Thailandia: cresce la protesta contro esercito e monarchia

Il movimento studentesco tailandese, che da mesi attraversa le piazze di Bangkok e di altre città della Thailandia, è diventato in pochi mesi un soggetto politico vigoroso e ineludibile. E mentre cresce la sua forza numerica, il consenso popolare e quello dei partiti di opposizione, il governo di Prayut Chan-o-Cha, ex generale golpista che si è assicurato un nuovo mandato nel 2019 grazie a una Costituzione redatta dai militari nel 2017, sta reagendo con prudenza e rimane, per ora, sulla difensiva.
L’ultimo capitolo si è consumato giovedì 24 settembre quando si è conclusa, con un rinvio di un mese, la votazione su sei emendamenti alla Costituzione che avrebbero proprio dovuto essere la risposta alle proteste degli studenti, accampati fuori dal Parlamento in attesa del voto. 431 tra parlamentari e senatori contro 255 hanno votato per il rinvio mentre l’opposizione ha lasciato l’aula raggiungendo i manifestanti e decidendo di non partecipare nemmeno alla Commissione che deve affrontare il tema di un cambiamento della Carta. La Commissione è dunque formata solo da 15 senatori e 16 deputati della coalizione che sostiene l’esecutivo (Palang Pracharath, Bhumjaithai, Democrat, Charthai Pattana). I due più forti partiti d’opposizione – Pheu Thai Party e Move Forward Party – se ne son chiamati fuori per un motivo che salta all’occhio: i senatori in Thailandia sono nominati dalle Forze armate e quindi l’esecutivo può contare – nel Comitato per l’emendamento della Carta – su una solida maggioranza. Gli schieramenti sono comunque già chiari: la coalizione di governo non vuole ritoccare i primi due capitoli della Carta – che riguardano poteri e ruolo del monarca – mentre l’opposizione non solo crede che i due capitoli vadano rivisti ma vuole la riforma del Senato proprio perché nominato dai militari e non eletto.
Il Move Forward Party è l’erede del Future Forward Party, mentre il Pheu Tahi è espressione dei vecchi governi dei fratelli Shinawatra ora in esilio. Ed è proprio la squalifica del FFP dopo le elezioni e l’espulsione del suo leader dal parlamento – il miliardario progressista e socialdemocratico Thanathorn Juangroongruangkit – ad aver dato fiato al neonato movimento degli studenti che, dal febbraio scorso, è diventato sempre più attivo. Fu quella goccia a far traboccare il vaso dopo le consultazioni del 2019 che consegnarono il comando a Prayut grazie all’appoggio blindato dei senatori. Poi è arrivato il Covid e le restrizioni sugli assembramenti di massa mentre a giugno si veniva a sapere della scomparsa di Wanchalearm Satsaksit, attivista in esilio in Cambogia dal 2014, scoperta che ha rinfocolato la protesta.
Il 18 luglio le manifestazioni dunque sono ricominciate, nonostante il divieto di raduno e lo stato di emergenza decretato contro il virus, culminando il 10 agosto nella lettura in piazza di un Manifesto in dieci punti in cui, oltre a chiedere le dimissioni di Prayut e una nuova Costituzione, il movimento ha anche criticato apertamente il ruolo della corona, un reato di lesa maestà impensabile in Thailandia. Il Manifesto, letto da un’attivista dell'Università Thammasat di Bangkok – considerata la fucina della protesta – ha sollevato un coro di critiche persino tra i progressisti e i partiti d’opposizione come nel caso del Pheu Thai che, pur appoggiando le richieste del movimento per una nuova Costituzione, lo scioglimento del parlamento e la fine della repressione, aveva preso le distanze dal Manifesto che rompeva il tabù monarchico.
Salvo poi ripensarci. Sabato 19 settembre infatti, la piazza ha fatto un salto di qualità con migliaia di studenti raggiunti nelle strade anche da normali cittadini, da esponenti politici e parlamentari. Ma la novità del corteo di sabato, protrattosi nella notte con concerti e balli e terminato domenica mattina con la posa di una placca metallica con la data “20 settembre” (poi trafugata da ignoti), non è solo la crescita esponenziale di un movimento sempre più di massa: si prefigura la possibile creazione di un partito – per ora semplicemente il People’s Party – e la convocazione di uno sciopero generale il 14 ottobre. Prova di forza dagli esiti incerti se l’esecutivo dovesse scegliere la linea dura.
Il movimento ha già dei leader noti e che sono già passati per le maglie di una repressione che per ora li ha solo incriminati lasciandoli a piede libero: Parit “Penguin” Chiwarak, per esempio, e Panasaya “Rung” Sitthijirawattanakul, la studentessa che ha letto pubblicamente il famoso Manifesto. Entrambi vengono dall'università Thammasat come molti altri che si riconoscono in un nome molto semplice: Free Youth Movement. I simboli: il saluto con tre dita alzate – mediato dalla serie di libri The Hunger Games – o il Monumento alla democrazia del centro di Bangkok, punto di ritrovo dei “ribelli”. Ma il movimento tailandese si rifà anche ad altre iniziative di protesta regionale visto che partecipa alla cosiddetta Milk Tea Alliance, che riunisce gli attivisti di Thailandia, Taiwan e Hong Kong da cui è forse arrivata la maggior ispirazione. È un movimento sempre meno solo giovanile e che ha le idee chiare: contesta la casta militare ma anche la borghesia alleata all’esercito e vuole poter criticare persino il monarca, cambiando una Costituzione che è per loro il simbolo di un’altra ingiusta alleanza.