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Ue: lentezza, insopportabile lentezza

Giovedì, 31 gennaio, 2013 - 00:00

Tra i peggiori difetti dell’Unione europea c’è sicuramente la sua lentezza. La lentezza rischia di essere il vero tallone d’Achille della costruzione europea, soprattutto nel mondo di oggi in cui la potenza dei mercati finanziari si misura nella capacità di muovere in tempo reale una mole esorbitante di denaro. Spesso ci si interroga sul potere e sulle competenze delle Istituzioni comunitarie pensando di aumentarle per permettere all’Ue di essere più potente, ma ci si dimentica che ora più che mai il potere è legato anche alla velocità di risposta. 

Le due Istituzioni più propriamente comunitarie – Commissione e Parlamento – sono rimaste a guardare quando la crisi è esplosa nel 2009 e non solo perché non avevano poteri adeguati, ma anche perché i loro tempi di risposta erano troppo lunghi. Non sorprende quindi che l’iniziativa sia stata presa dal meno comunitario delle Istituzioni, il Consiglio, che era capace non solo di prendere decisioni, ma di prenderle con relativa prontezza. La lentezza diventa poi insopportabile – e investe anche e soprattutto il Consiglio – quando si tratta di riformare l’Unione stessa apportando quelle modifiche che dovrebbero renderla più coerente con il contesto globale. Per passare dal Trattato di Nizza a quello di Lisbona sono stati necessari circa 10 anni. Un’eternità per le reazioni istantanee che invece, anche grazie alle tecnologie informatiche, i mercati finanziari hanno e richiedono agli attori internazionali. 

È risaputo che quando il Trattato di Lisbona è finalmente entrato in vigore, nel dicembre del 2009, era ormai vecchio e incapace di rispondere (anche in termini di celerità) alla crisi economica. Sarebbe stato necessario ripensare il Trattato di Lisbona ma è bastato il solo pensiero di avviare la complessa – e lenta – negoziazione per far desistere i capi di stato e di governo, che hanno giustamente preferito seguire una differente strategia: riformare l’Unione ma nel rispetto dei Trattati esistenti (come nel caso del Semestre europeo) e optare per meccanismi non comunitari (come per il Fiscal Compact). In effetti questa strategia ha prodotto dei risultati ragguardevoli: la disfatta è stata evitata. Ma la crisi è ben lungi dall’essere superata. Altre decisioni vanno prese per ridurre la complessità e aumentare la velocità di risposta dell’Unione e, soprattutto, dell’Eurozona. 

Ai 4 presidenti – Consiglio europeo, Commissione, Eurozona e Bce – è stato assegnato il compito di elaborare delle risposte il più possibile coerenti con questa strategia: l’attribuzione di una capacità di bilancio in capo all’Uem, la possibilità di incidere profondamente sulle politiche di riforme strutturali degli Stati membri attraverso dei “contratti” tra l’Eurozona stessa e i singoli Paesi membri (cui potrebbero essere concessi anche finanziamenti ad hoc), spingendosi fino a dei meccanismi di garanzia comune da shock asimmetrici basati, ad esempio, su sussidi di disoccupazione integrativi da finanziare attraverso obbligazioni emessi dall’Uem (un modo per attivare i famosi Eurobond senza passare dai singoli bilanci nazionali). 

Con il solito linguaggio ridondante che gli è proprio, il Consiglio di dicembre ha preso atto di queste proposte e posticipato la vera discussione al Consiglio di giugno. C’è tempo. Peccato che a giugno le elezioni tedesche saranno ormai alle porte ed è difficile immaginare che Angela Merkel voglia legarsi le mani in piena campagna elettorale. Dallo scoppio della crisi i tempi di reazione dell’Ue sono notevolmente migliorati, ma sono ancora troppo lunghi. È paradossale, ma bisogna sperare in un nuovo inasprimento della crisi economica per augurarsi che l’Europa faccia in fretta e si renda conto che no, non c’è tempo.

 
Autore: 

Antonio Villafranca

Antonio Villafranca
Senior Research Fellow

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