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Focus

5G e infrastrutture strategiche in Italia: ecco a cosa serve il Golden Power

Alessandro Gili
25 ottobre 2019

Giovedì 19 settembre, a pochi giorni dal suo insediamento, il governo Conte bis si è occupato di un tema apparentemente marginale nel dibattito politico, ma di importanza strategica per gli interessi nazionali: la sicurezza delle infrastrutture di telecomunicazione e 5G. Il provvedimento istituisce un perimetro di sicurezza nazionale cibernetica in un quadro organico che riorganizza e potenzia i precedenti poteri di intervento del governo nel campo della sicurezza delle reti [1]. Si è trattato in particolare di identificare i sistemi informativi e servizi informatici rilevanti per la sicurezza nazionale cibernetica; istituire un meccanismo per rendere più sicuri gli acquisti di beni e servizi da installare nelle reti sensibili del paese; affidare ad enti terzi la valutazione indipendente degli effettivi rischi, al fine di limitare il grado di discrezionalità politica dell’esercizio dei poteri speciali sul 5G[2].

I nuovi strumenti rappresentano la naturale evoluzione della normativa sul golden power, introdotta nel 2012, che ha segnato il definito superamento del precedente sistema di golden share: a differenza del primo regime, i poteri si esercitano a prescindere dalla presenza dello stato nella compagine azionaria di un’azienda o di un’infrastruttura considerata strategica o critica. In caso di “grave pregiudizio per gli interessi pubblici” il governo ha la possibilità di usare determinati poteri, tra i quali il veto all’adozione di delibere societarie o all’acquisto di partecipazione da parte di soggetti esteri; a ciò si aggiunge la possibilità di dare dei via libera condizionati al rispetto di determinate prescrizioni e condizioni. Nel decreto del 2012, con particolare riferimento al settore dell’energia, dei trasporti e delle telecomunicazioni, è espressamente previsto che l’acquisto da parte di un soggetto esterno all’Unione Europea (UE) di partecipazioni in società che detengono infrastrutture strategiche debba essere preventivamente notificato alla Presidenza del Consiglio [3]. Nel 2014 sono stati identificate in modo specifico le reti soggette alla normativa del golden power. Per il settore energetico sono stati inclusi la “rete nazionale di trasporto del gas naturale e relative stazioni di compressione e centri di dispacciamento; le infrastrutture di approvvigionamento di energia elettrica e gas da altri stati, compresi gli impianti di rigassificazione di GNL onshore e offshore; la rete nazionale di trasmissione dell'energia elettrica e relativi impianti di controllo e dispacciamento e le attività di gestione connesse all'utilizzo delle reti e infrastrutture energetiche”. Nel settore dei trasporti vengono inclusi “le grandi reti ed impianti di interesse nazionale, destinati anche a garantire i principali collegamenti trans-europei, i porti ed aeroporti di interesse nazionale e la rete ferroviaria nazionale di rilevanza per le reti trans-europee”[4]. Nel 2017 il golden power è stato esteso ai settori “ad alta intensità tecnologica” come l’immagazzinamento e la gestione dei dati e le infrastrutture finanziarie; le tecnologie critiche, compresa l'intelligenza artificiale, la robotica, i semiconduttori, le tecnologie con potenziali applicazioni a doppio uso, la sicurezza in rete e la tecnologia spaziale o nucleare[5]. Accanto agli strumenti normativi l’Italia ha adottato, già nel 2011, meccanismi protettivi di natura finanziaria: il governo aveva infatti autorizzato la Cassa Depositi e Prestiti (CDP) ad acquisire partecipazioni in società di rilevante interesse nazionale, in termini di strategicità per l’occupazione e per le ricadute sul sistema economico-produttivo del paese, in particolare nelle infrastrutture energetiche, dei trasporti e delle comunicazioni [6].

L’urgenza di nuovi strumenti di protezione deriva, in misura non trascurabile, dall’emergere di una crescente competizione geoeconomica sul piano internazionale. Nella definizione di geoeconomia coniata da Edward Luttwak negli anni Ottanta, l’arma economica ha rimpiazzato quella militare come strumento al servizio degli stati nella loro volontà di potenza e di affermazione sulla scena internazionale. In questa logica rientrano anche le acquisizioni riconducibili ad aziende formalmente private ma controllate dallo stato di riferimento, con possibili effetti distorsivi sulla competizione internazionale. In particolare, grandi imprese e infrastrutture critiche europee nei settori della difesa, dell’energia, dei trasporti, delle telecomunicazioni e delle tecnologie critiche sono state, in misura crescente, oggetto di acquisto da parte di aziende estere, nella maggior parte dei casi State-owned Enterprises (SOEs). Si pensi, ad esempio, alle acquisizioni cinesi del Porto del Pireo in Grecia, agli investimenti cinesi in ferrovie e compagnie elettriche nel Sud ed Est Europa, all’acquisto di aziende hi-tech come il produttore tedesco di robot Kuka o alla stessa partecipazione azionaria cinese in aziende strategiche italiane quali CDP Reti.

Per rispondere al crescente attivismo cinese, l’UE, nell’aprile 2019, ha creato un sistema di screening per gli investimenti diretti esteri [7]. Il meccanismo introduce un coordinamento tra gli stati membri nelle rispettive politiche di valutazione sulla sicurezza degli investimenti da parte di attori extra-europei. Il nuovo framework europeo abilita la Commissione UE a valutare determinati investimenti e formulare pareri quando l’investimento estero riguardi più stati membri. In particolare, l’attenzione della Commissione è rivolta agli investimenti che possano avere un impatto sui progetti di importanza strategica per l’Unione, quali le infrastrutture critiche relative a spazio, trasporti ed energia (ad esempio le reti TEN-T e TEN-E, i sistemi Galileo e Copernico, EGNOS). Permane tuttavia una debolezza intrinseca al nuovo meccanismo, poiché alla Commissione non sono assegnati poteri vincolanti ma unicamente la possibilità di formulare raccomandazioni, rimanendo le competenze in tema di screening degli investimenti esteri in capo agli stati membri.

Alla luce di quanto detto, emergono due problemi centrali che i diversi paesi devono affrontare in tema di gestione delle proprie infrastrutture critiche. In primo luogo, il perimetro della sicurezza in tema infrastrutturale si sta progressivamente ampliando: in futuro non saranno solo le reti fisiche ad essere centrali nelle strategie di protezione, ma un’attenzione sempre maggiore sarà rivolta alle infrastrutture immateriali, da cui dipenderanno la quasi totalità dei flussi economici e in cui saranno immagazzinati i dati di miliardi di cittadini. In secondo luogo, se da un lato è necessario assicurare la piena sicurezza delle reti garantendo la continuità del servizio e la protezione da eventuali attacchi esterni, dall’altro si avverte l’importanza di mantenere un’adeguata apertura agli investimenti diretti esteri nelle reti infrastrutturali, in particolare in un contesto di consolidamento dei bilanci pubblici. L’apertura a fonti esterne di finanziamento è ancor più necessaria in un contesto globale di rallentamento economico, dove la competitività, la crescita economica e l’innovazione tecnologica possono dipendere in misura consistente da flussi esterni di finanziamento. Rimane quindi latente un trade-off tra sicurezza e investimenti in infrastrutture: per il momento alcuni elementi di protezione e screening si rendono necessari come soluzioni temporanee per correggere le esistenti asimmetrie dell’economia globale, e come impulso verso un level playing field che garantisca regole condivise e una competizione ad armi pari.

 

Note 

[1] Il 5 settembre 2019, a poche ore dal suo insediamento, il Governo aveva deliberato nel primo Consiglio dei Ministri l’applicazione urgente dei poteri speciali nei confronti di cinque compagnie telefoniche italiane; un’ urgenza giustificata dalla imminente decadenza del decreto 64 dell’11 luglio 2019, che riguardava la necessità di dare un via libera condizionato alle forniture 5G da parte di aziende extra-europee, imponendo che l’acquisto di componentistica 5G proveniente da Paesi esterni all’Unione europea fosse sottoposto ad un vaglio preventivo delle autorità di Governo. Il precedente DL 22 del 25 marzo 2019, convertito in legge (L. 41 del 20/05/2019), identifica i servizi di comunicazione elettronica a banda larga basati sul 5G come “attività di rilevanza strategica per il sistema di difesa e sicurezza nazionale” prevedendo la possibilità, anche in questo settore, di porre veti o condizioni all’acquisto di componentistica extra-europea.

[2] Si veda qui

[3] Si veda il DL 21 del 15 marzo 2012 (convertito in L. 56 dell’11/05/2012). Interessante notare come, per valutare la minaccia effettiva di gravi pregiudizi per gli interessi essenziali della difesa, della sicurezza nazionale e delle infrastrutture critiche si valuta anche la “sussistenza di legami fra l'acquirente e paesi terzi che non riconoscono i principi di democrazia o dello  Stato  di  diritto, che non rispettano le norme del diritto internazionale  o  che  hanno assunto  comportamenti  a  rischio  nei  confronti  della   comunità internazionale, desunti dalla  natura  delle  loro  alleanze”.

[4] Vedi DPR n.85 del 25 marzo 2014.

[5] Si veda il DL 148 del 16/10/2017, convertito in L. 172 del 04/12/2017.

[6] Si veda art.7 del DL 34 del 31 marzo 2011, convertito in L. 122 del 26 maggio 2011

[7] Si veda https://europa.eu/rapid/press-release_IP-19-2088_en.htm

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Geoeconomia infrastrutture
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AUTORI

Alessandro Gili
ISPI Research Assistant

Questo Focus è stato pubblicato nell’ambito di un progetto di ricerca sulla dimensione geopolitica degli investimenti infrastrutturali realizzato anche grazie al sostegno del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. 

Le opinioni espresse dagli autori sono strettamente personali e non riflettono necessariamente quelle dell'ISPI o del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.

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