista in Europa come una ribellione generazionale dei figli contro i padri (con i primi che giudicano i secondi non abbastanza zelanti). Nondimeno, non si tratta di un caso unico; secondo i dati in nostro possesso, altri due foreign fighters legati all’Italia avevano un padre con esperienza di combattimento in Bosnia.
Dall’altro lato, questa storia sottolinea l’importanza dei legami familiari nei processi di radicalizzazione, tanto più in un paese come l’Italia dove la scena jihadista autoctona ha dimensioni ridotte ed è poco strutturata.4 Si pensi, per esempio, alla famiglia Sergio di Inzago (MI), nella quale la figlia minore Maria Giulia è stata in grado di indottrinare la sorella maggiore e infine entrambi i genitori, convincendoli persino a pianificare nel 2015 un viaggio, sventato dalle autorità, per raggiungerla in Siria: una direzione del processo di influenza (dalla figlia ai genitori) opposta, quindi, a quella rintracciabile nella famiglia Fayek Shebl Ahmed.
Come molti studiosi ed esperti hanno notato, i rapporti di parentela, che precedono la militanza estremista, possono portare importanti benefici per le organizzazioni e network terroristici, essendo tipicamente associati a elementi utili per l’attività e il funzionamento di gruppi clandestini, come la conoscenza reciproca, la fiducia, la solidarietà. Nondimeno i legami di parentela non possono essere “utilizzati” in maniera automatica per tali scopi, ma devono essere opportunamente attivati, quando è possibile;5 lo dimostra proprio il caso dei due fratelli di Saged, che non hanno aderito alla causa jihadista, attirandosi per questo le critiche degli altri membri della famiglia.
1 Database dei foreign fighters legati all’Italia, ISPI - dell’Osservatorio sulla Radicalizzazione e il Terrorismo Internazionale.
2 Vedi L. Vidino e F. Marone, The Jihadist Threat in Italy: A Primer, ISPI, 2017, https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/jihadist-threat-italy-primer-1....
3 O. Roy, Generazione Isis. Chi sono i giovani che scelgono il Califfato e perché combattono l'Occidente, Milano, Feltrinelli, 2017.
4 In particolare, L. Vidino, Il jihadismo autoctono in Italia: nascita, sviluppo e dinamiche di radicalizzazione, ISPI, 2014, https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/il-jihadismo-autoctono-italia-....
5 F. Marone, Ties that Bind: Dynamics of Group Radicalisation in Italy’s Jihadists Headed for Syria and Iraq, in «The International Spectator», Vol. 52, Issue 3, 2017, pp. 48-63.