Una Via della Seta made in Europe?

L’Unione Europea sta cercando di mettere in piedi la propria “Via della Seta”, in alternativa al mastodontico progetto portato avanti dalla Cina? Probabilmente un’affermazione del genere potrebbe risultare prematura; tuttavia, le recenti mosse di Bruxelles vanno nella direzione di acquisire maggiore autonomia e indipendenza (non soltanto in chiave difensiva) rispetto ai progetti portati avanti da Pechino. Infatti, il lancio dell’iniziativa Globally Connected Europe – adottata lo scorso 12 luglio dal Consiglio Affari Esteri – sembra andare proprio in questo senso. Con l’annuncio, i ministri degli Esteri dei Paesi UE hanno dichiarato che rafforzare la connettività dell’Europa con il resto del mondo è un elemento chiave per accompagnare la “politica estera, economica e di sviluppo” dell’Unione e “promuoverne i valori nonché gli interessi in termini di sicurezza”. Uscendo dal gergo burocratico, l’UE ha ribadito di voler puntare su investimenti in infrastrutture che siano da un lato sempre più funzionali ai propri interessi economici a livello commerciale e dall’altro possano rafforzare la sicurezza della regione, da intendersi sia in termini di approvvigionamento energetico che di tutela delle reti di telecomunicazioni. Insomma, si tratta di un affronto a Pechino?
In cosa consiste l’iniziativa
Innanzitutto va precisato che, al momento, Globally Connected Europe ha un significato essenzialmente (geo)politico: nelle conclusioni della riunione del Consiglio Affari Esteri si riconosce l’importanza di rafforzare la connettività dell’Unione, obiettivo da perseguire in due modi: attraverso maggiori investimenti in infrastrutture fisiche e con una maggiore attenzione per la definizione di quadri regolamentari che assicurino regole del gioco (leggi: standard tecnici, soprattutto nel settore dell’economia digitale) trasparenti e condivise tra i vari attori. Non si tratta però di un progetto totalmente nuovo. Al contrario, si inserisce in un contesto ben preciso rappresentato dalla Comunicazione congiunta al Parlamento, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale, al Comitato delle regioni e alla Banca Europea per gli Investimenti su Connecting Europe and Asia, che risale al 2018. In questo documento si riconosce l’importanza di rafforzare i collegamenti infrastrutturali (sia a livello fisico che digitale) tra Europa e Asia, che rappresenta circa il 35% delle esportazioni dell’UE e il 45% delle importazioni.
Considerando il gap infrastrutturale stimato in entrambe le regioni (1.500 miliardi di euro per l’Asia, 1.300 per l’Europa fino al 2030), Bruxelles considera fondamentale rafforzare gli investimenti verso Est a livello ferroviario, marittimo, energetico e digitale, con progetti specifici che dovrebbero partire dal 2022. Ma guardare a Oriente significa anche mirare verso Pechino? A questo proposito, è abbastanza curioso notare come la dichiarazione per una Globally Connected Europe non menzioni la Cina nemmeno una volta. Al contrario, si fa esplicito riferimento alla volontà di accrescere la cooperazione con Giappone, India, i Paesi dell’ASEAN e gli Stati Uniti. Il richiamo a Washington è dovuto alle iniziative elaborate congiuntamente al recente vertice del G7 in Cornovaglia (soprattutto il progetto chiamato Build Back Better World – B3W”) e si collega anche al recente ritorno degli USA al centro della scena geopolitica grazie all’inversione di marcia compiuta da Joe Biden.
Sale la competizione con la Cina?
Ovviamente, l’assenza di un riferimento alla relazione con il Dragone non è casuale. Da un lato, l’UE vuole cercare di contenere l’espansione dell’influenza geoeconomica cinese attraverso la Belt and Road Initiative (BRI) per farlo, è necessario mettere in campo progetti che portino alla realizzazione di reti infrastrutturali autonome e che non dipendano da capitali in arrivo da Pechino. Si tratta di una dinamica del tutto coerente con il recente orientamento di politica estera dell’UE, volto a perseguire un’autonomia “aperta e strategica”. Dall’altro lato, è altrettanto innegabile che la cooperazione con la Cina sia una necessità ineludibile per le enormi dimensioni del mercato interno del gigante asiatico. Sostanzialmente, Bruxelles ha la necessità di diversificare le proprie opzioni, in termini di afflusso di capitali per investimenti e di rotte commerciali per non dipendere in maniera quasi esclusiva dal rapporto con la Cina: l’intento, dunque, non implica necessariamente un atteggiamento ostile verso il Paese asiatico, ma è funzionale all’obiettivo dell’UE di diventare un attore sempre più compatto e assertivo a livello globale.
È presto per dire se il lancio di Globally Connected Europe avrà un impatto sulle relazioni bilaterali tra l’UE e Pechino. Negli ultimi mesi l’atteggiamento dell’Unione Europea non è stato certamente conciliante nei confronti della Cina, con tensioni diplomatiche che hanno portato alla sospensione del processo di ratifica dell’Accordo sugli Investimenti. Dal canto suo, Pechino ha accolto il lancio dell’iniziativa con apparente condiscendenza, sottolineando come nuove proposte per migliorare la connettività e le infrastrutture siano “benvenute” dalla Cina dal momento che la BRI ha un approccio aperto alla cooperazione internazionale. Insomma, l’intento di Bruxelles è quello di smarcarsi dalla sfera geopolitica della Cina: per riuscirci, però, gli Stati membri dovrebbero muoversi compattamente anziché in ordine sparso. Francia e Germania, ad esempio, frenano rispetto all’adozione di una postura ostile verso Pechino, soprattutto per tutelare i propri interessi economici (non va dimenticato che la Cina è il principale partner commerciale di Berlino, che può vantare un surplus di esportazioni). Anche per l’Italia il mercato cinese rimane un obiettivo prioritario con ampi margini di crescita, ma l’atteggiamento del Governo Draghi è certamente più cauto rispetto a quello di quando fu firmato il Memorandum di adesione alla Nuova Via della Seta. L’importanza di scambi e investimenti reciproci non verrà dunque messa in discussione, ma nel quadro di un contesto geopolitico rinnovato dove l’autonomia europea e l’alleanza transatlantica saranno le “stelle polari” dell’approccio di Bruxelles