L'Europa e la crisi: democrazia vs disuguaglianze

Le disuguaglianze economiche e sociali, in crescita da tempo in gran parte del mondo, si sono approfondite anche all’interno dei paesi dell’Unione Europea a seguito di due gravi crisi, la crisi economico-finanziaria globale del 2008 e la pandemia Covid19, che li hanno investiti nel corso di poco più di un decennio. L’aumento delle diseguaglianze provocherà una nuova ondata di proteste e una situazione di radicalizzazione sociale e instabilità politica? È probabile, ma senza provocare effetti traumatici e cambiamenti di regime politico.
L’aumento delle diseguaglianze di reddito, consumo, accesso a servizi essenziali, causato dalle crisi economiche hanno storicamente alimentato proteste sociali intense e diffuse, e talvolta anche processi rivoluzionari. Si pensi al legame tra carestie e rivolte in epoca premoderna, alla crisi finanziaria dell’ancien regime e alla Rivoluzione Francese, agli effetti grande depressione degli anni 1930 sull’affermazione del nazismo in Germania e, più recentemente, alla rivolta per l’aumento del prezzo del pane che ha innescato le ‘primavere arabe’ di 10 anni fa o al movimento dei gilets jaunes in Francia. Il nesso tra diseguaglianza (e connesso senso di ingiustizia sociale) e protesta collettiva esiste, ma non è diretto e varia in base ad alcune variabili fondamentali, in particolare la dialettica movimento-istituzione e la risposta dei detentori del potere, che dipende a sua volta dalla natura del regime politico.
Già negli anni precedenti la pandemia, si sono manifestate forme di protesta in Europa che sembrano confermare il nesso con la crescita delle diseguaglianze, catalogabili in diversi tipi di protesta: contro il potere delle imprese multinazionali e della finanza internazionale (come il movimento degli indignados in Spagna), contro l’emarginazione sociale (come la ribellione dei giovani emarginati delle banlieues parigine), contro la deriva autoritaria di governi sovranisti (come quello polacco e ungherese), proteste nazional-populiste identitarie o negazioniste. Queste proteste continueranno nei prossimi mesi (dopo la ‘sospensione’ dovuta alla pandemia), ma continueranno ad avere un carattere limitato e frammentato, senza dar vita a un movimento ampio e organizzato capace di provocare una crisi di regime. Vediamo perché.
Come la sequenza di fasi che ha scandito la crisi globale del 2008 in Europa (crisi finanziaria, stagnazione economica, crisi del debito sovrano, crescente disoccupazione e sottoccupazione, aumento della povertà) non è arrivata all’ultima mutazione, la crisi politica di sistema, come avvenne nel precedente storico della crisi degli anni 1930, così anche l’esplosione della nuova gravissima crisi, la crisi pandemica, che ha investito l’Europa quando non era stata ancora del tutto superata la prima, in forma anche più repentina e violenta di altre aree del mondo, non produrrà una radicalizzazione di massa della protesta; anzi, finora, sembra aver avuto l’effetto opposto di affievolire, ‘sospendere’, le proteste in corso, in virtù della combinazione di due atteggiamenti apparentemente opposti, da un lato, la preoccupazione predominante per la propria sopravvivenza individuale (e quella delle persone più vicine), dall’altro, un sentimento di solidarietà collettiva che favorisce più la collaborazione che la protesta, pone l’accento più su ciò che ci unisce più che su ciò che ci divide.
Nel prossimo futuro diversi fattori ostacoleranno la radicalizzazione di massa della protesta, come la frammentazione dei movimenti, la difficoltà di istituzionalizzarsi con obiettivi comuni e organizzazione stabile e il ruolo giocato dai social media della società digitale che sono efficacissimi per lanciare un flash mob, mobilitare un gran numero di persone in tempi brevissimi, con un raggio di azione assai ampio e costi molto ridotti, ma non risolvono il dilemma della istituzionalizzazione; ma il fattore che più ostacolerà la radicalizzazione in Europa (a differenza di quanto accadrà in altre regioni del mondo) sarà, l’esistenza dell’Unione Europea e del ‘modello sociale europeo’ che ha consentito una risposta alla crisi pandemica tempestiva, di qualità e di entità assai rilevanti con il programma Next Generation EU. In un regime politico liberal-democratico come quello dell’UE e dei suoi stati membri, la risposta dei governi alle crisi è infatti di tipo riformista e può innescare un circuito virtuoso tra protesta e riforme. Il welfare state, che è aspetto fondante del progetto di integrazione politica europea, ha consentito un’assistenza sanitaria universalistica a prezzi contenuti per i cittadini europei e una mitigazione dei costi sociali e psicologici della pandemia, ha evitato licenziamenti di massa, limitato gli effetti pur gravi della crescita delle diseguaglianze tra gli stati membri e al loro interno. Ci sono stati ritardi, errori, incapacità, inefficienze colpevoli (ancorché più da parte dei governi nazionali e locali che delle istituzioni europee) e continuano quindi ad esserci numerosi motivi di protesta, ma nel complesso l’Unione esce rafforzata dalla crisi pandemica perché la maggioranza dei cittadini europei ha compreso che la risposta sovranazionale è più efficace e solidale di quella sovranista.
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