Pubblicato su ISPI (https://www.ispionline.it)

Home > Incertezza e incoerenza all'origine della crisi cinese

Incertezza e incoerenza all'origine della crisi cinese

Lunedì, 31 Agosto, 2015 - 00:00

Sebbene i dati sull’andamento dell’economia cinese del primo semestre 2015 lascino ormai ben pochi dubbi sull’effettiva capacità del governo di traghettare il paese in modo indolore verso un nuovo modello di crescita (il cd New Normal al 7% annuo, annunciato alla fine del 2014), all’origine del crollo delle borse cinesi delle ultime settimane vi è l’incoerenza delle misure adottate per farvi fronte, e l’incertezza sul corso futuro della politica economica di Pechino. La crisi di borsa di queste ultime due settimane è dovuta, oltre al rientro fisiologico dai corsi gonfiati dell’ultimo anno (+150% a Shanghai), in gran parte all’incertezza sulle priorità e all’incoerenza di Pechino sulla determinazione a mantenere la stabilità economica e finanziaria nel corso della transizione.

Dall’inizio di luglio, infatti, le autorità cinesi hanno mostrato reazioni, da un lato incoerenti di fronte ai ripetuti crolli dei mercati, e dall’altro lato, incompatibili con la volontà dichiarata di adottare riforme di mercato. Col duplice obiettivo di liberalizzare progressivamente il mercato finanziario (il più chiuso e regolamentato del paese) e di creare canali d’investimento alternativi all’immobiliare, il governo a metà del 2014 aveva introdotto la possibilità di acquisti a leva, incentivando in tal modo gli investimenti in borsa di molti piccoli e grandi risparmiatori e imprese. Dopo una simile apertura al meccanismo di mercato, senza precedenti in Cina, ai primi di luglio ha vietato la vendita dei pacchetti azionari superiori al 5% per sei mesi, congelando miliardi di Rmb di ricchezza dei più grandi investitori cinesi: un ritorno in grande stile del vecchio dirigismo di stampo pechinese. Ancora, dopo il blocco delle contrattazioni e gli acquisti massicci di titoli (per circa $200 mld) nelle due settimane precedenti per sostenere i corsi, il 14 agosto il regolatore cinese aveva dichiarato che non sarebbe più intervenuto in tal modo, per poi stanziare di nuovo, il 27 agosto, $220 mld per l’azione della China Finance Security Corporation. 

La grande volatilità e le brusche virate degli ultimi giorni sono così il segnale di un calo della fiducia dei mercati nella dirigenza cinese piuttosto che nella sua economia, che cresce pur sempre del 6% all’anno (poco per la media cinese, ma molto più di ogni altra economia avanzata ed emergente) e resta comunque il mercato più dinamico del mondo, uno dei principali per molti settori e per gran parte delle multinazionali. A tutt’oggi la Cina è un paese molto stabile rispetto ad altri, soprattutto ad altri paesi emergenti, perché il governo tende a tenere le redini molto strette per evitare bruschi scossoni, ma gli eventi di quest’estate l’hanno reso pericolosamente simile ad alcuni grandi paesi emergenti. Gli investitori hanno capito che forse Pechino vuole sperimentare, più che introdurre completamente, i meccanismi di mercato, a scapito dei rendimenti degli investitori che quindi hanno cominciato a vendere. 

Forse in parte incaute e inesperte, di certo impreparate, le autorità di Pechino in questi mesi sono di fronte a una contraddizione di fondo tra gli obiettivi economici di breve (mantenere uno stretto controllo del governo sulla crisi di borsa per garantire la stabilità finanziaria) e di medio periodo (introdurre progressivamente le riforme di mercato). Le autorità cinesi oggi si trovano a dover affrontare troppi problemi nello stesso tempo: dovrebbero aumentare la liquidità, ma questo spingerebbe ulteriormente la svalutazione che invece non vogliono per molti motivi: aumenterebbe ulteriormente la fuga dalle borse e renderebbe ancor più costose le importazioni degli input su cui si reggono molte delle filiere produttive nelle quali le imprese cinesi e a capitale misto svolgono le fasi a valle della catena del valore. 

Ora la cosa più utile per capire come potrebbero andare i mercati nei prossimi giorni sarebbe poter aver a disposizione i dati giusti. La variabile più interessante è il consumo al dettaglio, ma le vendite al dettaglio non sono un indicatore affidabile, per almeno tre motivi: non includono gli acquisti di servizi, che rappresentano ormai il 40% della spesa dei consumatori urbani (e buona parte anche della spesa delle famiglie rurali), e plausibilmente neppure le vendite online (in rapido aumento in Cina), ma allo stesso tempo includono alcuni degli acquisti pubblici. Il prossimo scossone potrebbe essere già il prossimo 1 settembre, all’uscita dei dati sul consumo di servizi. E così una grande incertezza perdura sul corso dell’economia cinese, ed è di gran lunga peggiore della seppur amara certezza del New Normal.

Alessia Amighini,  Università del Piemonte Orientale e ISPI
* La versione estesa di questo articolo è stata pubblicata su Il fatto quotidiano https://www.ispionline.it/sites/default/files/DOC/30agosto.alessia.pdf
Autore: 

Alessia Amighini

Alessia Amighini
Senior Associate Research Fellow

URL Sorgente (modified on 24/06/2021 - 20:41): https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/incertezza-e-incoerenza-allorigine-della-crisi-cinese-13794