Biden in Europa: 5 cose che abbiamo imparato

Dopo una settimana di vertici, incontri e faccia a faccia, si conclude oggi il primo viaggio di Joe Biden in Europa. Ma cosa resta della sua visita e cosa cambia da domani, nelle relazioni (europee e non) con Washington?
Vertice del G7, summit Nato e con le istituzioni europee, e poi ancora bilaterali con Vladimir Putin e Recep Tayyip Erdogan e incontri a margine con sovrani, premier e leader dei paesi partner: l’agenda della settimana di Biden in Europa – il primo viaggio all’estero del presidente americano dall’insediamento – è stata frenetica e carica di appuntamenti di primissimo piano. L’ultimo – quello con Vladimir Putin a Ginevra – ha sancito poche ore fa la riapertura di una canale diplomatico e forse - chissà - un disgelo nelle relazioni tra i due avversari della Guerra Fredda.
D’altronde, per gli Stati Uniti, gli obiettivi della lunga maratona europea erano chiari fin dall’inizio: dimostrare (agli alleati e non) che l’America è tornata sulla scena internazionale e risanare la ferita lasciata dall’ex presidente Donald Trump; convincere i paesi partner ad unirsi in un’alleanza di democrazie capace di contrastare le aspirazioni egemoniche cinesi e le molteplici sfide russe; controbilanciare una narrativa – spesso propagandata da Pechino – secondo cui l’Occidente è preda di un inarrestabile declino; tracciare nuove regole e paradigmi dentro cui si articolerà il mondo globalizzato di domani. Ma cosa resta, veramente, al termine di una visita carica di aspettative, tra le due sponde dell’Atlantico? E cosa cambia nelle relazioni tra il Washington e Bruxelles? Di seguito 5 cose che abbiamo imparato:
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1.L’Europa e l’amico ritrovato
Dopo quattro anni di provocazioni e gelo, Stati Uniti ed Europa tornano ad avvicinarsi. Era uno degli obiettivi di questa visita, non a caso la prima del presidente americano all’estero, convincere agli alleati di vecchia data che l’isolazionismo Trumpiano è storia passata e che l’Europa e i rapporti transatlantici sono ancora un cardine della politica estera USA, seppur in ottica globale e non eurocentrica. In questa prospettiva non è difficile capire perché, come scrive Politico, “il vertice Usa-Ue è stato a dir poco una festa, in cui l’unico disaccordo era su chi fosse il più felice, se Biden o gli europei, che Donald Trump non fosse più presidente degli Stati Uniti”. E che il cambio sia tangibile lo dimostra l’accordo sulla sospensione per cinque anni dei dazi imposti in seguito alla vertenza sugli aiuti di stato a Boeing e Airbus, e che contiene anche una clausola per limitare l’influenza della Cina sull’aviazione civile. Una svolta storica per una contesa che dura dal 2004 e che ha coinvolto quattro diversi presidenti americani, ma anche un segnale chiaro: con le sfide che attendono gli Stati Uniti nel mondo che emergerà dopo la pandemia, non è certo il momento di litigare con gli amici. E nonostante le cautele e i toni più concilianti di Bruxelles, la versione finale di Biden - che sancisce il lancio dello EU-US Trade and Technology Council (TTC) - esprime chiaramente la volontà di “contrastare le pratiche non di mercato cinesi che danno alle aziende cinesi un vantaggio sleale”.
2.Un’ossessione chiamata Cina
In tutti i vertici e incontri a cui Biden ha partecipato, si è parlato inevitabilmente della Cina. “Elefante nella stanza” o “convitato di pietra”, come è stato definito a turno dalla stampa internazionale, il governo di Pechino ha percepito, nel viaggio del presidente Usa, il chiaro tentativo di metterlo all’angolo. Se la fine della disputa Boeing-Airbus contiene clausole in funzione anti-cinese, per la prima volta la Nato ha definito Pechino una “minaccia per la sicurezza” e malgrado le reticenze degli europei, buona parte del comunicato finale del G7 ruota attorno a Pechino: c’è la richiesta di una nuova inchiesta internazionale indipendente sulle origini del coronavirus; la richiesta esplicita di “rispettare i diritti umani e le libertà fondamentali” nello Xinjiang e a Hong Kong; l'impegno a coordinarsi contro “pratiche scorrette che minano il funzionamento equo e trasparente dell'economia globale”. E poi i riferimenti a Taiwan e alle dispute sulle isole nel mar cinese orientale e meridionale. Troppi segnali lo indicano chiaramente: l’Europa – pur temendo di rimanere ‘schiacciata’ in una nuova guerra fredda tra superpotenze – si sta riallineando a Washington con cui già pensa a un'alternativa democratica alla Belt and Road Initiative (BRI).
3.Vaccini e clima: tra il dire e il fare…
Un “piano per vaccinare il mondo”, “proteggere il pianeta con una rivoluzione verde”: forse le aspettative sui temi ‘globali’ erano molto, troppo alte, fatto sta che la montagna sembra aver partorito un topolino o poco più. I grandi del G7 riuniti in Cornovaglia si sono impegnati a fornire un miliardo di dosi di vaccini nel prossimo anno. Ma a leggere tra le righe del comunicato finale del vertice si scopre che, escludendo le donazioni di dosi annunciate prima del G7, il miliardo si riduce a soli 613 milioni di dosi (a cui si aggiungono i contributi finanziari destinati a Covax) mentre non viene fatta menzione dei brevetti e del cosiddetto “waiver”, proposto da Sudafrica e India per aiutare i paesi a medio e basso reddito, che aveva trovato il sostegno degli Stati Uniti. Al contrario, sottolinea “l'importanza della proprietà intellettuale” e di lavorare “all'interno dell'accordo TRIPS”, promuovendo le licenze volontarie e il trasferimento di tecnologia per aumentare le forniture globali.
Anche sul clima la distanza tra parole e azioni è manifesta: il G7 ha rinnovato l'impegno (annunciato nel 2009 per il 2020 e non mantenuto) di fornire 100 miliardi di dollari all'anno fino al 2025 per aiutare i Paesi in via di sviluppo nella transizione ecologica. Un impegno condito di promesse e pochissimi dettagli, come “dimezzare le emissioni di gas serra entro il 2030”, ma senza spiegare come intendono farlo in assenza di un accordo su una tempistica per eliminare l’uso del carbone come fonte di energia.
4.Nato: guardare al futuro
Quattro anni di presidenza Trump sono pesati come un macigno sull’Alleanza atlantica, baricentro delle relazioni transatlantiche. “Cerebralmente morta” se non “obsoleta” erano stati alcuni degli aggettivi con cui era stata definita al di qua e di là dell’Oceano. Biden è venuto per ricucire la ferita degli ultimi quattro anni – in linea di continuità con il G7 in Cornovaglia e il summit Ue-Usa - ma con lo sguardo rivolto al presente e al futuro più che al passato. L’Atlantico non è il solo né il più importante degli oceani su cui gli Stati Uniti affacciano. Ma ciò che più conta – in questa fase – è che rimanga compatto: per gli Stati Uniti, “l’impegno previsto dall’articolo 5 è sacro” ha detto Biden, chiarendo che gli Usa non intendono arretrare di un millimetro negli impegni presi con i 30 paesi dell’Alleanza. A margine del vertice, poi, il presidente ha incontrato il suo omologo turco Erdogan, ‘spina nel fianco’ dell’Alleanza – per i suoi rapporti burrascosi con l’Europa – ma partner cruciale per gli equilibri mediterranei. Un incontro “cordiale e costruttivo”, lo ha definito Biden, deciso ad ancorare il presidente turco – alle prese con uno dei momenti più complessi della sua ventennale presidenza – all’alleanza atlantica, soprattutto in prospettiva di una “politica sudorientale” della NATO, come previsto nel Piano 2030.
5.Russia: breccia diplomatica
“Sempre meglio incontrarsi faccia a faccia”, “Spero in un incontro produttivo”: stretta di mano e frasi di circostanza hanno segnato l’inizio del lungo bilaterale (5 ore) tra Joe Biden e Vladimir Putin e rispettive delegazioni nella biblioteca di Villa La Grange a Ginevra. Eppure l’ultima tappa del viaggio del presidente americano in Europa aveva quasi rischiato di ‘deragliare’ su un tweet in cui il presidente ucraino Volodymir Zelensky annunciava con orgoglio: “i paesi Nato hanno confermato che entreremo nel patto atlantico”. Quanto basta per seminare il panico tra le delegazioni e i giornalisti, alcuni dei quali hanno ipotizzato che Putin stesse per cancellare il meeting. Tutto rientrato nel giro di pochi minuti, ma gli attimi di sgomento testimoniano il clima di tensione che aleggiava sull’incontro, il primo dell’era Biden e in un momento che segna il minimo storico nelle relazioni tra Washington e Mosca. Tanti i temi sul tavolo: dai diritti umani e il caso Navalny, alla cybersicurezza e il controllo degli armamenti. Ma anche Bielorussia, Ucraina e Nagorno Karabakh. Tutti potenzialmente esplosivi. E invece: “L’incontro è stato costruttivo”, hanno detto entrambi in due conferenze stampa separate, come previsto. Usa e Russia hanno concordato di iniziare consultazioni sulla cybersicurezza, di riprendere i colloqui sul controllo degli armamenti e soprattutto hanno trovato l’accordo per il ritorno dei rispettivi ambasciatori a Mosca e Washington. Un bilancio positivo per entrambi: Putin porta a casa un rinnovato spessore internazionale e Biden può sperare nell’avvio di relazioni più stabili e prevedibili con gli avversari di lunga data. Se non una vera e propria svolta, è l’apertura allo spiraglio di una “convivenza” pragmatica, fondata su una valutazione chiara delle reciproche linee rosse.
IL MOMENTO DELL'ITALIA
Sorrisi e strette di mano non sono mancati per nessuno, certo, ma è con l’Italia e il suo premier Mario Draghi che il nuovo inquilino della Casa Bianca punta per avere un dialogo più costruttivo con l’Unione Europea. In mezz’ora di colloquio sabato sera a Carbis Bay Biden e Draghi hanno toccato alcuni dei principali temi di attualità internazionale a cominciare dalle sfide comuni che vedono impegnata l’Italia come presidente di turno del G20. Come il tema della salute, con Draghi che ha sottolineato la necessità di riformare il ruolo dell’OMS per prepararsi fin d'ora per la prossima eventuale pandemia. O il dossier sulla stabilizzazione della Libia, rispetto al quale Biden ha espresso parole di apprezzamento per il ruolo giocato dall’Italia. Se la posizione atlantista ‘senza se e senza ma’ del premier italiano è cosa nota, il bilaterale è servito a rafforzare le basi di un’alleanza già solida. Di Cina Draghi e Biden non parlano nel loro colloquio privato, specificano fonti del governo. Del resto, il tema è stato ampiamente trattato in Cornovaglia dove Macron, Merkel e lo stesso Draghi hanno costretto il presidente americano a un bagno di realismo sulla volontà di Washington di allontanare Pechino da tutti i tavoli internazionali: pur volendo – obiettano gli europei, mai tanto uniti su qualcosa, è un obiettivo impossibile, considerata l’invadente penetrazione cinese in tutte le economie del mondo. Un approccio variabile, articolato a seconda dei temi sul tavolo è quello che pragmaticamente propongono i leader del vecchio continente. Biden avrà ascoltato? Si vedrà. Al di là di tutto con l’Italia “c’è la volontà di rafforzare le già profonde relazioni bilaterali” conferma una nota della Casa Bianca. Un momento positivo dunque, ma anche per il futuro il premier è rassicurante “Il quadro politico italiano cambia spesso”, ha spiegato “ma certe cose come la nostra profonda alleanza con gli Usa non cambiano mai”.
Il commento
di Paolo Magri, Vice Presidente Esecutivo ISPI
“Fine del tour europeo di Biden con ‘gran finale’ del vertice con Putin. Se l’obiettivo era mostrare plasticamente che “L’America è tornata”, che l’aria è cambiata nelle relazioni con l’Europa e con la Nato… la missione è compiuta. Pacche sulle spalle, dialoghi informali sotto il tenue sole della Cornovaglia: parole (e immagini) giuste, al momento giusto, nei luoghi giusti. Certo, è un vincere facile dopo i quattro anni burrascosi con Trump: come è facile mostrare accordo su principi o progetti che in altre sedi vanno perfezionati o possono arenarsi (dal clima, alla tassazione minima, ai vaccini per tutti). Il lavoro di ricucitura fra gli alleati di sempre è appena iniziato e non sappiamo se reggerà a sfide più pesanti (Cina in primis) e impegni comuni più vincolanti. Ma l’aria è cambiata e, sotto il sole della Cornovaglia, abbandoniamoci anche noi per un momento all’illusione che, assieme all’America, sia tornato anche un mondo in cui il G7, “l’Occidente” ha in mano i destini del mondo…”.
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A cura della redazione di ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca, ISPI Advisor for Online Publications)