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I tanti rebus dell’ingresso croato nell’UE

Martedì, 16 aprile, 2013 (Tutto il giorno)

"Il coraggio dell'Europa": questo lo slogan con cui il premier sociademocratico croato Zoran Milanović invitava i propri concittadini a partecipare alle prime elezioni europee mai tenutesi in Croazia – l'ingresso del paese nell'UE è previsto per il 1° luglio. Tuttavia, il risultato elettorale locale e il clima politico continentale offrono tutt'altro panorama: coraggio ed entusiasmo sembrano lasciare il posto a una certa sfiducia e diffidenza reciproca. I nuovi eurodeputati croati resteranno in carica solo un anno, fino alle elezioni europee generali del 2014: anche per questo motivo la partecipazione al voto è stata solo di poco superiore al 20%. Una cifra davvero misera se confrontata con il referendum con cui i cittadini croati, un anno fa, avevano approvato l'ingresso nell'UE, registrando una partecipazione doppia (anche se all'epoca le liste elettorali presentavano diverse irregolarità).

Il vincitore del voto è il partito conservatore dell'HDZ (Unione democratica croata), che si assicura metà dei 12 seggi a disposizione. Questa forza politica, fondata dal primo presidente del paese Franjo Tuđman e protagonista della guerra del 1991-95, aveva perso il potere alle elezioni politiche dello scorso anno dopo un ventennio di dominio quasi ininterrotto della scena pubblica, decimata da scandali, arresti e lotte di correnti. La coalizione di centrosinistra guidata dai socialdemocratici dell'SDP, al governo appunto nell'ultimo periodo, deve accontentarsi di cinque seggi, lasciandone uno all'opposizione di sinistra dei laburisti. Sono molti i fattori che hanno determinato un tale risultato. Zagabria è stata sottoposta dall'UE ad un estenuante processo negoziale, durato dieci anni. Già da tempo, le inchieste registrano la disillusione della maggiorparte della popolazione, ormai considerata la più euroscettica tra quelle dei paesi aspiranti. Le notevoli riforme politiche ed economiche richieste non sono state percepite come utili né per modificare il malcostume politico – la Croazia resta uno stato molto corrotto, clintelista e infiltrato dal crimine organizzato –, né per migliorare le condizioni economiche: da ben quattro anni il paese è in recessione, e la disoccupazione è arrivata a sfiorare il 22%.

Il partito di governo ha pagato più degli altri lo scontento diffuso, benchè Milanović avesse già precisato alla cittadinanza gli effetti immediati della ristrutturazione economica in atto: “Lavorerete più duramente, per più ore, per più anni”. Si prevede che l'ingresso nell'UE frutterà alla Croazia circa 13 miliardi di euro da qui al 2020; le grandi aziende pubbliche locali, retaggio del sistema economico socialista della ex Yugoslavia, non appaiono però attrezzate a fronteggiare la futura concorrenza degli investitori privati europei, e sono destinate a pagare un alto prezzo in termini di chiusure e licenziamenti. Misure come il condono di tutti gli interessi sui debiti dei cittadini nei confronti della pubblica amministrazione non hanno potuto smussare i timori legati ad altri provvedimenti di risanamento dei conti, come la diminuzione del 3% degli stipendi degli statali e la privatizzazione dei grandi cantieri navali di stato.

Anche sulla sponda europea, l'ingresso della Croazia è salutato da freddezze e dubbi crescenti: non è bastato il via libera della Commissione Europea perchè tutti i membri ratificassero la decisione. Risolte le spinose dispute con la Slovenia (il veto di un solo paese può bloccare l'ingresso), a due mesi e mezzo dalla data ufficiale manca ancora l'approvazione della Germania – paradossalmente considerata il padrino politico dell'indipendenza croata da Belgrado, e storicamente unita a Zagabria da strettissimi legami. In tempi di rigore, austerità e campagna elettorale (le elezioni politiche tedesche si terranno in settembre), parlamentari di ogni colore politico minacciano, più o meno apertamente, di bloccare la ratifica. La Cancelleria ha ufficialmente preso le distanze da tale atteggiamento, ma resta il fatto che a spaventare Berlino sono le condizioni economiche disastrose della Croazia e la reazione che l'elettorato, a tre mesi dal voto, potrebbe avere di fronte ai tantissimi ricongiungimenti familiari che avrebbero immediatamente luogo: basti pensare che in Germania vivono infatti già circa 250.000 croati, rifugiati durante le guerre degli anni '90.

L'ingresso della Croazia nell'UE dovrebbe facilitare l'ancoraggio democratico degli altri paesi della ex Yugoslavia, ancora sorretti da strutture statali fragili e da democrazie incerte, e reciprocamente opposti fino a pochi anni fa in violentissimi conflitti etnici e militari. Se ciò non dovesse verificarsi, le terribili condizioni economiche e il rafforzamento delle tendenze nazionaliste potrebbero seriamente compromettere il raggiungimento di questo obiettivo.

 

* Riccardo Pennisi è analista di politica europea e collabora con Aspenia online e Limes


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