Golfo Persico: modello vincente da riequilibrare

Tre mesi dopo l’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, ci sono buone notizie e cattivi presagi per le monarchie del Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG). Nel breve-medio periodo, le buone notizie riguardano il prezzo di petrolio e gas: con rendite più elevate, le monarchie possono scegliere di allungare i tempi della diversificazione economica mitigandone, ancor più, le ricadute sociali, a tutela così della stabilità politica interna. Nel medio-lungo periodo, i cattivi presagi circondano, invece, l’arretramento della globalizzazione e della connettività, divenuta il mantra della diversificazione post-idrocarburi. Perché le capitali arabe del Golfo hanno solo da perdere in un mondo dominato da conflittualità, blocchi contrapposti e sanzioni economiche.
Stati Uniti, Russia, Cina: la mappa del Golfo dopo tre mesi di guerra
Pur senza esplicite dichiarazioni politiche, le monarchie del Golfo stanno mostrando cautela nei rapporti economici con la Russia, in un quadro di complicata equidistanza rispetto al conflitto. Il Qatar ha affermato che non pianificherà nuovi investimenti a Mosca fino a quando non ci saranno “condizioni migliori e più stabilità politica” includendo, però, anche alcuni Paesi europei. Mubadala, Il fondo sovrano di Abu Dhabi, ha messo in pausa gli investimenti in Russia.
Nel CCG, il Qatar (appena nominato major non-NATO ally dagli USA), è il Paese che più si è smarcato dalla Russia. Dopo che l’emiro Tamim bin Hamad Al Thani aveva parlato di “guerra ingiusta”, Doha ha partecipato - unico nel CCG - al vertice dello Ukraine Security Consultative Group a Ramstein (26 aprile), il “gruppo di contatto” a sostegno dell’Ucraina. L’Oman è invece il primo Paese del Golfo ufficialmente visitato da un alto esponente russo dall’inizio dell’invasione in Ucraina. Il ministro degli Esteri di Mosca Sergey Lavrov si è infatti recato a Muscat l’11 maggio: l’ultima volta fu nel 2016. Il commercio è stato al centro della visita: Oman e Russia hanno annunciato l’esenzione dai visti e la firma di “accordi bilaterali”.
In quest’area, la contrapposizione Stati Uniti-Russia cela però la vera partita geopolitica che si sta lì giocando: quella fra Stati Uniti e Cina. A metà aprile, il direttore della CIA William Burns ha visitato l’Arabia Saudita, per un incontro non annunciato con il principe ereditario Mohammed bin Salman Al Saud: in agenda, l’incremento della produzione petrolifera e i rapporti dei sauditi con la Cina. Nello specifico, Washington vorrebbe evitare che Riyadh acquistasse missili balistici da Pechino (che già l’aiuterebbe a produrli nel regno).
Buone notizie per Riyadh e dintorni: gli idrocarburi tornano centrali
Per le monarchie del Golfo, certo, l’invasione russa dell’Ucraina ha provocato uno shock economico positivo: il prezzo dell’energia, già in crescita, si è stabilizzato al rialzo. Le materie prime fossili sono tornate al centro della scena economica, nonché della competizione fra Stati (soprattutto europei), alla ricerca di fonti di gas e petrolio alternative alla Russia. Per l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti (EAU), il Qatar, il Kuwait, il Bahrein e l’Oman, è dunque l’occasione per riempire i forzieri statali, ovvero i fondi sovrani, dai quali poi attingere per sostenere il percorso di diversificazione economica post-idrocarburi. Nel primo trimestre 2022, il Prodotto interno lordo è in crescita in tutta l’area del Consiglio di Cooperazione del Golfo, dopo un biennio di contrazione, aggravato dall’impatto di Covid-19.
Ed è proprio l’oil&gas a trainare la risalita. Due esempi. I profitti di Saudi Aramco sono aumentati dell’82% nel primo trimestre 2022, rispetto allo stesso periodo 2021: l’utile netto è passato da 21 miliardi di dollari a 39 miliardi e la compagnia petrolifera saudita ha persino superato la società americana Apple, diventando l’azienda a maggiore capitalizzazione nel mondo. Nel primo trimestre 2022, i conti statali del Sultanato dell’Oman sono tornati in attivo dopo il deficit fiscale registrato nel 2021: la rendita petrolifera è aumentata di oltre il 70%, quella derivante dal gas è più che raddoppiata. Una boccata d’ossigeno per il consistente debito di Muscat.
Cattivi presagi per la diversificazione post-oil
Tuttavia, per le capitali arabe del Golfo, c’è un cattivo presagio che manifesterà i suoi effetti nel medio-lungo periodo, specie se la guerra in Ucraina si protraesse a lungo: si chiama arretramento della globalizzazione.
Dagli anni Novanta e Duemila, le monarchie si sono sempre più integrate nel sistema finanziario-economico internazionale. Il nuovo status economico di Riyadh, Abu Dhabi e Doha ne ha rafforzato il ruolo politico, dentro e fuori il Medio Oriente. Due variabili parallele hanno poi accelerato lo scenario d’integrazione. Da un lato, le monarchie hanno elaborato le “Visions”, programmi nazionali per diversificare e rendere sostenibili, oltre il petrolio e il gas, le strutture economico-sociali, attraendo investimenti internazionali; dall’altro, i Paesi asiatici (Cina e India su tutti) sono cresciuti per peso economico e ambizioni strategiche, trovando nel Golfo il primo fornitore di energia nonché il luogo, geograficamente e politicamente compatibile, per investimenti e infrastrutture. La Belt and Road Initiative (BRI) cinese e la Vision 2030 saudita sono così apparse complementari, funzionali al raggiungimento dei reciproci obiettivi di sviluppo.
Dopo l’invasione russa dell’Ucraina, il sistema internazionale (ri)scopre, invece, conflittualità, blocchi contrapposti e sanzioni: il mito della connettività, che tanta eco ha avuto nel Golfo, ora trema, sotto i colpi delle logiche binarie. Non a caso, le capitali arabe del Golfo fuggono adesso il posizionamento diplomatico ′pro o contro Mosca`. La lotta alla pandemia aveva già sfidato il modello economico-sociale nascente delle monarchie, frenando mobilità e scambi. Tuttavia, a differenza della guerra in Ucraina, Covid-19 rappresenta una minaccia percepita anche nel Golfo, unendo così le monarchie ai players globali nella ricerca di soluzioni politiche. Ecco perché sicurezza energetica, marittima e alimentare, ovvero gli ambiti d’interesse collettivo che la guerra sta minacciando, possono giocare un ruolo decisivo nel rilancio della cooperazione fra monarchie del Golfo, Stati Uniti e Unione Europea.
In tale contesto, il modello delle "alleanze a network" prosperato con la globalizzazione e con la diversificazione post-idrocarburi (es. partnership parallele; business multidirezionale; porti e aeroporti), rischia ora di schiudere meno opportunità per generare, invece, più cortocircuiti politici (es. deterioramento delle relazioni con gli USA, forse sanzioni secondarie). Pertanto, l’interrogativo primo delle leadership del Golfo sarà, d’ora in avanti, come coniugare modello economico e posizionamento internazionale. Per un decennio, le monarchie hanno utilizzato il nascente multipolarismo (USA; Cina; Russia) per realizzare obiettivi nazionali sempre più ambiziosi. In parte ci sono riuscite. Pertanto, le capitali arabe del Golfo non possono, né vogliono, rinunciare ai benefici del multipolarismo, né in economia né in politica estera.