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BANCHE CENTRALI

Affrontare l'inflazione è una sfida strutturale

Francesco Saraceno
27 maggio 2022

È probabile che il ritorno dell'inflazione, dopo circa quattro decenni di "Grande Moderazione", ravvivi il dibattito che ha opposto keynesiani e monetaristi negli anni Settanta. La questione che oggi aleggia è la stessa: quella di cause, costi e rimedi dell'inflazione. E oggi, come allora, si fatica a imporre nel dibattito il tema dell’eterogeneità settoriale, con la convivenza di squilibri di segno opposto in settori diversi dell’economia.

 

La natura degli squilibri

Questi squilibri hanno generalmente una dimensione strutturale, sintomi di cambiamenti tecnologici, di preferenze dei consumatori, o anche di shock geopolitici che colpiscono alcuni mercati più di altri; essi richiedono una riconfigurazione del tessuto produttivo che non può mai avvenire istantaneamente, vincolata ai tempi di costruzione della capacità produttiva. L’inflazione, insomma, è sempre un fenomeno microeconomico. A sua volta, essa può modificare la distribuzione del reddito con la conseguenza di penalizzare l'acquisto di beni salariati e favorire quello dei beni di lusso. Allo stesso modo, l’incertezza può accorciare l’orizzonte temporale delle imprese che, alla ricerca di flessibilità, non sono più incentivate a investire a lungo termine, con il rischio di limitare ulteriormente l'offerta e provocare un'inflazione ancora più elevata.

 

Una realtà complessa

Limitarsi alle valutazioni sulla misura transitoria o permanente dell’inflazione non rende giustizia a questa realtà complessa. Non si può ragionare solo in termini di ritorno più o meno rapido all’equilibrio, né considerare l’inflazione un fenomeno puramente monetario, derivante da comportamenti più o meno irresponsabili dei governi e delle banche centrali. Ignorare le fondamenta microeconomiche e settoriali dell’inflazione impedisce di comprendere il ruolo dei prezzi nel favorire od ostacolare gli aggiustamenti settoriali, porta a sottovalutare il rischio di cattiva allocazione delle risorse generata dall’inflazione, e del suo impatto redistributivo.

La stabilità dei prezzi osservata negli ultimi quarant'anni è generalmente attribuita alla conquista dell’indipendenza delle banche centrali quasi tutte divenute indipendenti all’inizio degli anni Ottanta. In realtà essa è stata piuttosto causata dall’assenza di marcati squilibri nei mercati del lavoro e dei beni. La moderazione salariale e la riduzione del potere negoziale dei lavoratori sono stati possibili grazie all'importazione di beni di consumo dai Paesi emergenti prodotti a basso costo (che allo stesso tempo hanno limitato l'impatto della stagnazione salariale sul potere d'acquisto e quindi sull'instabilità sociale). Le innovazioni finanziarie hanno permesso, in particolare sui mercati legati alle nuove tecnologie, di soddisfare l'esigenza di finanziare gli investimenti e di introdurre le nuove tecnologie.

Dai primi anni 2000, dopo una prima crisi finanziaria (lo scoppio della bolla di Internet), sono emerse tendenze deflazionistiche. Il rallentamento della produttività e dell’investimento produttivo ha coinciso con un aumento dei risparmi: la Grande Moderazione ha lasciato il posto alla stagnazione secolare. Gli eccessi di risparmio hanno alimentato mercati finanziari sempre più sovradimensionati, alimentando l’inflazione delle attività finanziarie e immobiliari, mentre i prezzi dei beni di consumo sono rimasti stabili grazie alla moderazione salariale e alle importazioni dai Paesi a basso salario.

 

Il riemergere dell’inflazione

L'inflazione è recentemente riemersa sotto forma di aumenti dei prezzi nei mercati delle materie prime e di alcuni beni intermedi. È il risultato del rimbalzo dopo la pandemia e della persistenza di colli di bottiglia lungo le catene del valore globali, esacerbata dalla guerra in Ucraina. L’aumento ha colpito più duramente i beni proporzionalmente più presenti nei panieri delle classi meno abbienti (energia, alimentari), esacerbando le disuguaglianze.

Qualcosa di simile successe negli anni Settanta, quando proprio l'aumento dei prezzi delle materie prime portò a squilibri settoriali affrontati con politiche espansive che esacerbarono l’inflazione. Specularmente, le politiche antinflazionistiche aggressive dei primi anni Ottanta buttarono con l’acqua sporca dell’inflazione il bambino degli investimenti produttivi, penalizzati da tassi di interesse elevati proprio quando dovevano dispiegarsi per eliminare i colli di bottiglia settoriali.

Ora, la recrudescenza dell'inflazione avviene mentre accelera la transizione ecologica e digitale, un processo di distruzione creativa che non potrà non portare a nuovi squilibri settoriali e a bisogni di investimenti da finanziare.  In questo contesto, una politica monetaria restrittiva come da più parti invocata, comprimerebbe la domanda aggregata, danneggerebbe la crescita, senza risolvere nessuno degli squilibri settoriali e delle strozzature che sono l’inevitabile conseguenza dei cambiamenti strutturale dell'economia. Inoltre, le forze che spingono alla stagnazione secolare (incertezza, disuguaglianza, rallentamento della produttività, indebitamento pubblico e privato) sono ancora tutte presenti. Una politica monetaria restrittiva, quindi, porterebbe alla divaricazione tra i tassi di interesse di mercato e quelli “naturali”. Questo significa che oggi, ancora più che negli anni Ottanta, si conterrebbe l’inflazione al prezzo di penalizzare l’investimento e oltre ai costi di breve periodo si metterebbe in pericolo la necessaria transizione ecologica e digitale.

 

Affrontare l’inflazione strutturale

Se l’inflazione è strutturale, lo strumento principale per affrontarla non è la politica monetaria ma la politica di bilancio e industriale. L’obiettivo dovrebbe essere di accelerare quanto più possibile il riallineamento di domanda e offerta per i settori in cui queste sono disallineate facilitando allo stesso tempo i cambiamenti strutturali legati alla transizione ecologica e digitale. La capacità di mantenere un flusso costante di investimenti pubblici e privati diventa in quest’ottica centrale, ed è ciò che rende particolarmente rischiosa la restrizione monetaria. Per i primi è necessario che, in attesa di un accordo tra i Paesi europei sulla riforma del Patto di Stabilità, la Commissione chiarisca esplicitamente che interpreterà in modo molto flessibile le norme attuali.

Per quel che riguarda gli investimenti privati, è fondamentale che le imprese non si trovino a fronteggiare scarsità di finanziamenti; le misure da adottare vanno da incentivi mirati per settori e imprese particolarmente rilevanti a interventi sui mercati creditizi per evitare comportamenti predatori da parte delle istituzioni finanziarie, passando per l’intervento di banche pubbliche di investimento (tra cui la Banca europea degli investimenti). Anche la BCE avrebbe un ruolo da svolgere, prolungando i suoi finanziamenti al settore creditizio condizionati al mantenimento del credito alle piccole e medie imprese.

Ma la cosa probabilmente più importante è che la politica economica riduca quanto più possibile l’incertezza, ostacolo maggiore all’investimento privato e all’allungamento dell’orizzonte decisionale delle imprese. Il policy mix, l’uso congiunto di politica di bilancio e monetaria, dovrebbe garantire condizioni macroeconomiche quanto più stabili possibile non solo nell’immediato, ma anche impegnandosi a non tornare inerte nel lungo periodo. L'economia insomma dovrebbe essere tenuta in un “corridoio di stabilità”, che consenta di riassorbire gli squilibri e di favorire i cambiamenti strutturali. Solo allora, andrebbe considerato un aumento graduale del tasso di interesse in linea con l'aumento del tasso di crescita  e con l’aumento dei profitti. Queste misure volte a creare le condizioni per il riassorbimento degli squilibri settoriali dovrebbero essere accompagnate nel breve termine da misure volte a proteggere i più vulnerabili. Non si tratta solo di sostenere i redditi come fanno (in maniera insufficiente) i governi europei in questa fase, ma anche di considerare l'uso temporaneo di controlli dei prezzi e imposte straordinarie sui redditi elevati per ridistribuire il costo della crisi.

In conclusione, l’inflazione è il sintomo di disequilibri settoriali di un’economia in trasformazione. Evitare un approccio esclusivamente macroeconomico consente di afferrare la complessità di un fenomeno a cui è importante rispondere mobilitando diversi strumenti: one size does not fit all. La governance d’impresa, un rilancio dell’investimento pubblico, l'organizzazione e la regolamentazione del sistema finanziario, la politica industriale e della concorrenza devono tutti contribuire ad indirizzare le risorse verso gli investimenti a lungo termine che sono alla radice del progresso tecnico e della crescita. Se non si riesce a governare la transizione vi è il rischio reale che l'economia oscilli tra impennate dell’inflazione e recessioni indotte dalle politiche restrittive.

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economia Geoeconomia Europa
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AUTORI

Francesco Saraceno
SciencesPo

Image Credits (CC BY-NC-ND 2.0): European Central Bank

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