Intelligenza artificiale modello UE

L’intelligenza artificiale (IA) è l’abilità di una macchina di mostrare capacità umane quali il ragionamento, l’apprendimento o la creatività, che le permettono di capire il proprio ambiente, adattare il proprio comportamento agli effetti delle azioni precedenti e quindi di lavorare in autonomia.
Per quanto si senta spesso parlare di IA come di una innovazione epocale che rivoluzionerà il nostro rapporto con la tecnologia negli anni a venire, in realtà alcuni tipi di intelligenza artificiale esistono da più di 50 anni. Ciò che è veramente cambiato rispetto al passato è la quantità di dati disponibili utile ad alimentare gli algoritmi dell’intelligenza artificiale per raffinarne i processi. Il volume di dati prodotti nel mondo crescerà infatti del 400% nei prossimi 5 anni, fino a raggiungere 175 zettabyte nel 2025 (1 zettabyte equivale a 1 trilione di gigabyte). Tale disponibilità di dati permetterà future applicazioni al momento persino difficilmente immaginabili; tuttavia, non bisogna sottostimare quanto l’intelligenza artificiale sia già presente nelle nostre vite. Ad esempio, quando utilizziamo software di traduzione automatica, motori di ricerca o assistenti digitali personali. Mentre considerando il settore privato, soluzioni di IA sono ormai utilizzate dal 14% delle imprese, in crescita rispetto al 4% del 2018, specialmente nel settore della logistica e della manifattura.
Non deve quindi sorprendere come la regolamentazione della IA e il suo sviluppo siano al centro dell’agenda dell’UE, come dimostrato dalla recente proposta di regolamento sull'approccio europeo all'Intelligenza Artificiale. Quanto a tali strategie corrispondono e corrisponderanno azioni e fondi concreti? E come si colloca l’Italia in questo contesto?
I rischi e i benefici della IA
L'uso dell'intelligenza artificiale, ottimizzando le operazioni e l'allocazione delle risorse, secondo le stime del Parlamento Europeo porterà a una forbice di aumento della produttività del lavoro entro il 2035 compresa tra l’11 e il 37%. Dalla manutenzione predittiva ai robot collaborativi, dai gemelli digitali alla realtà aumentata, le applicazioni di IA promettono di rendere i percorsi di vendita e di servizio al cliente più fluidi e ottimizzati, di migliorare la manutenzione dei macchinari ed estendere i processi produttivi in quantità e qualità. La nuova generazione di prodotti e servizi legati alla IA potrebbe generare una riduzione tra l’1,5% e il 4% delle emissioni globali di gas serra entro il 2030. Basti pensare al potenziale nel campo della filiera agricola, dove l’IA può minimizzare l’uso di fertilizzanti, pesticidi e irrigazione, aiutando la produttività e riducendo l’impatto ambientale. Non a caso, il valore di mercato globale dell'agricoltura di precisione abilitata dall'IA è stimato in crescita dai 6 miliardi di euro attuali agli 11,8 miliardi di euro del 2025.
Tuttavia, gli stessi elementi e tecniche che alimentano i benefici socioeconomici dell'IA possono anche comportare conseguenze negative per gli individui o la società. In particolare per il mercato del lavoro futuro, con l’IA che potrebbe portare alla scomparsa del 14% dei posti di lavoro nei Paesi dell’OCSE. E per quanto riguarda la privacy, messa a rischio da un uso non regolato del riconoscimento facciale negli spazi pubblici. Inoltre, in base alla progettazione e al tipo di dati immessi, i sistemi di IA potrebbero riproporre le discriminazioni esistenti nel mondo offline, prendendo decisioni influenzate dall’etnia o dal genere.
Già oggi, l’IA ha le sue responsabilità per la polarizzazione del dibattito pubblico. Si devono a questa tecnologia le cosiddette “bolle” in rete, dove l’utente entra in contatto solo con contenuti simili a quelli con cui ha interagito in passato, ostacolando così la creazione di un ambiente aperto per un dibattito a più voci. Sempre tramite l’AI sono poi creati i cosiddetti “deepfake”: immagini, video e audio falsi ma estremamente realistici, il cui utilizzo, raddoppiato nel giro di poco più di un anno, può favorire truffe o ricatti. Nonostante questi numerosi rischi, manca ancora una qualsiasi regolamentazione della responsabilità civile legata all’uso di queste tecnologie.
Un ruolo pionieristico per l’Unione Europea?
Di fronte al rapido sviluppo delle soluzioni basate sull'Intelligenza Artificiale - +400% nel numero di domande di brevetto pubblicate nell’ultimo decennio - l'UE ha deciso di regolare questa tecnologia prima che sia troppo tardi, in maniera simile a quanto fatto con il regolamento GDPR per la protezione dei dati personali. Lo scorso aprile, nell’ambito della Strategia europea per l'Intelligenza Artificiale, la Commissione europea ha quindi presentato la proposta di regolamento sull'approccio europeo all'Intelligenza Artificiale: il primo quadro giuridico europeo e mondiale sull’IA.
L’obiettivo è duplice. Da una parte, l’UE vuole assicurarsi che i cittadini europei possano beneficiare di sistemi di IA sicuri, trasparenti, etici, imparziali e sotto il controllo umano, in poche parole coerenti con i valori europei. Nel dettaglio, il regolamento pone quindi specifici requisiti per tutti i sistemi di IA europei o stranieri utilizzati nel territorio comunitario, considerati “ad alto rischio”. Rientrano per esempio in questa categoria le applicazioni di intelligenza artificiale, ampiamente utilizzate in Cina, nei quali gli algoritmi tracciano i comportamenti per valutare automaticamente quale livello di affidabilità creditizia accordare a persone e aziende.
Parallelamente l’UE ha inteso rafforzare la propria posizione competitiva rispetto ai concorrenti Cina e Stati Uniti, anticipandoli nella definizione di un quadro normativo che possa così diventare lo standard di riferimento sulla scena globale. Una dimensione geopolitica ribadita dalla revisione del piano coordinato sull'IA annessa alla proposta di regolamento. Tale piano propone da oggi al 2027 circa 70 azioni per una cooperazione più stretta ed efficiente tra gli Stati membri e la Commissione in tema di IA. La costituzione di centri di eccellenza per l’IA, di una banca dati centrale europea di risorse di IA e la nascita di un partenariato pubblico-privato sull'intelligenza artificiale, i dati e la robotica, sono alcune delle azioni proposte. I fondi sono quelli dei programmi Digital Europe e Horizon Europe, con cui la Commissione intende investire un miliardo di euro all'anno nell'IA e mobilitare ulteriori investimenti dal settore privato e dagli Stati membri tramite il loro Piani di Ripresa e Resilienza per un totale di 20 miliardi l’anno.
Il ritardo italiano
Nonostante l’importanza dell’intelligenza artificiale, l'Italia è uno dei sette Paesi europei - con Grecia, Romania, Irlanda, Austria, Belgio, Croazia - che ancora non hanno definito una strategia nazionale specifica per questa tecnologia. Nonostante la promessa deadline di giugno 2021 sia passata, a distanza di tre anni dall'avvio dei lavori, la strategia definitiva non risulta ancora pubblicata. Nel PNRR italiano l'intelligenza artificiale non viene poi citata che poche volte, più che altro in relazione alla digitalizzazione della PA piuttosto che come tecnologia abilitante. Al di là del potenziamento in ambito della ricerca e dell’istituzione del Centro Nazionale per l’Intelligenza Artificiale per uno stanziamento da 40 milioni di euro per il 2021, il Piano del Governo non dettaglia mai precisi progetti in cui si punti sull’IA.
Il gap di investimento con gli altri Paesi è al momento ampio. Rispetto ai 600 milioni di euro stanziati per il 2020 dalla Germania per l’introduzione dell’intelligenza artificiale nei processi di produzione, l’Italia si è fermata a 70 milioni. Mentre, considerando i fondi investiti nell’iniziativa europea Gaia X, il governo tedesco sta investendo attraverso bandi e finanziamenti per oltre 150 milioni di euro contro i 13 milioni di investimenti italiani per tutto il comparto IA e blockchain.
L’Unione Europea ha dettato la linea: l’intelligenza artificiale deve essere strumento per il raggiungimento del benessere dell’individuo e della società nel suo insieme. Ovvero regolamentazione e forti investimenti. Sta ora all’Italia cogliere questa opportunità offerta da Bruxelles per colmare i propri ritardi e rendere questa tecnologia una delle chiavi per la ripartenza post-pandemica.