L’attacco a Nizza e la vulnerabilità della Francia

L’attacco terroristico che ha colpito a morte Nizza è purtroppo una drammatica conferma di alcuni dati di fatto emersi dalle ultime tragedie.
In primo luogo, l’estrema esposizione della Francia alla minaccia terroristica, pur nella logica di un’offensiva criminale che si ripercuote indiscriminatamente sull’Europa, l’Occidente, il Medio Oriente e che colpisce nel mucchio senza troppe distinzioni di razza e religione. La Francia continua a pagare il prezzo più alto, nonostante la legislazione d’emergenza, le misure di sicurezza, la capillare opera di controllo e prevenzione, evidentemente non ancora sufficienti. Questo accade poiché la presenza sul territorio di gruppi estremisti è piuttosto diffusa e può contare su un’area di consenso o quantomeno di omertà, ancora poco esplorata e forse per molto tempo non vista dalle autorità per una sorta di autocensura culturale e/o per una sottovalutazione degli stessi fenomeni.
È un fatto che le periferie francesi siano una polveriera sociale, un’area di controcultura e di emarginazione e proselitismo, di micro-criminalità e traffici criminosi. Basta la semplice ricostruzione di biografie di giovani terroristi per riscontrare quasi sempre un percorso di devianza criminosa fino alla radicalizzazione islamista che ha poco o nulla della conversione religiosa, apparendo piuttosto come un pretesto-rifugio o una sorta di riscatto personale o giustificazione del proprio gesto.
In secondo luogo, la Francia è più esposta di altri paesi sulla scena internazionale per una serie di decisioni che non datano da oggi: dall’intervento in Libia e l’eliminazione di Gheddafi alle operazioni più recenti in Siria, Iraq, Maghreb e Africa sub-sahariana. La connessione con il terrorismo interno non è automatica, ma sono del tutto evidenti – e confermate da molte indagini – il pendolarismo di foreign fighters, l’area di consenso, lo scambio di informazioni fra aree metropolitane e teatri di conflitto.
Un terzo elemento da non sottovalutare riguarda nello specifico l’area di Nizza e più genericamente il Midi della Francia. La narrazione giornalista ha spesso acceso i riflettori sulle periferie dell’area metropolitana di Parigi, trascurando il fatto che sulle colline alle spalle della Promenade des Anglais sono cresciuti negli anni quartieri ghetto di vecchia e nuova immigrazione che hanno fatto emergere problemi di ordine pubblico e criminalità comune sempre più pesanti.
L’attentato di Nizza conferma anche un cambio di passo del terrorismo che tende a colpire laddove i controlli sono meno rafforzati, nel modo più imprevedibile e in fondo più facile. È un cambio di passo che vorrebbe dimostrare appunto l’estrema vulnerabilità del sistema, della nostra società, del nostro modo di vivere, al di là delle misure di prevenzione.
Infine, colpire la festa nazionale suona anche come un terribile sfregio alle istituzioni e alla società francese. Dopo l’organizzazione dei Campionati europei di calcio, messa a punto con grande professionalità ed eccezionale dispiego di mezzi, la Francia aveva tirato un sospiro di sollievo, forse inconsciamente aveva persino allentato le difese. È complicato esplorare i meandri ideologici e strategici dell’offensiva terroristica sul suolo francese, ma non è azzardato intravedere una cinica volontà di aggravare la crisi sociale e politica del paese, di destabilizzare governo e istituzioni, di allargare il solco fra le forze politiche e le diverse componenti sociali. Una volontà che colpisce in prima linea la Francia ma che interessa nel suo complesso l’Europa intera in un momento di estrema debolezza e confusione, proprio quando occorrerebbero estrema coesione.
Massimo Nava, giornalista de Il Corriere della Sera