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I foreign fighters in Ucraina: il caso italiano

Venerdì, 25 febbraio, 2022 - 12:45
Combattenti stranieri

La guerra appena scatenata in Ucraina dalla Russia di Vladimir Putin riporta l’attenzione di tutti su una crisi internazionale che ha almeno otto anni di storia. Come si ricorderà, dopo le proteste e gli scontri di “Euromaidan” (novembre 2013 - febbraio 2014) e l’allontanamento del presidente filo-russo Viktor Janukovič (22 febbraio 2014), Mosca ha annesso unilateralmente la Crimea (marzo 2014) e ha appoggiato di fatto le rivendicazioni separatiste di una parte del Donbass. Nella primavera del 2014 in questa regione orientale dell’Ucraina è scoppiato un vero e proprio conflitto tra le forze armate e alcune formazioni paramilitari ucraine, da un lato, e le milizie separatiste sostenute da Mosca, dall’altro. Gli scontri sono stati intensi fino a febbraio 2015, quando si è arrivati a un cessate il fuoco, ma in realtà il conflitto non si è mai definitivamente concluso. In questi anni la Russia ha sostenuto di fatto i due territori separatisti del Donbass orientale, le auto-proclamate Repubbliche popolari di Doneck e di Lugansk; infine, com’è noto, il 21 febbraio 2022 Putin, con una mossa gravida di conseguenze, ne ha riconosciuto ufficialmente l’indipendenza.

Una delle ripercussioni più interessanti – e meno analizzate – della crisi ucraina del 2014 è stata la comparsa di un flusso di migliaia di combattenti provenienti dall’estero. Mentre negli ultimi otto anni l’interesse per i foreign fighters jihadisti è stato, giustamente, molto elevato, questi combattenti stranieri in territorio formalmente ucraino finora hanno ricevuto scarsa attenzione. In totale, secondo stime recenti, almeno 17.000 volontari, da più di 50 paesi, avrebbero combattuto nella regione del Donbass. Di questi la grande maggioranza, circa 15.000, proverrebbe in realtà dalla vicina Russia. Dall’Occidente sarebbero invece arrivate circa 1.000 persone: significativamente, una parte a sostegno delle forze nazionali ucraine e una parte in difesa delle milizie separatiste filo-russe. A differenza dei foreign fighters jihadisti in Siria e Iraq, numerosi volontari in Ucraina non hanno inteso il loro trasferimento come definitivo e hanno preferito trascorrere soltanto periodi più o meno lunghi nel teatro di guerra. 

Sulla base delle (frammentarie) informazioni attualmente disponibili, si stima che dall’Italia possano essere partiti circa 50-60 combattenti, presumibilmente con una distribuzione abbastanza equilibrata tra le due parti del conflitto; quasi sempre si è trattato di maschi adulti di nazionalità italiana, con livello socio-economico medio-basso e senza familiari al seguito. A ben vedere, le dimensioni di questo flusso dall’Italia non sono trascurabili se si pensa che in Occidente soltanto la Germania (circa 150 volontari) e, includendo i Balcani, la Serbia (circa 100) presenterebbero numeri nettamente più elevati. Tra l’altro, può essere utile notare, a mo’ di comparazione, che nello stesso periodo i foreign fighters jihadisti legati in qualche modo all’Italia sono stati in totale poco più di 140 (comprendendo anche le donne, che non erano autorizzate a combattere), ma in realtà, soltanto un quinto circa di questi individui aveva effettivamente il passaporto italiano.

Le poche ricerche e analisi attualmente disponibili mostrano che questi combattenti stranieri in Ucraina hanno profili individuali, traiettorie biografiche e motivazioni differenti. Per alcuni volontari la motivazione principale sembra esser stata di carattere economico e professionale. Si può citare, a titolo di esempio, il caso di A. C. che, passando dalla Russia, si è unito alle milizie dell’autoproclamata Repubblica di Lugansk nel febbraio del 2015, insieme con un altro conoscente italiano. A. C. aveva già alle spalle una carriera come contractor all’estero ed era stato persino sequestrato in Libia nel 2011, ai tempi dello scoppio della guerra civile. Le informazioni attualmente disponibili suggeriscono che A. C. abbia deciso di unirsi alle milizie separatiste principalmente per ricevere un compenso economico (di importo modesto) e proseguire la sua carriera in questo settore. Per questa sua esperienza a fianco dei separatisti è stato coinvolto in un processo in Italia, insieme con altri volontari filo-russi, e nel 2019 ha patteggiato una pena di poco inferiore ai tre anni.

Dall’altra parte, per alcuni combattenti provenienti dall’Italia, le motivazioni di carattere genuinamente politico rivestono un ruolo saliente, se non decisivo. Infatti, la maggior parte dei combattenti stranieri in Ucraina – dal 50 all’80 percento del totale, secondo stime recenti – avrebbe posizioni di estrema destra. Anche nel caso italiano, il contingente di militanti e simpatizzanti che presenta tali orientamenti ideologici appare proporzionalmente cospicuo. Curiosamente, le loro strade si sono divise sin dal principio: alcuni si sono uniti alle forze nazionali ucraine, mentre altri si sono schierati, all’opposto, con i separatisti filo-russi. Per inciso, le indicazioni attualmente disponibili suggeriscono che anche la guerra appena scoppiata in Ucraina provochi reazioni divergenti tra le fila degli estremisti di destra attivi in Occidente.

Tra i combattenti di estrema destra che hanno parteggiato per l’Ucraina, il profilo più importante è probabilmente quello di F.S.F., storico militante del neofascismo italiano, che si è prodigato a favore della causa nazionalistica di Kiev dai tempi di “Euromaidan”, tanto sul territorio ucraino quanto all’estero. Da un lato, F.S.F. è entrato nel famigerato Regimento Azov, una formazione paramilitare (poi incorporata ufficialmente nella Guardia Nazionale ucraina, nel settembre 2014) con ben note radici neonaziste. Dall’altro lato, questo volontario italiano è impegnato in incontri politici e manifestazioni tra estremisti di destra in diversi paesi.

Un numero consistente di foreign fighters di estrema destra, provenienti anche dalla stessa Italia, si è invece schierato con le milizie delle Repubbliche separatiste. Portando alle estreme conseguenze simpatie per la Russia di Putin che sono visibili in settori della destra radicale e della destra estrema in Occidente, questi volontari hanno solitamente visto in Mosca un riferimento essenziale nella lotta contro il presunto “imperialismo” degli Stati Uniti, della NATO e dell’Unione Europea nonché il bastione di una visione tradizionalista della società e della politica.

Il più noto tra questi volontari italiani è probabilmente A. P., già attivista neofascista e capo ultras nella sua città di residenza. Accusato di essere il responsabile di numerosi episodi di intimidazione e di violenza. Al momento della sua partenza per il Donbass, nel maggio 2014, risultava ancora sottoposto alla misura della sorveglianza speciale. A differenza di altri combattenti stranieri, A. P. non ha mai nascosto la sua decisione di trasferirsi nell’area del conflitto, ha sostenuto pubblicamente la causa dei separatisti filo-russi e ha esibito posizioni radicali su questioni politiche e sociali, pur preferendo non ostentare riferimenti esplicitamente neofascisti. Nel 2021, A. P., che vive stabilmente a Lugansk, è stato condannato a cinque anni di reclusione in Italia. Nel caso specifico di questo volontario, presumibilmente le istanze di natura politica si sono combinate con il desiderio personale di ricostruirsi una nuova vita all’estero, sottraendosi anche ai guai giudiziari incontrati in Italia.

Dall’altro lato, a unirsi ai ranghi dei separatisti filo-russi sono stati anche attivisti e simpatizzanti di estrema sinistra, attirati dalla prospettiva di sostenere quelli che ai loro occhi appaiono come eredi della gloriosa Unione Sovietica, in lotta contro il governo ucraino sostenuto dalla superpotenza americana. Un caso interessante riconducibile a questa categoria di combattenti è quello di E. O., partito precipitosamente dall’Italia nel 2015 dopo essersi reso responsabile di un’aggressione in un bar. Una volta arrivato nel Donbass, l’uomo ha sostenuto pubblicamente di essere un “internazionalista” antifascista impegnato a lottare contro le ingiustizie nel mondo. Nei giorni scorsi E. O., che risiede ancora nella regione, ha auspicato l’invasione dell’Ucraina. Anche in questa storia apparenti aspirazioni ideologiche tendono presumibilmente a saldarsi con ragioni squisitamente personali.

Il risultato paradossale di questo intreccio tra affiliazioni ideologiche e scelte di campo in Ucraina è stato che militanti di estrema destra, tipicamente neofascisti o neonazisti, si sono trovati al fianco di attivisti di estrema sinistra, spesso di ispirazione comunista, impegnati con la parte separatista; e, al contempo, a dispetto della comune estrazione ideologica, hanno finito per essere in lotta contro altri militanti di estrema destra, schieratisi con l’opposto fronte ucraino. Secondo la maggior parte dei volontari, questi singolari allineamenti non provocano gravi imbarazzi o inconvenienti: come hanno dichiarato apertamente tre combattenti “internazionalisti” spagnoli di ritorno dalle regioni separatiste filo-russe, “abbiamo combattuto uniti, comunisti e nazisti”. Oltretutto, alcuni volontari aderiscono alla visione di una supposta convergenza tra estrema sinistra ed estrema destra, ispirata in particolare da elaborazioni ideologiche “rosso-brune” come quelle del controverso pensatore russo Aleksandr Dugin.

In generale, il fatto che volontari con posizioni estremistiche maturino esperienze sul campo di battaglia, acquisiscano abilità nell’uso delle armi e possano stringere rapporti con altri estremisti all’estero merita attenzione. Nel valutare l’effettivo profilo di rischio, occorre tuttavia adottare una prospettiva equilibrata che eviti sia di esagerare sia di minimizzare l’effettiva portata della minaccia.

Da un lato, enfatizzando i pericoli, alcuni studiosi si sono spinti fino a presentare l’Ucraina come un fulcro centrale e una sorta di palestra dell’estremismo di destra transnazionale, attribuendole persino un ruolo non troppo dissimile da quello svolto dalla Siria e dall’Iraq ai tempi del “califfato” del cosiddetto Stato Islamico. Rispetto a questa interpretazione si può sostenere che un parallelismo con il fenomeno dello jihadismo globale appaia per molti versi poco convincente. A ben vedere, nessuna unità militare o paramilitare operante in Ucraina ha promosso metodicamente una causa estremistica su scala globale né, soprattutto, ha mai sollecitato o tantomeno organizzato azioni terroristiche al di fuori dell’area del conflitto.

Dall’altro lato, minimizzare o addirittura ignorare i rischi sarebbe un errore. Una parte consistente dei foreign fighters partiti per l’Ucraina ha posizioni politiche estremistiche e ha persino manifestato un sentimento di intensa ostilità nei confronti di valori e istituzioni dell’Occidente. A titolo di esempio, un combattente italiano delle milizie separatiste non ha esitato a rilasciare interviste con dichiarazioni minacciose, come: “Quando combatto, quando sparo, io vedo sì gli ucraini, ma vedo anche Bruxelles, vedo i politici italiani”.

Oltretutto, alcuni di questi individui hanno già dimostrato di essere pericolosi anche al di fuori del teatro di guerra. Si può ricordare, per esempio, la vicenda di Craig Lang, un ex-soldato dell’esercito statunitense che ha combattuto con una formazione paramilitare ultranazionalista dal 2014 al 2016 e risiede ancora in Ucraina; gli Stati Uniti hanno richiesto la sua estradizione per un duplice omicidio che avrebbe commesso nel suo paese di origine nel 2018 e recentemente avrebbero anche aperto un’inchiesta a suo carico per presunti crimini contro l’umanità perpetrati in Ucraina.

Occorre poi aggiungere che sinora la maggior parte dei paesi occidentali non ha adottato un approccio esplicito ed univoco nei confronti di propri cittadini che abbiano combattuto in Ucraina, specialmente in caso di sostegno alle forze ucraine.

In questo contesto, i rischi potrebbero aumentare ulteriormente con lo scoppio della guerra in tutta l’Ucraina. Combattenti stranieri che avevano abbandonato questo teatro potrebbero farvi ritorno. In aggiunta, altri volontari potrebberomobilitarsi. Non si può escludere che il protrarsi della crisi in Ucraina possa condurre a una nuova ondata di foreign fighters, composta da volontari intenzionati a offrire il proprio contributo personale all’evoluzione del conflitto. Come già accaduto nel 2014-2015, a partire per l’Ucraina potrebbero essere anche militanti estremisti, potenzialmente pericolosi per i loro stessi paesi di origine e per altri stati.

Autore: 

Francesco Marone

Francesco Marone
ISPI Associate Research Fellow

URL Sorgente (modified on 26/02/2022 - 11:18): https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/i-foreign-fighters-ucraina-il-caso-italiano-33733