L'Europa che serve all'Italia
Poco si parla di Europa in questa campagna per le elezioni europee, strumentalizzate per la politica interna. E i nostri leader sono presuntuosi, nel senso che non riconoscono e non spiegano la forte interdipendenza che ci lega all’Europa.
E saltano il loro ruolo nazionale senza render conto di quanto i nostri destini dipendano da quelli degli altri paesi dell’Ue e viceversa, di quanto si stia sulla stessa barca, anche se per qualche tempo sulla barca c’è chi può star più comodo e chi meno. Ma se la barca balla o affonda balliamo e affondiamo insieme, se naviga bene condividiamo i benefici del viaggio.
La presunzione caratterizza in qualche misura tutti i partiti. Vediamo i principali. Renzi è presuntuoso quando non spiega che le riforme che sta impostando, da quella della pubblica amministrazione a quella del mercato del lavoro, sono state richieste dal meccanismo di concertazione delle politiche europee.
Sono le stesse che la Bce chiedeva nella famosa lettera del 2011, le stesse che Monti ha provato ad avviare, le stesse che la Commissione ha sollecitato nel dare la pagella a Letta. Renzi ha ragione di ricordare che sono nel nostro interesse; ma perché non spiega che, senza le sollecitazioni dell’Europa, saremmo ancora più lontani dall’avviarle? Perché è così presuntuoso da far credere di esser lui a dettare un’agenda originale? È perfetto quando dice che, prima di andare a dir la nostra in Europa, dobbiamo mostrare di saper riformare il nostro paese. Ma perché non ci insegna ad apprezzare i consigli dell’Europa oltre a quelli che, a suo dire, noi sapremmo dare a lei? Perché continua a presentare Bruxelles solo come causa di sciocca austerità finanziaria mentre da tempo è da l‘1% che vengono gli esami più accurati dei nostri difetti di funzionamento strutturale? Perché non ricorda che dobbiamo sperare che la Germania vada bene, se vogliamo andare bene, e che la ragione per cui la Germania desidera che noi facciamo le cose per noi giuste è che ne beneficia anche lei? Perché ha la presunzione di non fare pedagogia sull’Europa mentre chiede il voto europeo?
La presunzione di Berlusconi è debordante, quasi simpatica, connaturata al personaggio. È clamorosa quando non riconosce che ha perso il posto perché il Paese che governava stava saltando in aria, e sarebbe successo se l’Europa non ci avesse stimolato e assistito nel cambiar rotta. Più sottile e velenosa è la presunzione a cinque stelle, quella tipica dei tutti i populisti radicali, che riducono i problemi più complessi al gioco dei buoni contro i cattivi. Martedì sera Di Battista ha mostrato il meglio del grillismo in tv da Mentana che, forse per stanchezza, sembrava innamorato e cedevole. Senza le grida scomposte di Grillo, il giovanotto ha mostrato con accattivante abilità la prosopopea del giusto, isolato fra i dannandi, confortato solo dall’aspettativa di diventar maggioranza e schiacciare i diavoli, a Roma, a Bruxelles, a Francoforte.
Prendiamo solo due sue affermazioni. La prima, più ovvia, è che la sua squadra è sola nel combattere eroicamente per le leggi anticorruzione e antiriciclaggio. Gli altri nemmeno ci penserebbero: "Se solo Renzi le avesse proposte le avremmo appoggiate". Ma come può chi non ha cinque stelle combattere la corruzione e il riciclaggio? Sta di fatto che l’anticorruzione e l’antiriciclaggio sono obblighi che l’Italia ha nei confronti dell’Europa la quale, guarda caso, è l’origine dei provvedimenti che Monti cercò di prendere urgentemente nel 2012. La squallida resistenza che incontrò nel centrodestra lo portò a varare un’anticorruzione parziale, protestando con chiarezza che la sua proposta era più severa. Penso sia stato uno degli episodi che lo convinsero a lasciare il governo. E se Renzi ha ripreso questi temi nel suo programma, non è solo per bontà sua e paura della concorrenza delle purissime cinque stelle. E’ la Corte di Giustizia europea che dobbiamo temere se non miglioriamo sull’anticorruzione e l’antiriciclaggio. Quel che i leader dovrebbero spiegare, abbassando le creste presuntuose, è che non c’è alcuna possibilità di battere corruzione e riciclaggio se non con politiche unitarie europee; e che l’Europa ci ha pensato. E’ proprio sul fronte della lotta al crimine economico che si mostra con più evidenza l’imprescindibile interdipendenza dei Paesi membri, il bisogno di tantissima Europa che abbiamo tutti.
Meno ovvia, più avventata, è l’altra affermazione di Di Battista: quella sul "ricatto" che l’Italia dovrebbe fare all’Europa minacciando di non ripagare i debiti agli investitori esteri. È evidente che la minaccia non sarebbe credibile perché un default italiano causerebbe disastri per l’Italia non meno che per i suoi creditori e l’Europa tutta. Ma, a parte la sciocchezza in sé, c’è la presunzione di chi non vuol prendere atto che, tramite il mercato del credito e la finanza, oltre che tramite il commercio di merci e servizi, siamo interconnessi intimamente con l’estero, sicché i ricatti suonano come quelli di chi, molto al largo, minaccia i compagni di barca di bucarla se non gli danno ascolto.
Per questo l’Europa, faticosamente, vincendo i superati nazionalismi dei governi nazionali, ricchi e poveri, settentrionali e mediterranei, sta andando nella direzione opposta a quella dove ci vorrebbe condurre Di Battista. Coopera: facendo insieme la politica monetaria, mettendo in comune la vigilanza sulle banche, facendo piccoli passi verso la solidarietà finanziaria, con i fondi strutturali, col fondo salvastati, con la flessibilizzazione del Patto di Stabilità e l’introduzione del Semestre Europeo e, ora, preparando una cassa comune per gestire le crisi bancarie. Perché questi presuntuosi non lo spiegano?
Sarebbe la premessa per fondare la speranza che la cooperazione e la solidarietà europee accelerino e si consolidino.