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Mali, la piazza contro Keita

Martedì, 14 luglio, 2020 - 17:00

Dopo giorni di proteste violente il presidente maliano Keita scioglie la Corte Costituzionale e apre al dialogo. Ma la piazza, che fa capo a un influente imam, insiste: si deve dimettere.

Le proteste che dal mese di giugno paralizzano Bamako cominciano ad ottenere i primi risultati. Con un gesto di apertura nei confronti dei manifestanti, scesi in piazza a decine di migliaia tra venerdì e sabato, il presidente Ibrahim Boubakar Keita ha annunciato lo scioglimento della Corte Costituzionale e la nomina di nuovi giudici. Poche ore dopo è suo figlio, Karim Keita, presidente della Commissione parlamentare della Difesa a fare un passo indietro e ad annunciare le dimissioni. Gesti di distensione che fanno seguito a proteste massicce e scontri tra manifestanti e forze dell’ordine che hanno causato almeno undici vittime e decine di feriti. A innescare la miccia di un malcontento sociale radicato, era stata la decisione dei giudici costituzionali di invalidare i risultati delle elezioni legislative svoltesi tra marzo e aprile, dopo oltre 18 mesi di rinvii. In particolare, i giudici avevano ribaltato l’esito del voto in alcune circoscrizioni di Bamako, attribuendo la vittoria a candidati del partito Rassemblement pour le Mali (Rpm) del presidente Keita, laddove questi ultimi – secondo i primi risultati – avevano subito una sconfitta schiacciante. Da allora, migliaia di persone sono scese in piazza chiedendo le dimissioni del presidente, e protestando contro i mali che affliggono il paese: insicurezza e incapacità di fare fronte alle violenze dei gruppi jihadisti e agli abusi commessi dalle forze armate, un marasma economico accentuato dal Coronavirus, l’assenza di servizi statali e il discredito nei confronti di istituzioni corrotte.

 

Chi protesta a Bamako?

Le manifestazioni che agitano la capitale maliana, sintomo di un malcontento diffuso nel paese, sono coordinate da un collettivo di tre organizzazioni principali: il ‘Coordinamento di movimenti, associazioni e simpatizzanti’ (Cmas), una piattaforma di partiti di opposizione nota come ‘Fronte di salvaguardia della Democrazia’ (Fsd), e il collettivo della società civile ‘Speranza per un nuovo Mali’ (Emk). Insieme, queste organizzazioni hanno costituito il ‘Movimento del 5 giugno – Raggruppamento delle forze patriottiche’ (M5 – Rfp). Uno dei leader del Fsd, Soumaila Cissé, già sfidante del presidente Keita nelle passate elezioni, è stato sequestrato durante la campagna elettorale lo scorso 25 marzo nella regione di Timbuctu. Il suo rapimento, oltre ad aver esacerbato le tensioni, ha compattato l’intero movimento intorno a un altro personaggio carismatico, divenuto il volto di spicco delle proteste di questi giorni: l’Imam Mahmoud Dicko.

 

Un imam nel cuore della piazza?

Già presidente dell’Alto Consiglio islamico del Mali, Dicko non è una figura nuova sulla scena politica del Mali. In un paese al 95% musulmano, dominato dal sincretismo dell’Islam malikita, la notorietà di questo leader spirituale di orientamento wahhabita, che ha studiato in Mauritania e Arabia Saudita, è radicata. Nel 2009 contribuì a mobilizzare migliaia di cittadini contro l’approvazione di un nuovo codice della Famiglia che avrebbe introdotto più tutele e diritti per le donne, riuscendo a ottenerne la cancellazione. Nel 2012 fu lo stesso presidente Keita ad affidargli il ruolo di negoziatore per la liberazione di ostaggi nelle mani dei capi jihadisti Iyad Ag Ghali e Amadou Koufa. Ma il rapporto con il presidente si è logorato in fretta e dopo averlo inizialmente sostenuto, Dicko si è opposto alla sua rielezione nel 2018 e lo ha accusato di autoritarismo e inefficacia, guadagnandosi il consenso delle formazioni di sinistra. L’imam, come altri leader religiosi nel paese, gode di un’autorevolezza e una popolarità assolutamente inaccessibili per l’intera classe politica maliana, percepita come corrotta e incapace.

 

Un paese in bilico?

Lo scorso fine settimana i manifestanti a Bamako hanno tentato di saccheggiare il parlamento e assaltato la sede della tv di stato. Scontri e barricate per le strade della capitale hanno portato a diverse decine di morti e l’Imam Dicko ha rivolto un appello alla calma. “Chiedo ai giovani di mantenere la calma, possiamo ottenere quello che vogliamo con la pazienza e le buone maniere” ha detto “ma non intendiamo fare marcia indietro sulle nostre richieste”. La portata della contestazione di piazza preoccupa anche a livello regionale e internazionale. Inviti al dialogo sono stati rivolti da Unione Europea, Nazioni Unite e dalla Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale (Ecowas). Il timore è che la crisi di legittimità di Keita e dell’intera classe politica maliana possa aggravare l’instabilità nel paese, già teatro delle operazioni Serval prima e Barkhane poi, cui si aggiungerà a breve la nuova task-force Takuba (spada, in lingua tuareg) e che vedrà coinvolte forze speciali di vari paesi europei tra cui l’Italia. A questi si aggiungono i circa 15mila caschi blu Onu della Minusma e altri 5mila dei paesi limitrofi, organizzati nel G5 Sahel già presenti. Un dispiegamento che, pur aumentato progressivamente dal 2012 a oggi, non è riuscito a riportare sicurezza e stabilità in un paese chiave nella lotta al traffico di esseri umani e al terrorismo di matrice jihadista.

 

 

Non è chiaro a cosa porteranno le proteste di questi giorni: oltre alla destituzione della Corte Costituzionale, la piazza chiede lo scioglimento del Parlamento e la formazione di un governo di transizione, il cui primo ministro dovrà essere scelto dal movimento. Due giorni dopo il discorso in cui il presidente per smorzare la tensione aveva fatto intendere che i risultati delle legislative – causa delle proteste – avrebbero potuto essere riesaminati, la folla è tornata a riversarsi per strada. L’impressione a Bamako è che l’esito del braccio di ferro in atto in queste ore non si decida più a Koulouba, dove ha sede il palazzo presidenziale, ma nel quartiere di Badalabougou, sede della moschea dell’Imam Dicko e roccaforte dei suoi seguaci.

 

Il commento

Di Camillo Casola, ISPI research Fellow, programma Africa

"Nel quadro della profonda crisi di legittimità che investe le istituzioni maliane, le aperture di IBK suonano tardive, del tutto insufficienti e soprattutto incompatibili con la dura repressione messa in atto dall’esercito nei confronti dei manifestanti, che minaccia di aggravare – anziché placare – le ragioni delle proteste.

A oggi, Mahmoud Dicko emerge senza dubbio come la figura più credibile dell’intero panorama politico maliano: l’equilibrio delle sue dichiarazioni e la fermezza delle rivendicazioni sociali che ha fatto proprie, unite a una innegabile capacità di incarnare la discontinuità rispetto a una classe dirigente cristallizzata e immutabile, contribuiscono a consolidare gli scenari di un suo possibile diretto impegno elettorale".

 

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A cura della redazione di  ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca,  ISPI Advisor for Online Publications)


URL Sorgente (modified on 24/06/2021 - 20:18): https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/mali-la-piazza-contro-keita-26948