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Il Decreto-Ley n. 302: la nuova politica migratoria cubana

Giovedì, 25 ottobre, 2012 - 00:00

Il 16 ottobre scorso è stato pubblicato sulla Gaceta Oficial della Repubblica di Cuba il Decreto-legge n. 302, che contiene una riforma alla cosiddetta Ley de Migración del 1976. Quello che il Ministero degli Esteri isolano ha definito un «rinnovamento della politica migratoria» rappresenta sicuramente un giro di vite notevolissimo e una riforma – almeno sulla carta – di (potenziale) portata storica, una delle più incisive dall’uscita dalla scena istituzionale di Fidel Castro .

Giuridicamente, l’uscita dal Paese, ai sensi delle nuove disposizioni, è consentita a tutti coloro i quali possiedono i due requisiti ai sensi dell’art.2: essere in possesso di un passaporto valido e, se richiesto, un visto del Paese di destinazione . Ovviamente, permane una serie di limitazioni per i quadri professionali, sportivi e membri delle Forze armate (art. 25) che non godono di tale privilegio, al fine di non permettere un’uscita massiccia di capitale umano da Cuba. La nuova legge ha anche esteso la permanenza all’estero da 11 a 24 mesi .

La notizia è stata accolta con molta soddisfazione dalla popolazione cubana, poiché si tratta del primo esperimento di una politica migratoria senza l’obbligo di un Permiso de Salida e della Carta de Invitación, due requisiti in vigore dal 9 gennaio 1959 . Anche a Washington, la notizia è stata accolta con soddisfazione dal Dipartimento di Stato, persuaso che tale regolamentazione potrebbe interrompere la migrazione irregolare via mare dei balseros cubani.

In realtà, la mossa di Raúl Castro, al di là delle rosee aspettative con cui è stata accolta su molte testate giornalistiche occidentali, contiene una serie di caveat giuridici, ma anche geopolitici, assolutamente rilevanti. Il primo è il valore simbolico del Decreto-Ley: il regime cubano ha avuto gioco facile nel presentare questa misura come un segno di buona volontà nei confronti del Cuban Adjustment Act del 1966, che riservava un trattamento “di favore” agli immigrati illegali che approdavano negli Stati Uniti e della “wet feet, dry feet policy” (varata dal governo di Bill Clinton a partire da metà anni Ottanta). Un articolo del Granma, in cui sono state raccolte alcune opinioni sulla nuova legge migratoria, ha messo in bella mostra il consueto “rally around the flag” della Rivoluzione: Cuba avrebbe potuto adottare siffatte misure ben prima, se non fosse stato per l’aggressività delle politiche statunitensi a sostegno degli esuli anticastristi .    

Seppure con le dovute cautele, il guanto della sfida agli Stati Uniti è stato lanciato. De iure, con la riforma testé varata, i cubani possono godere di maggiori possibilità di recarsi negli Stati Uniti piuttosto che il contrario . Il Dipartimento di Stato, attraverso un portavoce, ha inoltre dichiarato che nel breve periodo non vi saranno modifiche alle regole d’ingresso di cittadini cubani sul territorio statunitense: l’ingresso legale negli Stati Uniti potrà essere effettuato solamente previo rilascio di una visa o di un permesso valido . Tuttavia, la riforma migratoria cubana, che ufficialmente entrerà in vigore il 14 gennaio 2013, ha avuto il merito di rilanciare la Cuban issue all’interno dello scontro elettorale per la Casa Bianca, proprio mentre Romney sta facendo affidamento sulla comunità cubano-americana per recuperare il voto democratico dei latinos della Florida, uno Stato che viene dipinto da molti analisti come decisivo per l’elezione del futuro Presidente . 

La palla è ora nelle mani degli Stati Uniti che non sembrano intenzionati ad andare oltre i 20mila visti annui riservati ai cittadini cubani. Come ha riferito un operatore di voli charter verso Cuba al Miami Herald: «I visti d’ingresso sono la parte più complessa del problema» . Tale complessità affonda le proprie radici nell’atteggiamento spesso insofferente dell’establishment governativo statunitense nei confronti di ondate di migrazione in massa degli esuli cubani. Nel 1994 il Presidente Clinton, firmatario e sponsor politico di misure legislative tra le più anti-castriste di sempre, dovette scendere a patti con La Habana per fermare il flusso di immigrati illegali che raggiungevano Miami via mare . 

Un “nuovo Mariel” sarebbe dunque l’ipotesi meno appetibile per il governo degli Stati Uniti. Se alcuni elementi anti-castristi, come la senatrice cubano-americana Ileana Ros-Lehtinen, hanno bollato come mera propaganda l’apertura di Raúl Castro, alcuni analisti si sono mostrati oltremodo preoccupati per un “Mariel II”, ovvero una riproposizione dell’esodo degli “indesiderati” (tra cui molti malati di mente e criminali comuni) della primavera del 1980 . Questo perché la riforma varata dal governo cubano non permette l’espatrio a dissidenti e personale qualificato e quindi potrebbe essere usato da La Habana per “liberarsi” di persone non grate, anche se le restrizioni all’immigrazione negli Stati Uniti scongiurerebbe un’“invasione” di cubani. 

Alcuni dissidenti hanno contestato il provvedimento in quanto sarebbero in vigore alcune limitazioni de facto che si estenderebbero ben oltre l’art. 25 del decreto legge. In primis, i cubani necessiterebbero di un timbro ministeriale sul passaporto ai fini dell’espatrio: questo upgrade del passaporto, per molti, suona come una riposizione sotto mentite spoglie del precedente Permiso de Salida, negabile dall’amministra-zione pubblica cubana. A tal proposito, una delle figure più note dell’opposizione interna, la blogger e giornalista Yoani Sánchez, ha “twittato” la propria sfida personale al regime per l’ottenimento del nuovo passaporto . Una seconda misura che ha sollevato polemiche riguarda i costi, quasi duplicati, per l’ottenimento del nuovo passaporto, da 50 a 100 Cuc (110 dollari americani), in un Paese in cui il salario mensile medio si aggira attorno ai 20 dollari.  

Un altro aspetto, forse meno analizzato, di quello che Norberto Fuentes ha definito un “Mariel silenzioso” (in contrapposizione ai decreti di emergenza in pompa magna di Fidel degli anni Ottanta e Novanta)  è sicuramente il rapporto tra la Ley Migratoria e la delicata situazione economica del paese e la riduzione degli investimenti pubblici per istruzione e sanità. Negli ultimi anni la gestione della spesa pubblica di Raúl si è orientata per una razionalizzazione della spesa, che ha fatto diminuire significa-tivamente il numero degli studenti cubani (da 3 milioni nel 2008 a poco più di 2 nel 2011) , riducendo di 54 unità il numero degli ospedali presenti sul territorio nazionale. Non sarebbe quindi assurdo ritenere che la nuova politica migratoria sia un’utile valvola di sfogo per un’ulteriore razionalizzazione della spesa sociale, vero pilastro della legittimità interna e regionale del castrismo, soprattutto nei momenti più difficili della Rivoluzione.

 

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