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Scenari di guerre alimentari

Venerdì, 20 maggio, 2022 - 10:00
FOOD SECURITY

Nel panorama mondiale delle potenze esportatrici di prodotti agroalimentari, l’Unione Europea a 27 Paesi primeggia con un valore che nel 2021 ha superato i 200 miliardi di euro (export extra-Ue), vale a dire un livello del 35% più alto rispetto a quello degli Stati Uniti. Escludendo dal confronto i singoli Paesi comunitari, il terzo player che figura nel ranking è il Brasile con 83 miliardi di euro, la Cina segue più distaccata, a 68,3 miliardi mentre chiude la top-5 il Canada, con 56 miliardi di euro.

Al di là del valore assoluto, le principali differenze che insistono tra queste superpotenze agroalimentari riguardano la composizione dei prodotti esportati: se per l’Unione Europea l’80% del valore ottenuto dagli scambi internazionali concerne prodotti alimentari trasformati, per gli altri player sono le derrate agricole a esprimere una maggior rilevanza nell’export, fino ad arrivare al 52% nel caso degli Stati Uniti. L’Italia, nel contesto dell’Unione Europea, risulta ancor più focalizzata sull’export di prodotti del food&beverage. Dei 50,1 miliardi di euro raggiunti nel 2021, ben l’83% si riferisce a prodotti trasformati, denotando una ridotta incidenza di vendite all’estero di prodotti agricoli determinata sostanzialmente da un deficit strutturale che caratterizza la bilancia commerciale delle materie prime agricole.

Lo scoppio della pandemia da Covid-19 aveva inizialmente fatto temere un crollo nelle nostre esportazioni che invece è stato puntualmente smentito dai fatti. Se è vero che nel 2020 il nostro export agroalimentare è cresciuto “solo” del 2,7% rispetto all’anno precedente, nel 2021 lo scatto in avanti è stato di quasi l’11%, registrando una delle progressioni più elevate tra tutti i top exporter. Ora però lo scenario di mercato si è ulteriormente complicato e caricato di innumerevoli incertezze. Con lo scoppio del conflitto russo-ucraino, molte criticità che erano emerse già da fine 2020 come l’inflazione delle commodities energetiche e dei trasporti o i colli di bottiglia nelle catene di approvvigionamento si sono esacerbate, ponendo forti dubbi sulla continuità di una crescita per le imprese agroalimentari italiane nell’anno in corso.

 

Primo trimestre 2022 ancora positivo

A dispetto di questo timore, il primo trimestre del 2022 evidenzia un export di prodotti agroalimentari italiani in ulteriore progressione per un +19% rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente. Tra i Paesi che hanno evidenziato un aumento degli acquisti dall’Italia superiore alla media, si segnalano Polonia (+54%), UK (+29%) e Stati Uniti (+21%) mentre, come era facilmente desumibile, sono crollate le esportazioni verso la Russia che, per quanto ancora positive nel cumulato trimestrale (+4%) evidenziano una riduzione del 35% per il mese di marzo (sempre in termini di variazione tendenziale su marzo 2021). Al di là del caso specifico del mercato russo, sarà con l’uscita dei dati relativi ai mesi successivi che si capiranno le prime flessioni nelle esportazioni, anche perché la fiammata che si è registrata nei prezzi di petrolio, prodotti agricoli e altre commodities si sta trasferendo a valle della filiera facendo lievitare il livello generale dell’inflazione, portando così a una revisione al ribasso delle prospettive di crescita sia del nostro Paese che, in particolare, di tutti quelli europei dove finisce – è bene ricordarlo - il 57% dell’export agroalimentare italiano.

 

Il peso di Russia e Ucraina

La “tempesta perfetta” generata dal conflitto russo-ucraino sta producendo effetti sul mercato delle imprese agroalimentari italiane solo in parte riconducibili agli impatti diretti che questi due Paesi detengono per l’intera filiera nazionale.

In particolare, il peso di Russia e Ucraina sulle nostre esportazioni agroalimentari è inferiore al 3%, per quanto risultasse in crescita nel quinquennio 2016-2021. Nel complesso, gli acquisti di prodotti italiani nel 2021 sono risultati pari a circa 993 milioni di euro per la Russia e 263 milioni di euro per l’Ucraina, denotando un aumento del 53% per il primo mercato e di ben il 229% per il secondo, nel range di tempo considerato.

Il ruolo dei due Paesi si ribalta nel caso delle importazioni, anche se pure in questo caso si tratta di un’incidenza cumulata di appena il 2% sul valore degli acquisti dell’Italia di prodotti agroalimentari. In particolare, mentre le importazioni dall’Ucraina avevano raggiunto i 643 milioni di euro nel 2021 (+2% rispetto ai cinque anni precedenti), quelle dalla Russia erano di appena 260 milioni di euro, ma in aumento del 67% rispetto al 2016. Come al solito però, il diavolo si nasconde nei dettagli e a ben guardare si scopre che il ruolo di questi due Paesi diventa fondamentale per alcuni prodotti. È il caso dell’Asti spumante, per il quale la Russia copriva (fino al 2021) un quarto di tutto l’export o, al contrario, dell’olio di girasole utilizzato e venduto dall’industria alimentare italiana, per il 46% importato dall’Ucraina.

In buona sostanza Russia e Ucraina rappresentano players globali nel commercio internazionale di alcune importanti commodities agricole e, se anche il nostro Paese non dipende in maniera esclusiva dalle loro produzioni, la struttura prevalentemente deficitaria delle nostre principali filiere agroalimentari ci espone alle forti tensioni nei prezzi di acquisto di tali materie prime. Si pensi infatti che in Italia la produzione di frumento tenero copre appena il 38% del fabbisogno nazionale e questi due Paesi sono responsabili congiuntamente del 30% dei volumi scambiati a livello mondiale di tale cereale. Lo stesso vale per l’orzo (28% dell’export detenuto da entrambi i Paesi), l’olio di girasole (57%), il mais (17%), tutte derrate per le quali l’Italia si configura come un importatore netto.

Ma se per l’Italia Russia ed Ucraina non hanno un ruolo di fornitore strategico, ci sono invece molti altri Stati (in particolare africani e asiatici) che dipendono in maniera quasi esclusiva dalle loro esportazioni, in particolare di cereali. Eritrea, Armenia, Mongolia, Azerbaijan, Georgia e Somalia acquistano dai due Paesi in guerra oltre il 90% delle proprie importazioni di grano, così come Turchia ed Egitto dipendono dagli stessi per oltre il 70% del grano destinato al loro consumo interno. Considerando che molte delle rivolte sociali scoppiate in questi anni nei Paesi in via di sviluppo sono partite dai rincari nei prezzi alimentari di prima necessità, diventa sempre più comprensibile la richiesta impellente della FAO e dei governi europei di sbloccare i 20 milioni di tonnellate di cereali ucraini fermi nei porti del Mar Nero a causa della guerra.

 

Sicurezza alimentare o transizione ecologica?

Un altro risvolto scaturito dall’attuale situazione di complessità in cui versano oggi le imprese agroalimentari riguarda il dibattito sull’eventuale slittamento o revisione degli obiettivi fissati dalla Commissione Europea per una neutralità climatica da raggiungersi nel 2050 (così come indicato nel Green Deal). In particolare, per quanto non vi sia a oggi un problema di sicurezza alimentare per i Paesi dell’Unione Europea, molti operatori economici e policy makers si stanno interrogando sui possibili effetti collaterali derivanti dai target intermedi fissati al 2030 in ambito agricolo dalla strategia Farm to Fork. Target che prevedono, tra gli altri, la sensibile riduzione nell’utilizzo di input chimici (agrofarmaci, fertilizzanti e antimicrobici) e che, secondo le stime di impatto realizzate da diversi e autorevoli istituti internazionali (JRC, Università di Vageningen ma anche lo stesso Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti, USDA) rischiano di portare la produzione agroalimentare europea a cali compresi tra il 10 e il 20% rispetto al livello attuale, con un contestuale aumento dei prezzi di produzione (+17%), riduzione dell’export (-20%) e quel che è peggio, un incremento nelle importazioni di derrate agricole (+39% quelle di cereali) da Paesi che, a differenza di quelli europei, non hanno in animo analoghi percorsi virtuosi di sostenibilità ambientale.

Tutto dipenderà dall’evolversi della situazione in atto e, in particolare, dalla durata del conflitto. Nello stesso tempo, però, proprio in considerazione di questo contesto straordinario, non bisogna perdere di vista le rilevanti emergenze di fondo che persistono a livello globale, vale a dire il cambiamento climatico e i pesanti effetti collegati che, guerra o meno, conducono sempre più spesso a fasi di crisi nella produzione alimentare mondiale. In buona sostanza, il momento sembra essere propizio per accelerare le scelte di policy in grado di favorire quella che la stessa FAO definisce come “l’intensificazione sostenibile” e che, detto in parole semplici, si potrebbe tradurre in “produrre di più con meno risorse”, in modo da garantire così, nello stesso tempo, sicurezza alimentare e transizione ecologica.

Autore: 

Denis Pantini

Denis Pantini
Nomisma

URL Sorgente (modified on 20/05/2022 - 09:32): https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/scenari-di-guerre-alimentari-35092