Iraq: la piazza ora chiede un cambio rivoluzionario

Dall’inizio di ottobre migliaia di persone sono scese nelle piazze di Baghdad e di altre città nel sud dell’Iraq per protestare contro un governo che, come i suoi predecessori, si è dimostrato incapace di riformare il corrotto ed inefficiente sistema politico iracheno. Dopo la prima spontanea ondata di proteste (1-9 ottobre), gli iracheni sono nuovamente scesi in piazza il 25 ottobre, questa volta con l’adesione e un più ampio supporto della società civile e continuano a sfidare l’establishment, nonostante la dura repressione. Non è la prima volta che gli iracheni si mobilitano, ma l’ondata di proteste iniziata ad ottobre è diverse dalle precedenti per dimensione, forza e carattere.
Il primo episodio di mobilitazione sociale nell’Iraq post-2003 si registra nel 2011 quando migliaia di persone protestarono contro il governo dell’allora primo ministro Nuri al-Maliki, chiedendo migliori servizi, educazione e posti di lavoro. Concentrate soprattutto nelle piazze di Suleimaniya – regione curda irachena – e Baghdad, le proteste del 2011 riflettevano le aspettative sollevate dalla Primavera araba, ma non erano ancora sufficientemente mature per trasformarsi in un movimento strutturato e coordinato.
Quando nel dicembre 2012 le guardie del corpo del Ministro delle Finanze Rafi al-ʿIssawi furono arrestate con l’accusa di terrorismo, nuove proteste scoppiarono nelle province a maggioranza sunnita del paese, al-Anbar, Nineve e Salahaddin. Reagendo all’ennesimo tentativo di colpire la popolazione sunnita, i manifestanti chiesero una revisione delle misure di sicurezza, come ad esempio la legge sul terrorismo o la detenzione dei prigionieri politici nonché la lotta alla corruzione. La violenta repressione di questo movimento nel dicembre del 2013 creò un terreno fertile per il successivo affermarsi dello Stato Islamico.
Nell’estate del 2015 nuove proteste scoppiarono a Basra, nel sud del paese, e da qua raggiunsero Baghdad dove continuarono fino alla primavera del 2016. Riflettendo le dinamiche della Primavera araba, giovani attivisti ed intellettuali iracheni diedero vita al movimento di protesta, mentre l’adesione di Muqtada al-Sadr, con i suoi numerosi seguaci, portò le proteste ad avere una dimensione di massa. Dalla convergenza del movimento civile e quello Sadrista, nacque questa volta un’alleanza politica (Saʿirun) che si presentò alle elezioni del maggio 2018 chiedendo la fine del sistema di distribuzione delle cariche politiche su base settaria (muhasasa ta’ifa), la lotta alla corruzione e migliori servizi per la popolazione.
Il movimento del 2015-16 rimase circoscritto a Baghdad e alle province del sud. Nella regione curda irachena, le proteste riguardarono soprattutto gli insegnanti e, in generale, il servizio pubblico, mobilitati per chiedere il pagamento degli stipendi sospesi o decurtati per far fronte alla dura crisi economica. Solo nel dicembre del 2017, in seguito al fallimento del referendum per l’indipendenza curda, la popolazione scese in piazza chiedendo di riformare la gestione della politica nella regione. Nell’estate del 2018, è invece nuovamente Basra il teatro di altre proteste: le richieste dei manifestanti ancora una volta non recepite dalla classe politica portarono a svariati attacchi alle sedi del governo provinciale, ma anche dei principali partiti politici, e persino al consolato iraniano.
Continuità e cambiamento
Sono i giovani i protagonisti delle proteste dell’ottobre 2019. Lo sono stati anche nel movimento del 2011, del 2015-16, e dell’estate del 2018. In un paese dove il 67% della popolazione ha meno di 30 anni, i giovani rappresentano una forza sociale. La descrizione del movimento di protesta iracheno come spontaneo non rende però giustizia al ruolo di una sempre più attiva società civile, organizzata localmente in comitati di coordinamento che attraverso i social network riescono a coinvolgere il più largo pubblico. È vero invece che il movimento rimane senza una chiara leadership, ad esclusione del ruolo della coalizione Saʿirun tra il 2015 e il 2016.
Il fattore scatenante delle proteste di quest’ottobre è stata la decisione del primo ministro Adil Abdul-Mahdi di estromettere il Generale Abdul-Wahab al-Saadi dalla sua posizione nel servizio anti-terrorismo (Counter-Terrorism Service), diventato un’icona popolare per integrità e competenza durante l’offensiva contro lo Stato Islamico. Questa è però solo la miccia di un più ampio movimento che non solo denuncia le difficili condizioni socio-economiche nel paese, ma esprime un più profondo sentimento di ingiustizia dovuto ad una crescente polarizzazione nella distribuzione della ricchezza e frustrazione nei confronti dell’establishment politico.
Nel suo recente, ma articolato sviluppo, il movimento di protesta iracheno si è scagliato contro tre governi: quello di Nuri al-Maliki, per la sua aperta politica settaria, quello di Haider al-Abadi, incapace di promuovere un ampio programma di riforma così come promesso nell’inaugurazione del suo mandato, e quello presieduto dal presente primo ministro, Adil Abdul-Mahdi. Quest’ultimo presiede un governo di tecnici, tuttavia si è dimostrato incapace di realizzare quelle riforme tanto invocate nelle piazze. Tra la popolazione irachena prevale quindi l’idea che un vero cambiamento non possa avvenire attraverso la politica formale, ma nelle strade.
Il governo ha risposto alle proteste con pugno di ferro. Le forze di sicurezza, ma anche alcune formazioni delle Hashd-al-Shaabi – le milizie create per rispondere all’avanzata dello Stato Islamico nel 2014 – hanno fatto uso della forza per reprimere le proteste, con attacchi ai media, arresti, l’imposizione del coprifuoco, il blocco di internet ed è stata segnalata persino la presenza di cecchini. A causa degli scontri, si sono registrate almeno 250 vittime. Tale repressione è stata condannata anche dalle più alte cariche religiose del paese. Non è la prima volta che queste si schierano a favore dei manifestanti chiedendo alla politica ampie riforme.
Il movimento di protesta che sta scuotendo l’Iraq in questi giorni è unito nella richiesta di porre fine alle divisioni nel paese. Nonostante non si sia diffuso nelle aree a maggioranza sunnita e nella regione curda, il movimento avanza istanze unitarie, così come si era già registrato con il movimento del 2015-16. Se fino ad ora le proteste avevano avuto un carattere riformista, il movimento di ottobre sta invece imboccando una via rivoluzionaria. Non sarà facile per la classe politica irachena rispondere a queste domande senza minare i privilegi su cui si è basata dal 2003.