Libia, se anche al-Serraj getta la spugna

Settembre in Libia si è aperto con una serie di colpi di scena che avranno molteplici ricadute nei prossimi mesi. A fine agosto, infatti, il ministro degli Interni, il misuratino Fathi Bashagha, mentre si trovava in Turchia ha ricevuto la notizia di essere stato sollevato dal suo incarico. Il motivo sarebbe stata la spropositata reazione delle forze di sicurezza della capitale – e non solo – alle manifestazioni popolari esplose negli ultimi mesi contro la crisi economica, i continui blackout, una rete idrica disastrata e altri vari disservizi a cui i cittadini libici sono stati sottoposti negli ultimi anni.
Lo scontento però non si rivolge solo all’incapacità gestionale del Government of National Accord (GNA) presieduto dal primo ministro Fayez al-Serraj. Tocca anche il governo della Cirenaica, la House of Representatives (HoR) che, dopo giorni di continue proteste e disordini in piazza, ha deciso di capitolare attraverso le dimissioni – il 14 settembre – del proprio primo ministro, Abdallah al-Thani. A queste, esattamente due giorni dopo, sono succedute quelle di Fayez al-Serraj che, in un comunicato televisivo, si è detto desideroso di passare il testimone entro la fine di ottobre.
Il “governo della fregata” – soprannominato così dopo l’arrivo a Tripoli di al-Serraj via mare nel 2016 – ha avuto in questi anni enormi difficoltà a livello locale. Le stesse manifestazioni dei giorni scorsi sono dovute ai soliti problemi che affliggono buona parte del paese e che non riguardano solo blackout elettrici e una rete idrica singhiozzante, ma anche la mancanza di benzina e di denaro liquido. Sostanzialmente nulla è cambiato in meglio nella gestione della vita quotidiana dei libici, come dimostrato anche dai cumuli di immondizia sparsi ovunque nella capitale. Quella di al-Serraj, in questo senso, è stata un’amministrazione fallimentare. A ciò si è aggiunta la crisi economica causata dal crollo del prezzo del petrolio – in un paese che vive unicamente di quello – e dal blocco dei pozzi petroliferi ad opera di milizie locali vicine al maresciallo di campo Khalifa Haftar, leader indiscusso (almeno fino a qualche settimana fa) della Cirenaica e acerrimo nemico di al-Serraj. Degno corollario di un 2020 non certo fortunato per la Libia è stata la pandemia di COVID19 i cui contagi stanno aumentando senza avere alle spalle un sistema sanitario in grado sopportarne il peso.
Alla luce di ciò, la mossa del primo ministro tripolino non ha sorpreso gli osservatori, che già da tempo avevano colto le crescenti tensioni all’interno del GNA e parecchio scontento tra i libici: lo stesso al-Serraj, nei mesi passati, si è detto più di una volta pronto a lasciare. E se ieri sera egli ha rimarcato la sua buona fede nel perseguire questa scelta, sono in molti, nelle strade della capitale, ad essere scettici a riguardo: soprattutto alla luce delle dimissioni di al-Thani soli due giorni prima. Quelle di al-Serraj, invece, non hanno effetto immediato, segnale che forse l’obiettivo della mossa è soprattutto quello di placar gli animi, senza una reale volontà di cedere l’incarico a un’“autorità” di cui non si conosce il nome e che difficilmente si materializzerà nelle prossime quattro settimane, visto che proprio su questi temi è dal 2015 che i governi delle due regioni non riescono a trovare un punto d’accordo.
Il problema ha radici profonde: il GNA, nato in seguito agli accordi marocchini di Skhirat, non è mai stato considerato legittimo dagli stessi libici, proprio perché non è il risultato di un democratico processo elettorale, quanto piuttosto una creatura voluta dall’esterno. Sono proprio queste forze esterne, penetrate sempre di più nel tessuto libico nel corso degli ultimi anni, ad averlo sfaldato, dando spazio alla proliferazione di un coacervo di milizie, molte delle quali con una forte natura criminale, che hanno dettato legge al già debole al-Serraj. Un governo, questo, in mano a veri e propri “cartelli” e che, in realtà, è lo specchio di qualcos’altro: il fallimento totale della comunità internazionale e delle Nazioni Unite, che non sono state in grado di supportare nei fatti il governo da loro promosso e di arginare l’intervento nelle dinamiche libiche di alcuni pesi massimi come Russia e Francia, ma anche Egitto, Emirati Arabi Uniti e Turchia.
Il caso dell’assedio di Tripoli, iniziato il 4 di aprile del 2019 a opera delle forze guidate da Khalifa Haftar ne è l’esempio emblematico. Molte sono state le proteste provenienti dalle diverse cancellerie europee e internazionali, così come molte sono state quelle delle Nazioni Unite nei confronti di un atto scellerato compiuto contro un già difficile e complesso processo di pacificazione tra le due regioni. Eppure, poche e inconsistenti sono state le azioni che avrebbero dovuto far seguito a quelle denunce. Questa mancanza di visione e, soprattutto di coraggio politico, ha fatto sì che al-Serraj – disperato dopo mesi di assedio – cadesse nelle mani della Turchia, ormai attore di primo piano sul palcoscenico libico e alla cui presenza faremo tutti bene ad abituarci. Soprattutto noi italiani.