In occasione della settima edizione dei Rome MED – Mediterranean Dialogues, promossi da ISPI e dal MAECI (a Roma dal 2 al 4 Dicembre), proviamo a fare una fotografia dei paesi in Medio Oriente e Nord Africa: la cosiddetta regione MENA. 11 grafici ci guideranno attraverso l’andamento della pandemia e della ripresa economica in questa regione, approfondendo la sua posizione rispetto alle sfide della transizione digitale e ambientale, nonché i rischi specifici che si prospettano all’orizzonte.
Per poter capire gli ultimi trend sull’area MENA è inevitabile partire dalla pandemia. Guardando all’andamento della campagna vaccinale nella regione, si osservano profonde differenze tra paesi. Quelli più “virtuosi” sono stati in grado di vaccinare (con due dosi) più del 60% della popolazione nazionale. È il caso degli Emirati Arabi Uniti che con l’89% della popolazione vaccinata supera tutti i paesi europei a eccezione del Portogallo. Dalla parte opposta dello spettro, troviamo invece paesi in fase di transizione (Libia) o in conflitto (Siria e Yemen) ancora indietro nella somministrazione dei vaccini. Insomma, la regione sintetizza pienamente il “vaccine divide” che osserviamo a livello globale tra paesi ricchi e paesi poveri.
Nonostante i tassi di vaccinazione non siano ovunque alti, nel complesso i paesi della regione sono stati colpiti in misura minore dalla pandemia rispetto alla media dell’Unione Europea, fatta eccezione per la Tunisia. Solo quest’ultima, Iran, Libano e Giordania hanno registrato un numero di decessi per milione di abitanti superiore ai 1000. Tuttavia, bisogna anche considerare come in alcuni paesi MENA, il basso numero di tamponi effettuati e la mancanza di dati rendono l’informazione sui reali numeri della pandemia nella regione non esaustiva.
A un impatto della pandemia meno letale rispetto ad altre regioni, è corrisposto anche un calo del PIL nel 2020 più contenuto: -3,2% contro, ad esempio, il -3,4% degli Stati Uniti. Un dato a cui fa seguito una crescita che per questo e il prossimo anno segna +4,1%. Prendendo in considerazione il periodo 2020-2022, la regione MENA dovrebbe quindi registrare un rimbalzo economico persino migliore di quello dell’Unione Europea. Soprattutto grazie alle performance di Turchia e Egitto dove la crescita cumulata nel triennio sarà superiore al 10%. Ma si tratta in molti casi di una crescita “spinta” dall’inflazione.
Dei 15 paesi al mondo con tassi di inflazione superiori al 15%, 5 sono situati in Medio Oriente o Nord Africa. Non sorprende quindi che la regione MENA presenti il più alto tasso di inflazione a livello mondiale quest’anno. Un risultato su cui incidono fortemente i dati della Turchia dove Erdogan sta imponendo alla Banca Centrale Turca il mantenimento di una politica monetaria espansiva, alimentando così un’inflazione già in forte crescita (+17%). Ma soprattutto del Libano, dove una crisi economica definita dalla Banca Mondiale la più grave degli ultimi 150 anni ha fatto crescere i prezzi al consumo del 138%.
Per poter evitare pericolose spirali inflazionistiche e supportare le promesse di una crescita sostenuta nel tempo, sarà fondamentale per la regione posizionarsi al meglio di fronte alle due grandi transizioni in atto nell’economia globale: quella digitale e quella ambientale. Rispetto alla prima, la regione MENA può vantare uno dei più alti tassi di penetrazione di Internet al mondo. Senza dimenticare l’importanza del web nella vita politica e sociale di molti di questi paesi come dimostrato dal suo ruolo nelle cosiddette primavere arabe. In Egitto, secondo un sondaggio, una media di 9 manifestazioni di piazza su 10, indette contro il governo di Mubarak, furono organizzate tramite Facebook, che non a caso fu tra i primi siti ad essere bloccati.
E la digitalizzazione sarà probabilmente sempre più al centro delle politiche dei paesi MENA considerando come nella regione la popolazione giovane è preponderante rispetto a quella anziana: ci sono 6 volte più under 15 che over 65 (mentre nella UE questo rapporto è minore di 1). Per questi giovani, che si devono scontrare con uno dei più alti tassi di disoccupazione giovanile del mondo (tra il 23% e il 27%) circa doppio della media globale, la data e platform economy possono rappresentare opportunità occupazionali che i tradizionali settori non offrono.
È invece sulla transizione ambientale che si riscontrano i maggiori ritardi nei paesi MENA. In pochi nella regione si sono dotati di un’agenda per il raggiungimento dell’obiettivo zero emissioni. All’appello mancano in particolare tutti i paesi nordafricani. E anche chi si è impegnato a intraprendere la strada della carbon neutrality spesso lo fa interpretando con flessibilità la deadline, posta dall’ultima COP entro o intorno alla metà del secolo, che si traduce così in 2060.
E non potrebbe essere altrimenti considerando la centralità degli idrocarburi nei mix energetici nazionali di molti paesi della regione. Tuttavia, proprio alla luce di questa centralità, si può accogliere positivamente il fatto che paesi come l’Arabia Saudita, il principale esportatore mondiale di petrolio greggio, abbiano comunque adottato un target di riduzione delle emissioni. Così come i piccoli passi in avanti che la regione sta compiendo verso la transizione energetica. Certo la quota di rinnovabili è nella maggioranza dei paesi sotto al 10% ma ci sono casi virtuosi come il Marocco che ospita la Noor Power Plant: la centrale a concentrazione solare più grande del mondo.
Alla luce di questi piccoli passi (e delle variazioni nei prezzi del petrolio) il peso degli idrocarburi nell’export della regione MENA è in diminuzione: -12% dal 2007. La partita per la diversificazione economica della regione è però appena iniziata. Specialmente per i paesi del Golfo dove gli idrocarburi rappresentano fino al 90% delle esportazioni e l’80% delle entrate fiscali.
Sarà quindi necessario accelerare nella lotta al riscaldamento globale che nei paesi MENA potrebbe avere effetti devastanti, considerando come già oggi il problema dello stress idrico ha il suo epicentro nella regione. Infatti, dei 15 paesi al mondo che utilizzano quantità d’acqua superiori a quelle che hanno a disposizione, 11 sono paesi MENA. La crescente carenza d’acqua rischia di diminuire la produzione agricola di questi paesi, già fortemente dipendenti dalle importazioni di beni alimentari per soddisfare il proprio fabbisogno.
Questi scenari di carenza di acqua e cibo rischiano di essere ancora più destabilizzanti se si considera il loro potenziale impatto sui circa 9 milioni di rifugiati già presenti nella regione MENA che detiene il primato mondiale in questa particolare classifica. A confronto l’Europa ne ospita meno di un terzo. E l’America solo 340 mila. Numeri che ci aiutano a capire perché è importante continuare a tenersi aggiornati su questa regione del mondo.