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Pakistan e India si giocano le proprie carte in Afghanistan

Martedì, 13 luglio, 2021 - 08:45

Il riassetto dell’Afghanistan è appena iniziato, si compirà in tempi molto dilatati e, soprattutto, attraverso fasi complicate e forti scossoni. La stragrande maggioranza degli analisti è d’accordo quantomeno su questi punti. Fra le grandi incognite restano quelle della postura che il la comunità internazionale vorrà assumere rispetto al nuovo panorama geopolitico e geo-economico della regione. Sarà senza dubbio interessante seguire il complesso gioco diplomatico che le due vicine controparti India e Pakistan condurranno nei prossimi mesi nei confronti di Kabul e del suo governo.

Mentre l’Afghanistan sembra ormai destinato a scivolare lentamente in mano ai talebani facendo leva sulla loro già effettiva amministrazione sia di alcune città – come Kandahar – sia di determinate zone rurali, sembra che gli studenti coranici non risultino davvero troppo invisi né al Pakistan (e questo non è certo sconvolgente, vista la larga complicità del secondo governo di Benazir Bhutto nella creazione del movimento) né all’India.

Nuova Delhi si è formalmente seduta al tavolo dei negoziati per la determinazione del futuro dell’Afghanistan solo nel marzo di quest’anno, ma ha cercato di giocare un ruolo diplomatico a partire almeno dal 2011, pur avendo interessi specifici in Afghanistan sin da prima. L’India ha investito in maniera continuativa e cospicua nelle infrastrutture dell’Afghanistan. Fra le più importanti strutture rimesse in opera (con profondi restauri) o costruite dal governo di Nuova Delhi per quello di Kabul si può addirittura citare il Parlamento afghano. Altre significative opere indiane sono state la costruzione di alcune scuole e costruzioni economicamente strategiche, come la diga di Salma, cui facevano cornice di sicurezza, tra l’altro, i militari italiani. Altri progetti sono in cantiere, come la diga di Shatoot, lungo il corso del fiume Kabul, molto discussa perché metterebbe a rischio equilibri idrogeologici e, conseguentemente, politici. Infatti, andando a influenzare l’alto bacino del fiume, prima che questo ritorni nel territorio pakistano, la diga rischia di sottrarre risorse alle già brulle province pakistane che il fiume va ad attraversare a valle. Il fiume è uno dei principali del nord del Pakistan. La questione delle risorse idriche nel Subcontinente come descritta da accademici quali Paula Hanasz, riemerge in questo frangente in tutta la sua forza caratterizzando l’India come uno “stato bullo” agli occhi degli altri competitori.

Il coinvolgimento attivo dell’India nella cooperazione economica si può vedere specialmente con i già contemplati investimenti infrastrutturali ma anche con la cooperazione nei trasporti e nelle comunicazioni. A seguito della cooperazione economica e per mantenere risultati provvisori ottenuti, come il Preferential Trade Agreement (PTA), l’India ha ricercato e ottenuto la possibilità di costituirsi come parte attiva nei negoziati per il nuovo corso dell’Afghanistan. Nel contempo il governo di Narendra Modi, pur di chiara ispirazione nazionalista e indù non si è fatto eccessivi problemi a intessere relazioni di un certo peso con gli “studenti coranici” ormai candidati a riprendere saldamente in mano il potere in Afghanistan. Il ruolo dell’India non risale la china solo per iniziativa del governo di Modi, ma anche grazie agli inviti degli Stati Uniti: vale la pena infatti di ricordare il chiaro incoraggiamento dell’inviato del governo americano quale rappresentante speciale per il processo di pace in Afghanistan rivolto al Ministro degli esteri indiano Subrahmanyam Jaishankar per un maggior coinvolgimento di Nuova Delhi. D’altronde, considerando la questione dal punto di vista degli Stati Uniti, sarebbe ben difficile trovare un contraltare al coinvolgimento pakistano migliore della presenza dell’India nel campo diplomatico. La necessità di equilibrare il peso del Pakistan nasce dalla sua forte alleanza con la Cina e dal dato storico della complicità pakistana con i talebani di questa e, soprattutto, della precedente generazione.

Islamabad più che un flirt ha avuto un rapporto di filiazione con i primi accoliti del Mullah Omar, non va infatti dimenticato che i talebani si formarono grazie al supporto dei servizi segreti pakistani e di alcuni dirigenti del Ministro degli interni (Naserullah Babar in primis) del secondo governo di Benazir Bhutto (ottobre 1993 - fine del 1996). Le frange di guerriglieri, che i servizi segreti del Pakistan non avevano mai rinunciato ad allevare e influenzare, davano vieppiù segnali di insofferenza e tentavano la via dell’emancipazione non appena possibile o quantomeno di distanziarsi dalle politiche di Islamabad. Divenne pertanto centrale, nelle strategie di Islamabad, identificare gruppi di guerriglieri disponibili ad essere addestrati senza troppe velleità politiche di emancipazione, mentre il collante religioso poteva essere tollerato, anzi, poteva risultare un legame indissolubile con Islamabad. La scelta cadde sugli studenti coranici diretti da Omar. La storia ci racconta quanto la strategia pakistana si sarebbe rivelata improvvida.

Rescindere completamente il cordone dal movimento degli studenti coranici è stato impossibile, in tutti questi anni, pur tra alti e bassi, per Islamabad e i taleban non sono mai stati completamente disconosciuti e rinnegati dal Pakistan pur essendoci stati momenti critici durante il governo di Pervez Musharraf. Il sostegno che Imram Khan sta offrendo al movimento in queste fasi salienti, dati i precedenti, non deve quindi meravigliare ma allo stesso tempo non deve essere interpretato come un sostegno che travalichi ragioni di realpolitik strategicamente perseguite dal governo di Imram Khan attraverso l’articolazione del proprio Ministro degli esteri Shah Mehmood Qureshi. Le ragioni strategiche che sottendono al supporto ai taleban che Islamabad porta avanti sono essenzialmente tre: innanzitutto il Pakistan è convinto che sostenerli garantirà la sua influenza nella politica interna dell’Afghanistan, in secondo luogo la diplomazia pakistana è convinta di riuscire a far apparire sottotraccia il sostegno ai talebani in ambito internazionale (e finora vi è riuscita, ad esempio con quanto è trasparito dalla visita di Imram Khan negli Stati Uniti nel 2019) ed infine la debole avversione dell’opinione pubblica pakistana per il movimento, se non in certi casi l’appoggio vero e proprio, incoraggia la postura di Islamabad.

Se quindi vi è un punto che possa costituire caposaldo di accordo fra la politica estera indiana e quella pakistana in Afghanistan è il sostegno ad un governo largamente interessato dal movimento taleban e una comunanza di vedute fra i due paesi nella regione, al fine di una più larga stabilità nel Subcontinente è quanto di meglio augurarsi nell’immediato.

Autore: 

Francesco Valacchi

Francesco Valacchi
University of Pisa

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