Why the Arctic Matters

Lo chiamano "Nuovo Artico", una regione sempre meno bianca e sempre più blu, dove le grandi potenze - Russia e Cina in primis - sono in campo per sfruttarne le ricchezze e opportunità. Nel volgere di cinque anni l’Artico - a causa del progressivo scioglimento dei ghiacci - è diventata infatti una regione al centro di interessi geopolitici globali, dal punto di vista economico, strategico e della sicurezza. Si tratta di un’area abitata da 4 milioni di persone (500 mila gli indigeni), ma contenente una ricchezza stimata (US Geological Survey) di circa 20 trilioni di dollari: il 40% delle riserve globali di idrocarburi, il 30% di tutte le risorse. È la regione con il Pil in maggiore crescita, più 11% l’anno: secondo il Guggenheim Fund, è "l’investimento del secolo. C’è tutto da costruire e da sviluppare".
Il simbolo della travolgente trasformazione è la Groenlandia: è la più grande isola del mondo, abitata da solo 56 mila persone, in maggioranza Inuit, ora determinati ad emanciparsi dal Regno di Danimarca (Copenaghen versa circa 500 milioni di euro ogni anno) grazie alle risorse minerarie di oro, rubini, diamanti, uranio, zinco ecc. Il nuovo governo Inuit intende procedere rapidamente alla completa indipendenza e ha trovato nella Cina il partner più interessato ad investire, puntando subito sull’apertura della più grande miniera di uranio e terre rare a cielo aperto al mondo. La Cina sta stringendo accordi per la costruzione di tre aeroporti (in previsione del boom del turismo nell’isola), mentre già estrae zinco nella miniera più a Nord del mondo, 800 chilometri dal Polo Nord.
La Groenlandia, tuttavia, è cruciale anche per l'Unione Europea, perché tramite la Danimarca rappresenta l’unica opportunità di rimanere agganciati allo scacchiere artico. Ma soprattutto per gli Stati Uniti e per la Nato che hanno nella base di Thule la postazione strategica di ascolto e di difesa antimissile più importante nell’emisfero settentrionale, irrinunciabile per controllare la massiccia militarizzazione russa dell’Artico.
Vladimir Putin sta infatti sviluppando una dottrina artica russa che punta ad ancorare il suo "potere neo-imperiale" nel Grande Nord. Un terzo dell’Artico è di proprietà russa, rappresenta il 60% del Pil nazionale con l’80% delle riserve di gas già esplorate e il 90% di idrocarburi offshore (valore stimato 2 trilioni di dollari). Nell’arcipelago russo di Novaya Zemlya sono emerse nuove isole per un totale di 290 mila chilometri quadrati. Ma le rivendicazioni di Mosca, avviate in base alla convenzione Onu della Legge del Mare arrivano a inglobare altri 1,2 milioni di chilometri quadrati di fondale che, secondo Putin, porterebbero il valore stimato della ricchezza oil and gas artica russa a 30 trilioni di dollari. Lungo i loro 6mila chilometri di costa artica i russi hanno costruito 10 porti. Il più importante è quello di Sabeta, nella penisola di Yamal ("l'Arabia Saudita del Nord"), dove sono attivi i nuovi impianti di LNG, gas liquido naturale: 17 milioni di tonnellate l’anno. È prevista l’apertura di altri due impianti LNG da 20 milioni di tonnellate entro il 2021 (con partecipazione Total del 10%). La Russia ha appena varato inoltre la Akademik Lomonosov, centrale atomica galleggiante da 21 mila tonnellate per alimentare le stazioni estrattive e militari nella regione, dove Mosca ha attivato circa 20 nuove basi, mentre (nella regione occidentale, ai confini Nato) ha ammassato 200 navi da guerra, 20 sommergibili atomici e 1.830 testate nucleari.
A causa delle sanzioni occidentali, i maggiori investimenti nel progetto Yalal sono arrivati dalla Cina, potenza che si definisce “quasi artica” e ha annunciato ufficialmente l’aggiunta di una rotta, quella artica (la Frozen Silk Road), alle sue Vie della Seta già esistenti - via terra e mare. La Export-Import Bank of China, China Development Bank Corporation e China Silk Road Fund hanno finanziato circa il 30% del progetto, con 15 miliardi di dollari. Anche Banca Intesa Russia ha operato a Sabeta con un finanziamento di 400 milioni di euro. La Cina intende importare gran parte del LNG artico: oltre all'accordo con la Russia, proprio mentre si consumava lo scontro tra Washington e Pechino sui dazi, ad Anchorage in Alaska si firmava un’intesa da 43 miliardi di dollari per lo sfruttamento e l’esportazione in Cina di tutto il gas liquido naturale ricavato dai giacimenti petroliferi nell’Artico statunitense.
L’attività di Pechino nell’Artico è strategica, a breve e a lungo raggio. Agisce sul fronte diplomatico come paese osservatore nel Consiglio Artico, con accordi bilaterali come quello di libero scambio con l'Islanda; costruisce stazioni scientifiche alle Svalbard, in Islanda e in Canada; investe in tecnologia per le esplorazioni e nelle infrastrutture portuali (nord-est del'Islanda). L’obiettivo primario sono le nuove rotte marittime commerciali alternative a Suez [grafico]. L’80% del commercio marittimo mondiale è in mano alla Cina, e di questo il 90% si svolge sull’asse Asia-Europa-Nord America: la via più breve è l'Artico, sempre più navigabile ed economico (il costo delle assicurazioni si è dimezzato in tre anni). Per ora la rotta più praticata è quella della Northern Sea Route, lungo la costa russa, ma in prospettiva la Cina pensa alla "via transpolare", che sarà di due terzi più breve rispetto a quella di Suez. La Cina inoltre sta siglando accordi con la Finlandia per la costruzione di una ferrovia da Rovaniemi a Kirkenes (chiamata la "nuova Rotterdam", porto norvegese al confine russo e terminale europeo dei portacontainer asiatici), e per la cablatura dell’Artico, 10.500 chilometri di fibra ottica per il collegamento sottomarino digitale Asia-Occidente.
Ma come si muovono gli altri attori in campo?
La Norvegia è la potenza petrolifera artica europea. Avamposto Nato nel Mar di Barents (l’area dell’Artico a maggior rischio conflitto con lo stretto di Bering), chiede un maggior impegno dell’Alleanza di fronte a quella che considera la "minaccia russa" e per la difesa degli impianti di estrazione. Ha appena avviato 20 nuove esplorazioni di idrocarburi nell’Artico, punta ad incrementare le esportazioni del 30% nei prossimi dieci anni, mentre sul fronte interno sarà un paese fuel-free entro il 2020. La Norvegia, con l’università di Tromsø, è anche il paese che sta investendo di più nella ricerca sul Nuovo Artico, soprattutto nel campo delle scienze bio-marine e in quello del diritto internazionale.
L’Islanda, isola con 320 mila abitanti, sta affrontando l'"emergenza turismo", ed è infatti diventata il simbolo dell’esponenziale aumento di viaggiatori nel Grande Nord, visto come “il nuovo esotico”. Il turismo nella regione cresce del 30% l’anno, mentre mancano infrastrutture e, per quanto riguarda le crociere, un adeguato codice di navigazione e un sistema search and rescue. La voce turismo è ora la prima voce del Pil islandese e ha superato la pesca, anche se sta provocando un "effetto Venezia" e si sta pensando al numero chiuso.
Il Canada, paese che fonda la propria identità nell’High North, sta studiando un piano d’investimenti in previsione di un progressivo aumento demografico causato dalle condizioni favorevoli del cambiamento climatico. Si prevedono nuovi insediamenti che porteranno nell’Artico canadese 10 milioni di persone nei prossimi trent'anni. Tra le grandi opere imminenti c’è la ferrovia nel Nord Manitoba per raggiungere Port of Churchill nella Baia di Hudson.
Gli Stati Uniti, invece, sembrano spiazzati dal punto di vista dell’investimento geopolitico: se l’unità di misura di potenza artica è quella dei rompighiaccio a propulsione nucleare, la dotazione Usa è di 3 contro i 40 russi. Al Dipartimento di Stato cresce l’allarme per la determinazione di Putin a fare dell’Artico il "mare nostrum" dei russi, ma l’Amministrazione Trump in Alaska è impegnata soprattutto sul fronte dello sfruttamento petrolifero, avviando permessi di trivellazione, a partire dal 2019, su un’area di 162 mila ettari nel più grande parco naturale del Paese, l’Arctic National Wildlife Refuge. Trump non riconosce il piano di salvaguardia ambientale marina dell’Artico dell’era Obama e ha concesso nuovi permessi di estrazione off shore nella North Slope, dove, con nuove tecnologie, si pensa di ricavare in sicurezza 40 miliardi di tonnellate di petrolio da due formazioni mai esplorate.
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