Un paese al collasso, economicamente e socialmente. Quello afghano è uno stato non più in grado, sotto la gestione talebana, di garantire i servizi minimi essenziali alla popolazione. L’inflazione è alle stelle e vi è penuria di beni di prima necessità. Uno stato imploso, di cui sopravvivono solamente gli edifici governativi all’interno dei quali i pochi dipendenti pubblici al lavoro non ricevono più lo stipendio poiché le casse statali sono vuote: era la comunità internazionale, fino ad agosto, a farsi carico della spesa pubblica.
Un tracollo economico a cui i Talebani guardano con grande preoccupazione e che, senza pudore, pretendono sia evitato dalla comunità internazionale alla quale chiedono, attraverso la voce di Alhaj Khalil-ur-Rehman, il capo del consiglio di pace, che vengano sbloccati i 10 miliardi di dollari, congelati dagli Stati Uniti dopo la caduta della Repubblica islamica dell’Afghanistan, e che siano rispettati gli impegni a sostenere economicamente il paese sino a tutto il 2024.
Sul piano politico si è imposto il governo monocratico della storica leadership talebana. Una soluzione che soddisfa i principali gruppi nelle varie shura, in particolare quelle di Quetta e di Peshawar, ma che sarebbe alla base di attriti nell’eterogeneo movimento, in particolare tra i gruppi tagiki e uzbeki del nord.
La capacità militare dei Talebani e il contrasto alla “Resistenza”
Le divisioni e le difficoltà politiche fanno il paio con le difficoltà sul piano militare. Prima dell'offensiva finale che ha portato alla caduta di Kabul il 15 agosto 2021, la capacità operativa del principale movimento insurrezionale era di circa 60.000 militanti attivi su circa 200.000 elementi totali; numero che si valuta sia aumentato di alcune decine di migliaia nei mesi precedenti la conquista talebana, attraverso il reclutamento di nuovi mujaheddin e grazie a un'organizzazione efficiente e decentralizzata basata su un'organizzazione autonoma, "compartimentata” e tatticamente flessibile.
In termini di capacità operativa si è molto insistito sull’effettivo impatto dell’acquisizione degli arsenali e degli equipaggiamenti delle disciolte forze di sicurezza afghane. Se da un lato è possibile confermare una maggiore capacità di movimento terrestre, va però fortemente ridimensionata la capacità di utilizzo di aeromobili: aerei ed elicotteri già in dotazione alle forze di sicurezza afghane sono nella maggior parte dei casi inutilizzabili o utilizzabili per un breve periodo di tempo; un numero rilevante di velivoli è stato trasferito in Tagikistan e in Uzbekistan nei giorni precedenti il collasso di Kabul. A ciò va a sommarsi l’assoluto dominio aereo da parte statunitense.
Anche a livello di “tecnologie militari”, i Talebani hanno oggi un vantaggio non significativo: i visori notturni potranno essere utilizzati per un periodo limitato; i droni catturati saranno resi inutilizzabili con azioni “da remoto” Usa. Per contro, è preoccupante l’accesso ai dati biometrici, che avrebbero condotto a riconoscimenti di ex appartenenti all’esercito governativo.
Sul piano finanziario, le già disastrate finanze dello stato rendono impossibile sostenere uno strumento militare strutturato, come dimostrato dal diffuso ricorso alle requisizioni di beni materiali, infrastrutture e razioni alimentari, o all’obbligo imposto alle aziende e alle comunità locali di provvedere al sostentamento dei militanti talebani. Nel complesso l’Emirato islamico dei Talebani dispone di un adeguata capacità in termini di impiego di “fanteria leggera” ma con un margine di manovra molto limitato. È inconsistente o limitata la capacità di minaccia in termini convenzionali a livello regionale, ma più che sufficiente nel contrasto alle forme di resistenza interna ai confini afghani.
Resistenza che sopravvive in maniera marginale in alcune aree periferiche del paese e trova la sua massima espressione ideale nella guerriglia dei tagiki che ancora operano nella valle del Panjshir, storica roccaforte anti-talebana, e nei distretti limitrofi di Andarab della provincia di Baghlan. La resistenza, che nominalmente si raccoglie attorno alla figura di Ahmad Shah – figlio dello storico e discusso mujaheddin Ahmad Shah Massoud e all’ex vice-presidente dell’Afghanistan ora proclamatosi presidente, Amrullah Saleh – controlla parte delle valli e delle colline sui due lati della principale arteria stradale che divide in due la valle del Panjshir, ma non è in grado di rappresentare una minaccia consistente per i Talebani. Resistenza che, in assenza di un sostegno politico e militare da parte di paesi terzi (che non arriverà), è destinata ad essere sempre più marginale, senza per questo scomparire.
L’IS-K e il rischio di una guerra settaria
A fronte delle difficoltà dei talebani di garantire il controllo del territorio, si contrappone la volontà dei gruppi antagonisti di mantenere o prendere possesso di alcune aree. Tra i gruppi che più preoccupano il nuovo governo di Kabul a guida talebana si impone, per capacità e ambizioni, il gruppo Stato islamico Khorasan (IS-KP, Islamic State Khorasan Province).
Risollevato in volontà e capacità operativa dopo l’offensiva delle forze di sicurezza afghane e degli Stati Uniti a partire dal 2018, l’IS-K, forte di alcune migliaia di militanti è tornato a operare imponendo la propria presenza e violenza nella capitale Kabul, nelle province di Kunar e Nangarhar – storica roccaforte del gruppo in Afghanistan, in cui si concentrano interessi economici legati all’attività estrattiva e del narco-traffico – e nella città settentrionale di Kunduz.
Lo Stato islamico-Khorasan ha condotto, senza soluzione di continuità dal 2015 a oggi, un'offensiva incentrata su operazioni di alto profilo contro obiettivi istituzionali (prima del governo di Kabul, ora dei talebani) e azioni di natura settaria – sunniti versus sciiti; e nonostante le iniziali difficoltà nel coinvolgere i gruppi locali e ottenere vantaggio dal processo di frammentazione che ha caratterizzato il movimento talebano nel 2015-16, con il tempo il gruppo ha saputo imporre una minacciosa presenza territoriale, consolidare le proprie posizioni creando vere e proprie roccaforti e ha avviato un processo espansivo.
Lo Stato islamico-Khorasan ha mostrato la propria capacità espansiva oltre le aree più periferiche della stessa provincia di Nangarhar, muovendosi verso le aree suburbane e urbane, in particolare della città di Jalalabad, ma anche le zone montane di Tora Bora temporaneamente sottratte ai talebani. Lo Stato islamico intende consolidare le posizioni conquistate ed espandersi da Nangarhar verso le provincie del Nuristan e di Kunar, con l’arrivo e il reclutamento di nuovi aderenti. Ma l’IS-K è riuscito ad infliggere una significativa sconfitta ai Talebani nei distretti settentrionali di Zabul dove ex affiliati all'IMU, assorbiti dal nuovo gruppo, hanno concentrato le proprie azioni contro la comunità hazara.
Inoltre, il gruppo ha saputo imporre due fattori. Da un lato ha incluso nel proprio network un ampio numero di dissidenti talebani o provenienti da altri gruppi di opposizione armata afghani e pakistani e, più recentemente, uiguri cinesi appartenenti all’ETIM (East Turkestan Islamic Movement). Dall’altro, ha imposto al conflitto afghano un estremismo settario, contro obiettivi sciiti.
Le prospettive per il futuro
Di fatto, oggi lo Stato islamico in Afghanistan, benché ridotto nei numeri e nell’effettiva capacità militare, colpisce il governo dei Talebani così come questi hanno colpito, per venti anni, il governo di Kabul sostenuto dalla comunità internazionale. Ma, a differenza dei Talebani che hanno sempre combattuto una guerra di liberazione nazionale attraverso il jihad, l’IS-K guarda al jihad come strumento di lotta globale finalizzato a imporre la propria interpretazione di islam, anche contro le stesse comunità musulmane.
Un processo politico e ideologico che tende a spostare l'asse del conflitto afghano da “guerra nazionale”, conclusa favorevolmente per i Talebani, a stimolo ed esempio per un jihad globale e denazionalizzato che sarà condotto sotto l'ombrello del brand di quello Stato islamico che ha destabilizzato il Medio Oriente e mostrato la propria ostilità nei confronti dell'Occidente.