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Israele tra scontri e crisi politica: dove nasce la tensione

Giovedì, 28 aprile, 2022 - 15:30
Il conflitto israelo-palestinese

Il mese di Ramadan si riconferma un momento cruciale per la sicurezza e la politica israeliana, quest’anno in special modo vista la sua coincidenza con la Pasqua ebraica. I primi episodi di violenza sono cominciati il 22 marzo con l’attacco terroristico di Be'er Sheva, il primo di una serie di altri tre attentati avvenuti a Hadera, Bnei Brak e Tel Aviv che hanno causato 14 vittime in due settimane. In risposta, l’esercito (IDF) e il servizio di sicurezza israeliano (Shin Bet) hanno concentrato la loro pressione in particolare nella Cisgiordania settentrionale, da cui provenivano tre degli assalitori (gli altri due invece, identificati come cittadini arabo-israeliani). Questa situazione ha contribuito molto velocemente ad un innalzamento della tensione nei Territori dove, nell’ultimo mese, si sono verificati circa sessanta episodi di rappresaglie tra palestinesi e coloni.

Su questo sfondo, si sono inserite le provocazioni di gruppi estremisti religiosi ebraici riguardo al Monte del Tempio: durante la settimana di Pesach, il movimento Hozrim Lahar aveva infatti incoraggiato a recarsi presso il luogo sacro e a compiere il sacrificio pasquale. L’iniziativa ha suscitato forti reazioni nella comunità arabo-musulmana, in quanto considerata un tentativo di violazione dello status quo vigente e di appropriazione del sito da parte delle frange nazional-religiose.  

Inoltre, la sera del 14 aprile autobus con giovani arabi israeliani provenienti dal nord del Paese sono arrivati a Gerusalemme per recarsi a pregare alla moschea di Al-Aqsa, come avviene solitamente nel periodo di Ramadan, ma questa volta l’intenzione era di anticipare la tradizionale veglia notturna presso l’Haram al-Sharif (che di solito ha luogo nelle ultime 10 notti di Ramadan). Il mattino successivo, alla preghiera delle quattro, erano presenti migliaia di persone e un consistente gruppo di rivoltosi ha iniziato il lancio di pietre verso la Porta Mughrabi, barricandosi successivamente all’interno della moschea, dove ha poi fatto irruzione la polizia israeliana all’interno di Al-Aqsa. A seguito di questo episodi, sul piano regionale il governo di Naftali Bennett ha dovuto misurarsi con le aspre critiche provenienti dalla Giordania e dagli Emirati Arabi Uniti, che hanno momentaneamente destabilizzato i progressi diplomatici fatti nell’ultimo anno nelle relazioni con alcuni paesi del mondo arabo. 

Di fronte a questo precario equilibrio, il primo ministro ha adottato una linea di azione dura ma che al contempo contenesse l’escalation delle violenze. In quest’ottica, dopo i primi scontri, sono state prese due decisioni importanti: la non chiusura dei Territori, continuando a permettere anche ai fedeli provenienti dai Territori palestinesi di recarsi ad Al-Aqsa e il divieto per turisti e pellegrini ebrei di accedere al Monte del Tempio fino alla fine del Ramadan. Contemporaneamente, non sono venuti a mancare gli attacchi da parte dell’opposizione (sia da parte dei partiti di destra, sia dei partiti arabi), che hanno colto l’occasione per indebolire la coalizione, già provata dalle recenti dimissioni della parlamentare di Yamina, Idit Silman.

Lo scossone che ha fatto tremare il fronte di governo è giunto però da uno dei suoi componenti: il 17 aprile, come conseguenza degli scontri, il partito islamista Ra'am (Lista Araba Unita) ha comunicato di voler congelare il suo status di membro della coalizione. Ma cosa significa in realtà? Il partito non ha lasciato il governo (per ora) ma ha sospeso la sua partecipazione alle attività della Knesset, come le votazioni in plenum o nei comitati. In aggiunta al congelamento, il leader Mansour Abbas ha presentato al primo ministro un elenco di richieste, dicendo che se saranno soddisfatte Ra'am interromperà l’astensione. Queste richieste includono l'impegno a mantenere lo status quo nel complesso della moschea di Al-Aqsa, insieme all’avanzamento di politiche importanti per la comunità arabo-israeliana, fino ad ora rallentate dal ministro dell'Interno Ayelet Shaked.

La sospensione delle attività di Ra'am sembrerebbe però essere stata messa in atto in coordinamento con il ministro degli esteri Yair Lapid e con il primo ministro Naftali Bennett, giungendo a un compromesso che consentirebbe ad Abbas di prendersi cura degli interessi del suo partito senza compromettere il governo. Il margine per questa manovra è stato fornito dal fatto che la Knesset sia nel pieno della pausa pasquale, che durerà fino all’8 maggio, concedendo così tempo prezioso a Bennett per stabilizzare la coalizione, al momento vulnerabile alle decisioni di Ra'am e dei membri di Yamina.

Gli scontri sul Haram Al-Sharif sono nuovamente ripresi giovedì e venerdì mattina, dopo che centinaia di visitatori ebrei hanno raggiunto il sito; il 21 aprile infatti è stato l'ultimo giorno in cui i fedeli di religione ebraica potevano salire sul Monte del Tempio fino alla fine del mese di Ramadan. Inoltre, ad esacerbare la tensione ha contribuito la manifestazione organizzata dal parlamentare Ben Gvir insieme ad altri movimenti di destra nazional-religiosa. Centinaia di attivisti hanno apertamente sfidato gli ordini del governo e della polizia, dirigendosi verso il quartiere musulmano della Città Vecchia.

Il complesso della Spianata delle Moschee/Monte del Tempio è l'epicentro emotivo del conflitto israelo-palestinese e le tensioni possono facilmente trasformarsi in scontri più ampi, all’interno di Israele e con Gaza, come successo a maggio del 2021. Anche questa volta, Hamas e Jihad Islamico hanno definito la violazione del luogo sacro come la linea rossa che, se valicata, porterebbe a un nuovo conflitto. Retorica a parte, quest’anno la situazione si presenterebbe diversamente: Hamas, incentivata dall'allentamento delle restrizioni israeliane ed egiziane su Gaza, non solo si è fino ad ora trattenuta ma ha impedito a organizzazioni più piccole di riprendere attacchi contro Israele. Nel pieno del lento e graduale rilassamento del blocco israelo-egiziano durato 15 anni, una guerra non sarebbe utile politicamente. Ad ora, anche il razzo lanciato dalla striscia nella sera del 18 aprile sembrerebbe non aver intaccato la calma apparente lungo il confine.

I pochi giorni che separano dalla fine del Ramadan saranno un periodo delicato e non privo di tensioni, che potrebbe facilmente portare a uno scompenso del fragile equilibrio con le comunità arabe e palestinesi, sia all’interno che ai confini di Israele. Nell’ultimo decennio, la strategia israeliana si è basata sull'affrontare separatamente le questioni del West Bank, di Gaza e dei suoi cittadini arabi. Tuttavia, gli eventi del maggio dello scorso anno hanno sconvolto questo assetto, unendo le tre diverse realtà e confermando la loro interdipendenza. A ribadire questo dato di fatto è l’elemento di novità della composizione dell’attuale governo che, formatosi per l’appunto nel maggio 2021, comprende anche un partito arabo-israeliano. La presenza all’interno della coalizione di fazioni politiche diametralmente opposte aggiunge un ulteriore carico di responsabilità su questo esecutivo: infatti, la sua tenuta in questo preciso momento storico è importante non solo da un punto di vista pragmatico per garantire il funzionamento del paese, ma anche in una prospettiva simbolica e politica, per gettare le basi di un processo decisionale che sia in grado di coinvolgere tutte le componenti sociali.

Autore: 

Anna Maria Bagaini

Anna Maria Bagaini
University of Nottingham

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