L’Italia nel 2011
Da acuta che era, la crisi mondiale è diventata cronica. La produzione ha smesso di scendere quasi ovunque ma, a fine 2010, nessun paese ricco ha ancora recuperato i livelli pre-crisi; la disoccupazione è fortemente aumentata senza prospettive di un rapido riassorbimento; le finanze pubbliche sono precarie; l’assetto del mondo risulta in rapido cambiamento a favore dei paesi emergenti.
A questo quadro non favorevole, l’Italia aggiunge precedenti condizioni di debolezza strutturale che l’hanno portata a una crescita prossima allo zero nel primo decennio del XXI secolo. Questa debolezza deriva da un cattivo posizionamento internazionale – dopo l’uscita di fatto dall’elettronica, dalla chimica, dalla farmaceutica e da altri settori ancora –, da produttività stagnante per vincoli sindacali e amministrativi, da scarso desiderio di rischio da parte di un buon numero di imprenditori. Nessuna di queste condizioni, però, dà luogo a difficoltà acute in quanto il gigantesco debito pubblico è quasi stazionario da molti anni e il deficit si mantiene, più o meno, entro i limiti convenuti con i partner europei. Come un paziente in condizioni gravi ma stabili, forse un paziente in coma.
A questa condizione “clinica” dell’economia si aggiunge un particolare malessere socio-politico caratterizzato da un sempre maggiore disagio di ampie fasce di reddito, da una crescente mancanza di un posto – nella società prima ancora che nel mondo del lavoro – per i giovani, da una situazione politica in cui un’ampia maggioranza si sfalda senza riuscire a varare misure incisive.
Nella situazione generalmente critica dell’economia mondiale, quindi, l’Italia vive una sua particolare criticità, una criticità dalle tante piccole emergenze (crisi dei rifiuti in Campania, diffuse difficoltà del sistema delle imprese) compensate da una tenuta di fondo derivante dalla solidità del sistema bancario e dalla presenza di un ampio risparmio famigliare. Il problema è di comprendere se, con il 2011, sia ragionevole prevedere un’uscita dal coma, l’inizio di un cammino di guarigione che in ogni caso non potrà che essere lungo. Come in medicina, l’uscita dal coma può avvenire mediante un risveglio graduale, indotto da “farmaci”, oppure in maniera improvvisa derivante da uno stimolo esterno. In entrambi i casi quest’evoluzione positiva deve estendersi a una dimensione politico-sociale e necessita di una situazione internazionale favorevole.
Dato il peso del debito e del deficit pubblico, un risveglio graduale potrebbe verificarsi solo grazie al sensibile aumento delle esportazioni che, per la struttura del commercio estero italiano, dovrebbe essere trainato dalla Germania e secondariamente dalla Russia e dall’Asia. Solo così è possibile pensare a un aumento della produzione, in grado di riassorbire un po’ di disoccupazione, rasserenare le prospettive delle famiglie inducendole ad attingere moderatamente ai risparmi per finanziare spese a suo tempo rinviate. Tutto ciò si tradurrebbe anche in maggiori entrate pubbliche che consentirebbero un allentamento dei vincoli alla spesa degli enti locali, rivitalizzando ulteriormente il sistema delle imprese. Va aggiunto che la spinta iniziale andrebbe sostenuta da una politica saggia che evitasse di “sperperare”, come in passato, le spinte alla crescita destinandole a rendite o a spese improduttive.
Il risveglio improvviso può invece dipendere solamente da uno shock esterno, di varia natura che determini condizioni di emergenza. Tali condizioni potrebbero far sì che – come altre volte nella storia italiana, l’ultima delle quali fu la crisi valutaria del 1992-93 – le componenti sociali rinunciassero a privilegi o prerogative e si determinasse così una maggiore flessibilità. In questo quadro si pensa sempre, prima di tutto, al lavoro dipendente e alle sue rigidità; non va trascurato che altre rigidità derivano al sistema dal lavoro autonomo dei cosiddetti “liberi” professionisti, il cui sistema ingessato non favorisce il ricambio. Molte libere professioni prosperano per la complessità delle regole e il carattere macchinoso delle procedure in campo giudiziario e fiscale e, più in generale, nel processo di decisione dell’amministrazione pubblica. Lo shock permetterebbe modifiche normative che lascerebbero spazio per un aumento dell’efficienza e lo stimolo all’innovazione.
La probabilità che l’uno o l’altro di questi insiemi di condizioni si verifichi è difficile, se non impossibile da misurare. All’osservatore non rimane che trasformarsi in sentinella nel tentativo di individuare, nel buio di una notte che si prolunga, gli eventuali primi spiragli di luce.