Transizione energetica: il vero prezzo delle emissioni

Del piano della Commissione Europea – probabilmente il più ambizioso al mondo – volto a contrastare il cambiamento climatico e a ridurre del 55% le emissioni di CO2 entro il 2030 (rispetto al 1990, a oggi le abbiamo ridotte del 24%) sta facendo molto discutere la proposta di mettere fuori mercato le auto a motore termico entro il 2035. In realtà la vera e più immediata arma europea per aggredire le emissioni inquinanti è un’altra, ma se ne sta dibattendo decisamente meno. Stiamo parlando del mercato delle emissioni, gli ETS (Emissions Trading System). Di per sé non è una novità: il mercato europeo è stato lanciato nel 2005. Ma le proposte di Bruxelles dovrebbero, nelle intenzioni, rafforzarlo e ampliarlo.
Come funziona l’ETS e come potrebbe cambiare
Il meccanismo è semplice: si dà un prezzo alle emissioni, lo si fa pagare alle aziende inquinanti che in questo modo compensano le proprie esternalità negative (vale a dire gli effetti dannosi che non colpiscono direttamente e solo l’impresa) e le inglobano nel proprio processo decisionale. Se un’attività economica è costretta a pagare un costo proporzionale al proprio impatto ambientale, tenderà a ridurre quest’ultimo, in modo da poter risparmiare. L’ETS è però un mercato, in cui si compra ma si può anche vendere. Le aziende che hanno bisogno di più permessi di inquinamento rispetto alla propria dotazione gratuita devono acquistarli, mentre chi riesce a ridurre il proprio impatto può venderli, guadagnandoci.
Le proposte della Commissione europea riguardano la riduzione della quantità di permessi scambiabili, diminuendo l’offerta, e l’ampliamento dei settori economici che sono obbligati a servirsene (come dovranno fare i trasporti e i consumi domestici), aumentando la domanda. Entrambe le scelte tendono ad aumentare il prezzo dei permessi, che infatti è ai massimi da diverse settimane (più di 50 euro a tonnellata di CO2) spinto al rialzo dalle anticipazioni della proposta europea ora divulgata. Una conseguenza dell’incremento è già stata notata dai consumatori italiani, che hanno visto aumentare i costi energetici in bolletta più del 10% nel terzo trimestre (per la famiglia tipo nel mercato tutelato) anche a causa del rialzo dei prezzi dei permessi di inquinare, che coinvolgono anche i produttori di energia.
Cosa manca?
Ma gli sforzi dell’Unione Europea non bastano per due ordini di motivi, visibili nel grafico. Primo, perché il prezzo per emettere una tonnellata di CO2 è ancora troppo basso rispetto a quanto necessario per mantenere l’innalzamento della temperatura globale entro il target di +1,5°, soprattutto se consideriamo il prezzo effettivo delle emissioni (attorno a 20 dollari a tonnellata), più ridotto rispetto al valore nominale grazie a esenzioni e permessi gratuiti. Secondo, perché l’Europa produce una parte minoritaria delle emissioni globali. E, a livello globale, il valore delle emissioni è ancora bassissimo: in media appena 3 dollari a tonnellata, mentre solo il 21% delle emissioni globali è incluso nei sistemi di pricing. Secondo il premio Nobel all’economia William Nordhaus, per evitare aumenti di temperatura oltre il grado e mezzo il prezzo medio effettivo non dovrebbe essere inferiore ai 100 dollari e il sistema dovrebbe coprire tutte le emissioni globali.
Le prospettive
D’altra parte ci sono anche ragioni per non sprofondare nel pessimismo. Il Fondo Monetario Internazionale ha avanzato una proposta per fissare un prezzo minimo globale delle emissioni, e raggiungere la media di 75 dollari entro il 2030. Una posizione in parte sostenuta anche dal G20 tenutosi a Venezia due settimane fa. Valori di questa portata, differenziati tra Stati ricchi e in via di sviluppo, potrebbero contribuire a ridurre le emissioni del 23% entro il 2030. Mentre la seconda ragione di ottimismo è il recente ingresso della Cina nel mercato degli ETS. Quello cinese è il più grande al mondo, e da solo copre il 7,4% delle emissioni globali. Una mossa, quella cinese, che sembra confermare il ruolo di guida e di esempio dell’Unione Europea nella lotta al cambiamento climatico.