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USA-UE

Acciaio: accordo a metà

Gianclaudio Torlizzi
05 novembre 2021

L'accordo commerciale tra Stati Uniti e Unione Europea annunciato al termine del G20 scuote il mercato siderurgico italiano. Se infatti da un lato la revisione della Section 232 offrirà alle acciaierie del Vecchio Continente la possibilità di aprirsi al ricco mercato nordamericano, dall’altro lato i loro clienti - ossia distributori e utilizzatori - temono che, così facendo, l'attuale stato di carenza che attualmente insiste nel mercato possa aggravarsi.

 

Le difficoltà di Joe Biden a casa sua

Di base, l'accordo commerciale di base rappresenta un piccolo capolavoro diplomatico per il Presidente americano Joe Biden, sempre più preoccupato dell'impatto inflazionistico derivante dagli alti prezzi delle materie prime. Una dinamica questa che, se non gestita, rischia di provocare un effetto “rigetto” alle prossime elezioni di mid-term da parte delle fasce sociali più vulnerabili. Le elezioni tenutesi giovedì scorso in Virginia da cui è uscito vincitore il candidato repubblicano Glenn Youngkin rappresenta un primo campanello d’allarme. Non è un caso se nelle ultime settimane la Casa Bianca abbia più volte premuto sull'OPEC, il cartello dei Paesi produttori di petrolio, affinché aumenti l'output al fine di sgonfiare i prezzi del carburante. I moniti però sono sempre stati, almeno per il momento, respinti al mittente.

Sugli acciai, invece, Biden vanta una leva maggiore potendo contare sullo spread di oltre 700 dollari la tonnellata che oggi insiste tra il prezzo dei laminati piani negli USA rispetto a quelli europei. L'annuncio di sbloccare, almeno parzialmente, l'interscambio commerciale (la UE non potrà esportare più di circa 5 milioni di tonnellate annue) è  tuttavia salutato con grande favore anche da parte dei produttori siderurgici europei, soprattutto quelli a forno elettrico. I quali negli ultimi mesi sono stati fortemente danneggiati dal power crunch che ha spinto il prezzo dell'elettricità al picco storico di 300 euro/MWh a inizio ottobre, innalzando i costi produttivi di quasi 200 euro/t con grave danno sul fronte della competitività rispetto ai concorrenti turchi che possono invece vantare un prezzo dell’elettricità decisamente inferiore.

 

Il rischio di aggravare la carenza di acciaio

Il problema, tuttavia, riguarda quali misure di compensazione pensa di intraprendere Bruxelles. Qualora infatti la Commissione UE decidesse, a sua volta, di non riformare il sistema attuale delle quote all'import che oggi limitano fortemente gli arrivi di acciaio dall'Asia, il rischio è che l'attuale stato di carenza possa acuirsi ulteriormente, mettendo in grave difficoltà il comparto manifatturiero. Lo scetticismo è tuttavia alto. L’avere infatti inserito l'accordo commerciale all'interno dell'ampio dossier sul clima di fatto allontana l'ipotesi non solo che Washington allenti la stretta su Pechino ma anche Bruxelles possa a sua volta riformare il sistema delle quote all'import che impedisce oggi all'acciaio asiatico e turco di entrare in Europa, alimentando la grave carenza che contraddistingue il mercato. Si tratta di un cambio di paradigma di cui il governo italiano deve essere consapevole al fine di farsi portatore a Bruxelles di una revisione strutturale del sistema delle quote che da un lato soddisfi i requisiti del nuovo “corso climatico’”, ma dall’altro scongiuri quelle strozzature sul lato dell’offerta che rischiano di mettere sotto ulteriore stress il comparto manifatturiero italiano, a cui potrebbe non rimanere altra scelta se non quella di trasferirsi in paesi extra UE.

 

Come si inserisce la misura nell’agenda green europea?

Alle eventuali sollecitazioni di aggiornare il sistema delle quote al nuovo paradigma la Commissione UE potrebbe rispondere come già all’interno del piano sul clima presentato ufficialmente lo scorso mese di luglio sia inserita la riforma del sistema ETS in cui è prevista accanto al graduale riduzione delle quote di allocazione gratuite di CO2 anche l’implementazione del Carbon Border Adjustment Mechanism (CBAM): una “tassa” sul contenuto di CO2 dei prodotti importati appartenenti ai settori a più alte emissioni per tutelare l'industria europea dalla concorrenza di economie con norme sul clima meno stringenti. Il meccanismo dovrebbe essere operativo dal 2026 e riguardare settori come ferro e acciaio, cemento, elettricità, alluminio e fertilizzanti. Il prezzo della CO2 sarà allineato a quello del mercato del carbonio UE-Ets. Ciò garantirà che le riduzioni delle emissioni europee contribuiscano a un calo delle emissioni globali, invece di spingere la produzione ad alta intensità di carbonio al di fuori dell'Europa. Mira inoltre a incoraggiare l'industria al di fuori dell'UE e i partner internazionali a compiere passi nella stessa direzione.

Contestualmente all’entrata in vigore della carbon border tax, la proposta della Commissione punta a ridurre del 10% annuo a partire dal 2026 la quota di allocazione gratuita di certificati di cui oggi beneficiano i grandi produttori di C02 per arrivare alla completa eliminazione entro il 2035. Il punto tuttavia rimane quello delle velocità di applicazioni del nuovo sistema rispetto ai competitori. Se infatti oggi il prezzo delle emissioni di carbonio nella UE è già balzato a 60 dollari/tonnellata, in Cina rimane sotto i 7 dollari la tonnellata. Per concludere, qualora non venissero apportate al sistema delle quote le opportune correzioni, il sistema manifatturiero italiano rischia di essere il grande perdente del nuovo corso ambientalista.

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Gianclaudio Torlizzi
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